Inclusione che parola importante, talmente importante da erigerla a tema con cui il ministero della Difesa accompagnerà la parata del 2 giugno 2019, ma inclusione di chi? Di cosa? Non è dato sapersi, ma ci faranno di sicuro una bella conferenza stampa.
Un tema originale per una sfilata militare, strumento un tempo utilizzato con fini di politica internazionale e volto a mostrare le capacità belliche e la determinazione di uno Stato, ma forse non è questo l’obiettivo odierno dello sfilamento di forze e chissà quali arzigogoli concettuali ci si dovrà inventare per far stare assieme i bombardamenti su Belgrado con i morti in mare nel Mediterraneo, piuttosto che la Seconda Guerra Mondiale con il terremoto in Abruzzo, per non parlare delle undici Battaglie dell’Isonzo con la disabilità.
È chiaro che quelle precedentemente elencate sono tutte cose che tra loro non hanno nulla a che vedere, ma ciò su cui si vuole porre l’accento è proprio questo, la tendenza ormai comune, quando non si ha nulla da dire nel proprio ambito, ad invadere maldestramente quello altrui.
È evidente che per parlare di inclusione il Ministero della Difesa non ha nulla da raccontare in termini di difesa e sicurezza, se intende dare ai cittadini italiani un messaggio sull’inclusione deve aver completamente modificato i propri parametri di approccio comunicativo ed i gruppo obiettivo di riferimento, peraltro gettandosi in un argomento rischioso, perché quando si parla di inclusione occorre entrare nell’ambito degli esclusi; gli esclusi sono colori i quali non possono, attraverso le proprie forze fare sentire la propria voce, sono gli individui posti ai margini, sono quelli di cui si ha vergogna o ribrezzo, talvolta paura, spesso odio.
Volete un esempio di esclusi? Due bimbi disabili, due fratellini, una femmina ed un maschio, stanno sempre assieme, a vederli da lontano non diresti mai che hanno dei problemi, ma poi avvicinandoti al loro mondo ti rendi conto che navigano su un altro pianeta, i genitori combattono giorno e notte perché non restino esclusi, ma il sistema sociale è costruito per escluderli e forse non è nemmeno del tutto incomprensibile, a voler andare ai loro ritmi sarebbe come viaggiare sulle montagne russe, un po’diverte, ma alla lunga dà la nausea, però ad un genitore non pesa e con molta pazienza il senso di vertigine passa, il problema è il mondo che c’è fuori e quanto sia disponibile a sopportare questo continuo fastidio, da qui il problema dell’inclusione.
Un compagno di asilo del maschietto sintetizzò perfettamente l’incapacità di includere dicendo alla mamma: “sono due fratelli una non capisce e l’altro mena.”
Includere una bambina disabile vuol dire imparare a comunicare con lei, offrirle servizi sanitari adeguati e magari finalizzati a contenere o eliminare la sua disabilità, talvolta con interventi costosissimi, strumenti all’avanguardia: “li sanno fare solo in America o in pochi altri posti!” Si sarebbe detto un tempo, ma qui c’è la crisi e poi quanti disabili ci sono in giro, in fondo imparerà a conviverci anche lei, ma se la disabilità è multipla?
Se si hanno difficoltà alla vista, all’udito, se non si parla, se si ha qualche problema di deambulazione? Allora la cosa si complica ed il sistema sociale reagisce, va in protezione, la burocrazia alza un muro, i costi diventano incredibili, la scuola non ne vuol sentire parlare di abbassare i suoi standard e quindi anche solo variare l’andamento temporale della scuola può diventare una richiesta assurda, senza tenere conto del meccanismo contorto con cui viene governato il sostegno scolastico per cui, con le dovute eccezioni, maestre frustrate in attesa di scalare la graduatoria di merito per lo zaloniano posto fisso, si sacrificano a fare le badanti di bimbi in difficoltà con il sogno di poter un giorno salire in cattedra e spiegare a bimbi normali che il decreto sicurezza è uguale alle leggi razziali.
E se la disabilità è mentale? Se c’è l’Autismo?
Includere un bambino autistico è un ossimoro in se, semplicemente perché è lui che non consente di farlo, per lo meno per come si intende comunemente la relazione o comunque con i tempi normali delle relazioni normotipiche: diffidenza, paura del diverso, senso di inadeguatezze, percezioni alterate sono tutti schemi con cui un autistico convive quotidianamente e dentro i quali occorre entrare se si desidera immaginare di stare nel suo mondo.
Anche qui la macchina burocratica ci mette del suo per ostacolare un qualsiasi tentativo di integrazione sempre con scuole non adeguate, maestre non formate e costi di gestione delle terapie completamente a carico delle famiglie ogni tentativo di normalità è una pia illusione.
Sì perché l’autismo non è una malattia, è un disturbo e come tale non ha una cura, in tali condizioni i trattamenti, per quanto affidati a protocolli scientifici sono un po’ come le zigulì, le vendi in farmacia, ma non puoi farle prescrivere dal dottore ed allora proliferano ONLUSS, meritorie per carità, ma che disperdono risorse e professionalità in rivoli e rivoletti locali con lo scopo di calmierare i costi delle terapie a pagamento ed al fine di creare momenti di socializzazione più o meno strutturati, ma comunque sempre poco spontanei, il tutto condito da raccolte fondi e troppa indifferenza che dà a questo mastodontico sforzo privato la sembianza di una gabbia dorata, sono lo zucchero che fodera l’amara pillola della segregazione riservata alla disabilità mentale, altro che inclusione.
Che situazione complessa e quante come queste riempiono il territorio nazionale, triste e terribile per certi aspetti, si direbbe un accanimento del destino, eppure di fronte a situazioni come queste, simili e talvolta anche peggiori le famiglie lottano, tentando invano di coinvolgere ministeri competenti e non, funzionari preposti e dirigenti responsabili, ma avendo sempre la sensazione di confrontarsi con gente che pensa di dover gestire una mastodontica rottura d’anima, pensiero che impera anche nella mente dei datori di lavoro dei genitori di minori disabili, poiché le esigenze di queste famiglie sono percepite come delle vere e proprie iatture, al pari della maternità, quindi se non si può licenziare meglio il ghetto con comportamenti e frasi oltre i limiti del mobbing, anche perché la legge 104 del 1992 è un mostro di trent’anni, mai adeguato ai tempi moderni ed ampiamente abusata da una banda di lazzaroni pronti a simulare pur di ottenere qualche ora di permesso da trascorrere nell’inerzia della propria obesa stupidità.
Discorso complesso e non certo comprimibile in queste poche righe, ma di cui la Signora Trenta non sa assolutamente nulla ed è per questo che si permettere di invadere un campo minato fatto di silenzio, rifiuti e sofferenze, non basteranno certo quattro carrozzine e due sindaci a fare del 2 Giugno una festa della Repubblica dignitosa prima che inclusiva, non è corretto lanciare il sasso e poi nascondere la mano sui social network affermando che l’inclusività consta esclusivamente nelle sopraddette quattro carrozzine, se non altro perché chi è inchiodato su quegli ausili non è corretto venga utilizzato come una pubblicità progresso vivente.
Ma vedrete, alla sfilata tutto andrà bene e ci si sperticherà a celebrare qualche soldatessa che ha affettuosamente donato un giocattolino ad un bimbo, ci si ricorderà di questo o di quello finito male, ma non malissimo per servizio e che adesso è un campione dello sport paralimpico ed altre amenità ad uso e consumo di un pubblico ignorante, insensibile e la cui inclusività la si può misurare nel numero di parcheggi riservati ai disabili ed occupati abusivamente o nella quantità mostruosa di falsi invalidi presenti in questa scellerata nazione.
Sarebbe il caso che ognuno stia al suo posto e che i ministri facciano il proprio lavoro in modo silente, così, giusto per evitare che frasi scomposte dette in momenti di inutile euforia consentano di far emergere il vuoto pneumatico di argomenti ornati solo di belle, ma assolutamente inutili chiacchiere.
GDT