Nell’alba del terzo millennio lo scenario geopolitico regionale e mondiale è caratterizzato da sempre maggiori tensioni che potrebbero determinare situazioni di instabilità e pericolo per le vie di comunicazione marittime con grandi impatti sugli interessi strategici nazionali.
La mina navale, una minaccia antica
Tra le minacce al libero transito marittimo quella posta dalle mine navali trova radici lontane nel tempo e si è sempre differenziata dalle altre per la sua componente asimmetrica che unisce al danno fisico un forte impatto psicologico per cui il solo fatto che si abbia conoscenza della loro possibile presenza può causare il blocco di aree sensibili per il traffico mercantile, provocando un danno economico superiore a quello fisico.
Nell’immaginario collettivo, le mine navali vengono rappresentate da sfere con delle protuberanze che, quando a contatto con gli scafi nemici, ne provocavano la detonazione. In realtà questo tipo di mine navali, chiamate ormeggiate in quanto in genere ancorate sul fondo, sono solo una parte dell’inventario esistente. Pur essendo sistemi antiquati hanno dimostrato di avere ancora una loro validità se adattati al mondo moderno. La ragione del loro “successo” consiste nel bassissimo costo e nella semplicità di costruzione. Il loro ultimo impiego noto è nelle acque yemenite dove gli Houthi le hanno impiegate contro unità navali saudite.
Un altro tipo di mine altamente insidiose sono quelle da fondo, che possono essere posate da unità navali, aerei o sommergibili sul fondo del mare. Anche questo tipo di mine risale al XX secolo ma hanno goduto di un aggiornamento dei sistemi di attivazione che le rende altamente selettive. In particolare, il fatto di giacere sul fondo del mare, a volte infangati sotto uno strato di sedimento, comporta la possibilità di diventare difficilmente scopribili alla ricerca acustica da parte dei sonar.
Ultimi strumenti assimilabili a mine sono i Water Borne Improvised Explosive Devices (WB-IED), ordigni rudimentali di basso costo e tecnologia che possono essere facilmente realizzati anche da gruppi terroristici (foto).
Una componente specialistica di eccellenza della Squadra Navale italiana
La Marina Militare italiana, nell’ambito della squadra navale, ha un comando specialistico complesso (MARICODRAG) responsabile della gestione delle forze di contromisure mine (CMM) che comprende una forza navale, composta da cacciamine classe Lerici I e II serie, ed un comando a terra responsabile dell’addestramento e dello sviluppo della componente.
Al fine di rispondere alle sfide del terzo millennio, la Marina Militare italiana ha sempre mantenuto in considerazione questo tipo di minaccia, facendo tesoro delle esperienze maturate nei vari teatri del mondo dal dopoguerra ad oggi.
Una delle lezioni acquisite più importanti è che l’asimmetricità di questa forma di guerra si sposa perfettamente con il loro impiego da parte di fazioni non regolari ma anche di organizzazioni terroristiche e criminali.
Per quanto questi strumenti siano in linea generale molto semplici e poco costosi quello che fa la differenza sono le logiche di attivazione delle mine ovvero quei congegni che danno il consenso ai loro circuiti di fuoco. L’evoluzione digitale ha messo a disposizione dei costruttori sistemi di relativo basso costo che possono consentire una più estesa vita operativa e capacità selettive dei bersagli altamente sofisticate. Inoltre, l’impiego di materiali stealth (ovvero invisibili ai sonar di ricerca e scoperta) e, la capacità delle mine moderne di contrastare anche le unità di CMM, notoriamente invisibili ai sensori delle mine, sono fattori di sicura preoccupazione.
Sviluppo nazionale del Concetto operativo delle operazioni di contromisure mine
La Marina Militare italiana ha nel tempo continuato ad investire in studi di ottimizzazione delle tattiche e dei sistemi d’arma, guadagnandosi un livello di eccellenza in campo NATO. Le esperienze acquisite hanno aiutato a definire un programma di acquisizione dei mezzi di CMM che consentirà di affrontare con maggior sicurezza le minacce future.
Essendo l’argomento molto vasto, in estrema sintesi, la Marina Militare italiana, in una visione condivisa con le altre marine europee, prevede nel campo delle operazioni di guerra di mine future l’utilizzo di due tipologie di piattaforme:
- unità navali (Cacciamine e Dragamine) in grado di poter operare in sicurezza in un campo minato e in aree dove si sospetta la presenza di ordigni pericolosi per la navigazione;
- unità navali non specialistiche che, pur non essendo in possesso di capacità autonome di CMM, sono in grado di trasportare mezzi autonomi in grado di operare a distanza (concetto stand off) al fine di mitigare il rischio per il transito.
Un cammino lento ma costante
Questa visione ebbe origine negli anni ’80 quando la Marina Militare italiana, sulla base delle operazioni effettuate nel Mar Rosso, commissionò all’Intermarine, una ditta italiana leader mondiale nella tecnologia della vetroresina, i primi quattro unità cacciamine classe Lerici. Questi cacciamine furono realizzati impiegando una nuova tecnologia costruttiva denominata F.R.P. (Fibre Reinforced Plastics) che, per le sue peculiari caratteristiche tecniche, venne utilizzata da molte marine occidentali. Ad esempio i cacciamine statunitensi classe Osprey e quelli di altre classi straniere, sia africane che asiatiche, furono costruiti da Intermarine o su sua licenza. Questa tecnologia dei materiali consentì di soddisfare in pieno due esigenze prioritarie per un cacciamine: l’assoluta amagneticità (al fine di non attivare le mine con sensori di attivazione magnetica) ed una elevata resistenza antishock in caso di esplosione ravvicinata di un ordigno.
La classe Lerici sostituiva di fatto la classe Legni, ormai arrivata alla fine della sua lunga vita operativa, e comprendeva due mezzi filoguidati (ROV) per le ispezioni subacquee, un team di sommozzatori disattivatori mine (SDM) e personale specialista in CMM.
Il successo della prima serie, confermato dalle operazioni in Golfo Persico, portò alla costruzione di una seconda serie, la classe Gaeta, che si differenziava sostanzialmente in un incremento generale delle dimensioni dello scafo, il potenziamento dell’apparato motore, l’installazione di un autopilota per il mantenimento automatico della posizione durante le operazioni di ricerca e scoperta delle mine (inizialmente era cura dell’ufficiale di guardia mantenere la posizione agendo sui comandi dei tre propulsori) e l’adeguamento di tutte le componenti hardware e software del sistema di combattimento.
Il 30 aprile 1988 vennero quindi ordinati altri 6 cacciamine, con una seconda commessa nel 1991, portando il numero finale ad otto. Una scelta vincente in quanto, in oltre tre decenni, le unità classe Lerici I e II serie si sono distinte in numerose operazioni nazionali e internazionali, conducendo operazioni di bonifica in aree con presenza di ordigni pericolosi per la navigazione militare ma soprattutto per quella del traffico mercantile.
Ricordo brevemente le operazioni in Golfo Persico e, non ultima, la bonifica delle bombe in Adriatico, dove i cacciamine portarono a termine, in solo due mesi, una campagna di ricerca ordigni su una superficie marina equivalente a 20000 campi di calcio, effettuata con una precisione di navigazione inferiore ai 5 metri.
Inoltre, le unità di CMM hanno operato e operano tuttora in numerosi compiti di carattere duale in supporto ad altri Enti dello Stato e alla comunità civile come la recente Operazione Cerboli Pulita a favore del Dipartimento della Protezione Civile, apportando un grande contributo alla collettività teso a ripristinare gli equilibri ambientali dei fondali del golfo di Follonica.
Il futuro è dietro l’angolo e non può aspettare
La fisiologica obsolescenza dei mezzi in servizio ha necessitato interventi di ammodernamento urgenti e non più demandabili. Mentre le prime due unità della I serie sono state messe in disarmo, è attualmente in corso il programma di Ammodernamento di Mezza Vita (AMV) della classe Gaeta, un palliativo in attesa dell’entrata in servizio dei cosiddetti Cacciamine di Nuova Generazione (CNG). Il programma di AMV, ancora in corso, riguarda tra l’altro l’ammodernamento delle dotazioni delle unità con i seguenti sistemi:
un VDS (sonar a profondità variabile) forse il THALES 2093, in sostituzione dell’ormai vecchio AN/SQQ 14 IT, capace di operare fino a fondali di 300 metri, già in uso sulla classe Hunt della UK RN
- sistema integrato di comunicazioni, con residenti capacità SATCOM
- nuova versione del sistema di C2 come ulteriore evoluzione del sistema ERICA
- nuova camera iperbarica containerizzata
- modifiche strutturali nella zona poppiera con creazione di una zona coperta per la manutenzione dei veicoli
- migliorie tecniche e rinnovamento dei sistemi dell’apparato di piattaforma.
Guardiamo ora al futuro
I futuri Cacciamine di Nuova Generazione (CNG), di cui si auspica l’entrata in servizio nei prossimi dieci anni, dovranno avere elevate capacità di condotta delle operazioni di CMM per poter operare in aree con presenza di ordigni anche non convenzionali. La multidimensionalità della minaccia richiederà mezzi con spiccate capacità modulari e differenti sistemi autonomi subacquei al fine di operare in contemporanea con la nave madre.
Va compreso che l’utilizzo di diversi mezzi autonomi non è legato ad un semplice fattore di ridondanza ma rappresenta un importante moltiplicatore di efficacia, permettendo l’utilizzo di tecniche complementari nella stessa area per massimizzare le capacità di bonifica e ridurre i tempi di operazione.
In linea con analoghi progetti futuri di altre Marine occidentali, i CNG potrebbero quindi rispondere alle seguenti caratteristiche:
- dimensioni maggiori: > 60 metri lunghezza- > 13 metri larghezza
- dislocamento intorno ai 1000-1100 tonnellate
- due linee d’assi per la navigazione di trasferimento e due sistemi azimutali per la cacciamine
- unità pienamente integrate nelle Componenti d’altura in scenari complessi;
- maggiore autonomia e velocità di trasferimento (18 nodi);
- potenzialità Expeditionary (logistiche e operative) per poter operare per prolungati periodi in operazioni fuori area;
- supporto ad operazioni anfibie anche fuori area;
- disponibilità di imbarcare mezzi autonomi con diverse configurazioni operative (ricerca o neutralizzazione) in grado di operare in swarm contemporaneamente;
- messa a mare dei mezzi poppiera;
- veicoli a controllo remoto filoguidato (ROV) per la localizzazione, identificazione, neutralizzazione, con capacità intelligenti di manipolazione subacquea, impiegabili sia dall’Unità CNG che da mezzi autonomi di superficie.
Per quanto concerne i sistemi autonomi, la possibilità di impiegarli in maniera modulare, consentirebbe una capacità 3D alle operazioni di CMM con sistemi differenziati nelle tre dimensioni:
- AUV (Autonomous Underwater Vehicle) di diverse tipologie, capaci di operare in configurazione CMM fino a quote di 3000 mt. Dotati di diverse tipologie di sensori sonar, tra cui SSS e SAS, per la scoperta di ordigni, in futuro potrebbero essere affiancati in swarm con piccoli AUV in configurazione one shot killer (OSK).
- USV (Unmanned Surface Vehicle): mezzi autonomi di superficie (immagine), che in configurazione CMM potrebbero condurre sia operazioni di cacciamine o di dragaggio ad influenza (anche in modalità Jamming) o meccanico, sia trasportare altri mezzi (AUV o ROV) di fatto diventando un “sistema di sistemi”.
- UAV (Unmanned Aerial Vehicle): mezzi autonomi aerei che, in configurazione CMM, potrebbero contribuire per la scoperta di mine alla deriva, affioranti o in prossimità della superficie, o operare come radio relay per comunicare con altri mezzi autonomi (AUV e USV) in modalità stand off.
A quando la realizzazione di una nave dedicata per il supporto complesso di operazioni di CMM?
La mancanza di un’unità di supporto dedicata per le OPS di CMM ha da sempre rappresentato un importante gap capacitivo per la MM italiana, parzialmente coperto nel tempo con differenti tipi di unità.
È auspicabile che la Marina Militare confermi la realizzazione di un’unità di supporto complesso che dovrà assumere in futuro un ruolo ancora maggiore di quello precedentemente attuato, divenendo un fondamentale hub operativo C4I per operare in maniera completamente integrata in real time con le unità delle forze di altura.
In futuro, con l’ingresso in linea dei primi CNG, sarà quindi necessario disporre di questo tipo di unità al fine di poter operare per prolungati periodi di tempo in completa integrazione con un task group di CMM anche in aree operative lontane come i choke point strategici.
Tale capacità permetterà la completa integrazione della capacità di CMM nazionale nelle Componenti d’altura, accentuando le potenzialità expeditionary e garantendo un adeguato supporto alle capacità di Strike Group e anfibie fuori area. Non ultimo la sua maggior velocità di trasferimento consentirebbe di arrivare nell’area prima dei mezzi specialistici e iniziare ad operare con sistemi autonomi in stand off. Ma i compiti futuri potrebbero non essere limitati alle attività, per così dire, tradizionali.
Conclusioni
Le sfide del terzo millennio richiederanno l’assolvimento di compiti sempre più impegnativi con un forte impatto per la protezione delle infrastrutture civili marittime. Ad esempio il monitoraggio e protezione delle reti di comunicazioni subacquee (dove viaggiano tra l’altro i flussi dati internet) e gli oleodotti e gasdotti necessari per il sostentamento delle economie occidentali. Non ultimo, la protezione delle future attività per lo sfruttamento dei minerali sui fondi oceanici che rappresenta una nuova sfida in un mondo in continuo sviluppo industriale in cui l’oggi è già ieri.
Si auspica che questi programmi di sviluppo della componente di guerra di mine siano perseguiti nei tempi previsti, ricordandoci che chi non ha memoria della storia, è ahimè spesso destinato a riviverla.
Immagini: U.S. Naval Institute / The Daily Grind / Marina Militare / Intermarine / web