Tornado italiani in Iraq? Ipotesi scellerata. I rischi per i nostri piloti

(di Franco Iacch)
06/10/15

E’ davvero possibile che qualcuno da Roma abbia seriamente pensato di inviare in Iraq (non in Siria), i Tornado italiani?

Arriva fino a tanto la voglia di partecipare al conflitto contro l’Isis, quasi come dovessimo partecipare all’invasione della Russia, anche a costo di sacrificare le vite dei nostri piloti?

E come pensate che finirebbe se uno dei nostri Tornado dovesse affrontare, a bassa quota, uno dei centinaia di MANPADS (sia della famiglia Strela che Stinger) trafugati prima dagli arsenali di Saddam e poi da quelli dell’esercito regolare lealista?

O se dovesse sorvolare un’area dove potrebbe essere operativo uno tra i più di mille veicoli abbandonati dalle truppe regolari ed ottenuti dall’Isis senza colpo ferire, molti di questi dotati di armamento antiaereo supplementare a medio raggio?

L’indiscrezione, trapelata sul Corriere della Sera, è stata freddamente commentata dal Ministero della Difesa che si è trincerato dietro una frase di circostanza: “è solo una delle ipotesi”.

I Tornado, secondo le indiscrezioni, passerebbero dalla ricognizione ed illuminazione dei bersagli al bombardamento degli obiettivi sensibili. I Tornado del sesto stormo di Ghedi agirebbero dal Kuwait per colpire target in Iraq. L’Italia, quindi, entrerebbe in guerra contro il terrorismo anche con proprie piattaforme aeree.

Le perplessità, al riguardo, sono parecchie. I motivi? Come è noto, in Iraq non ci sono delle unità occidentali sul terreno che possano rilevare dei bersagli sicuri, ma soltanto delle truppe locali che ben più di una volta hanno dimostrato il loro reale valore e la loro lealtà. Ma il problema principale è uno soltanto (ed esula dalla capacità dei nostri piloti, tra i migliori al mondo): il nemico. Siamo nel 2015, non durante la Guerra Fredda.

I Tornado, grossi bestioni entrati in servizio alla fine degli anni ’70 e che costano poco meno di 30 mila euro ad ora di volo, avevano il compito di penetrare a bassissima quota e ad altissima velocità lo spazio aereo sovietico, bombardando le aree di interesse con ordigni nucleari. Questa caratteristica, il volo radente a bassa quota e ad altissima velocità, capacità di penetrazione in profondità chiamata in gergo, è venuta meno con la fine del blocco sovietico e per la diffusione dei sistemi missilistici contraerei sempre più efficienti.

In questi anni è cambiata anche la filosofia militare che impone, nelle prime fasi, la supremazia aerea ed il bombardamento con velivoli stealth. In poche parole, i Tornado, giunti alla fine del loro ciclo vitale, sono stati progettati per il volo a bassa quota grazie al loro radar, il Tfr, che ha la capacità di seguire il terreno. Sintetizzando al massimo: il radar mappa il territorio sottostante, garantendo una quota costante evitando gli ostacoli.

Durante la Guerra Fredda le perdite, in quello che sarebbe potuto essere un first o second strike, erano ritenute “accettabili”. Nel 2015 non più. Per risolvere questi “inconvenienti”, si attende l’F-35, i Tornado sono stati convertiti per operare a media, medio-alta quota, ma solo nei contesti permissivi, con nemico relativamente carente in termini di difesa aerea. Ma si è dimenticato con troppa fretta, forse, che l’Isis ha abbattuto almeno due F-16 ed un numero imprecisato di elicotteri. Piattaforme con diversa tangenza operativa, ma ugualmente abbattute. Questo perché in Iraq non è stato effettuato un massiccio bombardamento a tappeto per azzerare le difese che non sono su posizioni fisse, ma singoli attacchi mirati che hanno, seppur di poco, ridotto la potenza antiaerea dello Stato islamico.

Quello che c’è sul terreno, non lo sanno nemmeno gli americani, gli stessi che si affidano ai locali per ottenere i bersagli che colpiscono con gli F-16 e gli F-18, velivoli ben più moderni dei Tornado (nonostante gli aggiornamenti). Le domande sono lecite, nella speranza che questa ipotesi non sia un retaggio che ci trasciniamo dall’intervento in Russia.

I nostri politici, qualora decidessero davvero in tal senso, Dio non voglia, dovrebbero prepararsi anche all’esfiltrazione degli equipaggi abbattuti. Sarebbe riprovevole abbandonarne altri (il pensiero va al destino ancora incerto dei marò) solo perché lo abbiamo promesso allo Zio Sam.

(foto: Difesa Online)