Viviamo tempi complicati. Non credo si possano definire più pericolosi di altri: sicuramente sono più complessi.
Le informazioni (cioè gli input che ci arrivano da ciò che ci circonda) sono diventate velocissime, e impattano con la nostra vita senza darci letteralmente il tempo di riflettere ed elaborare correttamente le reazioni e le contromisure comportamentali necessarie.
Pensiamo solo ad un secolo fa: per avere notizia di un fatto accaduto anche solo a 300 km da noi si aspettavano ore, se non giorni (censura permettendo), e le immagini erano quasi esclusivamente i disegni delle copertine della Domenica del Corriere. Le foto, sui giornali, arrivarono solo parecchi anni dopo, in Italia in particolare (prima, al solito, cominciarono gli USA con Life, Time Magazine, ecc.). Questo però permetteva di almeno provare a pensare, riflettere e formare una opinione.
La realtà che stiamo affrontando dovrebbe portare chiunque a riflettere sui pericoli che potremmo dover affrontare: per strada, in un locale pubblico, allo stadio, su un mezzo di trasporto come un autobus, un tram, un treno o un aereo. O (dio non voglia) una scuola.
E questo non perché "i tempi sono cambiati", i pericoli ci sono più o meno sempre stati (statistiche alla mano), è perà sicuramente cambiato il flusso delle informazioni disponibili al riguardo.
"Avevano più capacità di reazione i nostri nonni e padri". Lo sento ripetere di continuo e sono d'accordo.
Quello che non sento spiegare è il perché di questa diversa capacità. Mi sono dato una risposta, o almeno sto provando a darmela.
I nostri nonni e genitori hanno vissuto periodi che definire "più duri dei nostri" suona persino ridicolo: le due guerre mondiali, il cibo relativamente poco disponibile (diciamo non "così disponibile", ovunque e di ogni tipo), la mancanza di medicinali antivirali e antibatterici (epidemie di tifo, di colera, batteriche e influenzali, sono state secretate dal regime di allora), una differenza tra classi reale, la mancanza quasi assoluta di ogni diritto del lavoratori e, soprattutto, molti molti meno soldi in giro.
Tutto questo però teneva "sveglia" la gente, rendeva reattivi, attenti, pronti a cogliere al volo e istintivamente ciò che "non quadrava" in un certo contesto, anche in uno di quelli che, a prima vista, sembrava normale.
Mio padre era un milanese di Porta Romana, del 1932. Un'epidemia tifoidea lo colpì a 9 anni e lo lasciò in un letto per un anno intero. Durante una crisi gli fu impartita l'Estrema Unzione. Restò vivo.
La guerra poi arrivò a Milano, e questa lo rese un bambino-gatto randagio. I suoi genitori si arrangiavano come potevano (non aggiungo altro), due fratelli più grandi morti, alcuni uomini della famiglia, arruolati, erano già morti in Africa e in Russia.
Una notte, mentre rubava delle scarpe da un treno inglese allo Scalo Ferroviario Romana, gli spararono (probabilmente con un Enfield calibro .303, un proiettile che si usa ancora oggi per la caccia grossa). Aveva 13 anni.
Gli chiedevo spesso di vedere quel buco cicatrizzato che aveva in una coscia, e di raccontarmi di quando lui era un bambino come me. Mi raccontava che la cosa che più brutta era la mancanza di sonno, continuare a svegliarsi durante la notte per gli allarmi aerei e andare in cantina. La fame, la paura, il freddo, la violenza assurda e stupida... ma la mancanza di sonno, mi spiegava, era una cosa diversa, quasi ipnotica, che lo spinse, notte dopo notte, in uno stato di trance che, di fatto, lo trasformò in un uomo a 12 anni. Non gli interessava più molto, a quel punto, vivere o morire. Faceva semplicemente del suo meglio per sopravvivere.
Noi, non abbiamo la minima idea di cosa furono "quei tempi", e dei loro effetti potenziali sulla psiche di chi li ha vissuti.
Ho passato 10 anni della mia vita nell'Esercito, di cui circa 9 all'estero, anche in posti "particolari" e in alcuni di questi ho trovato dei "confini" del nostro mondo. Eppure, se penso a ciò che hanno vissuto i miei genitori e nonni in quegli anni, giorno dopo giorno, non smetto mai di sbalordirmi della loro capacità di resistenza. Della loro resilienza.
Oggi, guardo i miei figli, di 26 e 18 anni. Al di là di ciò che penso sulla loro relativa capacità di reazione, di affrontare un pericolo, una cosa mi è assolutamente chiara: li devo proteggere. E non ho molte alternative, devo spiegare loro il valore dell'essere sempre "presenti a se stessi".
Va subito messa in chiaro una cosa: il coraggio non si insegna!
"Combatti o fuggi" è l'ancestrale e naturale reazione che determina il tipo di risposta che ci ha fatto sopravvivere su questo pianeta, da quando lo abitiamo più o meno civilmente. O morire.
Quello che qui cercherò di spiegare è che il coraggio non si usa solo per combattere: serve "coraggio" anche per fuggire. Solo che bisogna saperlo fare bene, senza diventare la più facile delle prede, o il migliore dei bersagli.
Dare la schiena al nemico e scappare non è (quasi) mai la scelta migliore per affrontare un attacco: la pallottola che ci insegue sarà sempre più veloce di noi. Inoltre, l'attenzione del nemico sarà istintivamente attratta da una fuga, specie se solitaria e urlante.
L'effetto sorpresa (non solo in ambito terroristico) è una delle chiavi del successo di chi attacca: il tuono di uno sparo, l'esplosione di un ordigno, l'aggressione con un'arma da taglio, inaspettati, shocca anche un veterano addestrato: figuriamoci un pacifico e inconsapevole civile!
Quindi, cosa fa (o potrebbe fare) la differenza durante un'aggressione? I tempi di reazione e il controllo di se stessi. Sapere che, chiusa alle nostre spalle la porta di casa nostra, da quel momento ci stiamo addentrando in un "territorio sconosciuto", nel quale potremo incappare (potenzialmente) in varie situazioni di pericolo.
Non sto dicendo che dobbiamo uscire di casa con il giubbotto antiproiettile per andare a fare la spesa (non fate però questa considerazione in presenza di chi si trovava a Parigi la notte del Bataclan), ma che va attivato uno stato di coscienza "diverso".
Bisogna che il "fare attenzione", torni ad essere semplicemente il modo più coerente di vivere le città: già questo basterebbe a salvare una buona percentuale di persone (che se magari tirassero su la testa dallo smartphone ogni tanto sarebbe anche meglio).
Posso garantire che anche il solo subconscio pensiero "sto uscendo di casa, devo fare attenzione", fornisce già un certo margine di riduzione dei tempi di reazione.
DISCIPLINA e ADDESTRAMENTO
Se si lascia per un attimo il contesto "military" di questi termini, si può capire il loro valore in ogni ambito e contesto. Si faccia pure riferimento a sinonimi civili, purché si applichi "sul campo" quello che essi prescrivono.
La Disciplina è un insieme di norme da rispettare e di tecniche da eseguire. Addestramento significa prepararsi ad affrontare, al meglio delle proprie capacità psicofisiche, una serie di situazioni.
Niente di più, niente di meno.
Nel nostro caso, DISCIPLINA e ADDESTRAMENTO sono regole di sopravvivenza assolute che, se inquadrate anche in prospettiva MOTIVAZIONALE, sono indispensabili per far trovare a tutti noi quella VOLONTÀ DI AGIRE, che è la vera via verso la SALVEZZA, attuando quelle azioni, razionalmente semplici ed istintive (molto più di quel che si pensi), che possono fare la differenza in determinati contesti.
Tutti noi abbiamo a disposizione "armi" che dovremmo imparare a conoscere come fondamentali. Per esempio, ci sono due cose semplicissime che dovremmo imparare a fare subito.
La prima è RESPIRARE NORMALMENTE, in una situazione di pericolo. Sembra una cosa scontata, ma è la prima cosa che moltissime persone "si dimenticano" di fare, sotto stress. E se troppo poco (o troppo) ossigeno arriverà al cervello, perderemo il controllo di noi stessi, e non avremo più la facoltà di pensare in modo razionale e veloce. A quel punto, è molto probabile che faremo qualcosa di stupido, tipo diventare bersagli facili.
Bisogna dare al nostro cervello il tempo di PENSARE razionalmente e RESPIRARE normalmente è essenziale a questo fine.
"Il panico uccide più delle pallottole"
Un veterano una volta mi disse: "Se mantieni la calma mentre tutti quelli che hai intorno vanno fuori di testa, è possibile che ti salvi. La gente fa cose assurde durante un attacco o in una situazione di pericolo. Poi molto spesso manco si ricorda di quello che è successo veramente". Molto interessante direi, una delle lezioni più importanti che io abbia mai appreso .
Restare "PRESENTI A SE STESSI" quindi.
Stare calmi: certo vale in qualunque contesto ed è la chiave per comprendere correttamente e razionalmente cosa ci sta accadendo intorno. Questa sarà l'altra arma di salvataggio da usare. O una scialuppa sulla quale salire, se si vuole.
Purtroppo, molto spesso, "restare calmi" è un atto che va contro la nostra natura. Ma dobbiamo pensare che, reagire con stupida aggressività o con fatale remissività, sono due facce della stessa medaglia, una moneta con la quale non possiamo permetterci di pagare, ad un certo punto, il conto più caro della nostra vita.
Ogni essere umano dovrebbe avere l'obbligo di differenziarsi a livello comportamentale da un animale, preda o predatore che sia.
Gli uomini possono essere paragonati a "pecore", o "lupi": se questo è vero allora allora noi potremo voler essere il più vicino possibile a dei "cani pastore". Dipende da noi.
STARE BASSI
Non è fuggire dando la schiena al nemico la prima opzione di salvataggio da attuare (a meno di trovarsi vicino a una favorevole via di fuga, ovviamente). Buttarsi subito a terra, offrendo meno "bersaglio" possibile. Ritrovare respiro e calma (al meglio delle nostre capacità), rendersi conto di ciò che sta accadendo con più chiarezza possibile e, se presenti, occuparsi dei nostri cari imponendo loro le stesse nostre azioni e motivazioni. E, da terra, strisciare e/o rotolare verso una via di fuga, o un riparo.
È essenziale, ripeto essenziale, muoversi, continuare a muoversi strisciando e rotolando, certo possibilmente allontanandoci ma, se saremo nella linea di mira del nemico, muoversi sempre, diventando così un bersaglio meno facile da colpire. Probabilmente non avremo a che fare con persone altamente addestrate, ma solo con degli "sparatori nel mucchio", anche se purtroppo dotati spesso di micidiali armi d'assalto per la fanteria, come fucili, pistole, e armi da taglio.
Guadagnamo tempo che, anche se misurato in secondi, vale come un'eternità durante un attacco. Diamo per scontate, ovviamente, la confusione assoluta e la quasi impossibilità di udire, data dal danneggiamento dei timpani, specie in un ambiente chiuso, degli spari.
Se siete già stati colpiti sarete sotto shock, e allora sarà quasi sicuramente finita. Ma se non ve ne siete neanche accorti, e capita abbastanza spesso, approfittatene: non c'è tempo di occuparsi di nient'altro che scampare (nel senso letterale del termine).
Se si potrà accedere ad una stanza o un ripostiglio (così però smetteremo di muoverci...), va saputo per certo che il proiettile di un fucile d'assalto, o di una pistola, "buca" con relativa facilità porte e muri. State il più bassi possibile vicino alla base muro più prossima a lato della porta. E non gridate. Ogni predatore è attratto dalle urla di panico e paura.
Arriva un momento in cui il nostro istinto può spingerci ad una reazione, magari perché ha colto (lui, l'istinto) una possibilità e vogliamo porre fine al terrore per noi e magari i nostri cari (ad esempio un cambio caricatore o un inceppamento dell'arma del terrorista).
Se così sarà, puntare all'arma, SEMPRE, non al terrorista. Impedire all'arma di funzionare: il resto non conta. E, se riusciremo ad imposserrarcene, non provare a spararci, ma usarla subito come un corpo contundente, un bastone, una mazza. Non conta uccidere il terrorista, ma renderlo a sua volta una preda.
Ci sarebbe altro da dire, ma fermiamoci qui. Mi rendo conto che parlare di questo argomento, provando a razionalizzare, sfiora il paradosso. Ma sento che è mio dovere provarci. Più di questo, in questo momento, non posso fare.
Ognuno poi scelga per sé la cosa più giusta da fare.
Respirate, e state bassi.
Buona fortuna.
Immagine: OpenAI