Il mestiere delle armi nell’Italia del 4.0

(di Stefano Panato)
15/02/18

Sembra quasi inconcepibile che fino ad una generazione fa non esistesse internet, non esistessero smart-phones, non esistesse il GPS, non esistesse la fotografia digitale, non esistessero i social… tanto questi strumenti sono diventati parte della vita di tutti i giorni. È stata una rivoluzione ispirata dalla tecnologia e che rapidamente ha investito ogni campo della socialità. Nell’Italia del 4.0 è cambiato il modo di lavorare, il modo di produrre, il modo di comunicare, il modo di viaggiare, il modo di informarsi… e si è grandemente ridotta anche la percezione della minaccia agli spazi vitali nazionali.

Fra i tanti e radicali mutamenti sociali sembra però non essere mutata nei giovani italiani l’attrattività della carriera militare. Anzi, a giudicare dai numeri di coloro che si presentano ai concorsi, sembra addirittura che questa sia aumentata rispetto ai tempi della guerra fredda. Questo, nonostante il livello retributivo e la considerazione sociale per la professione militare non siano mutate significativamente nel tempo e le prospettive di miglioramenti futuri appaiano piuttosto scarse.

Pur scontando il dato occupazionale, che esiste ed è inutile negare, il fenomeno dei tanti giovani che oggi aspirano ad una professione militare è significativo e merita di essere analizzato. In particolare è utile focalizzare l’attenzione sui tanti giovani che concorrono per le Accademie, in quanto per preparazione di base sembrerebbero disporre di più opzioni di impiego rispetto ai giovani partecipanti ad altri concorsi militari. A sua volta questo esercizio è di aiuto per individuare le sfide che questi giovani aspiranti ufficiali, diventati classe dirigente, dovranno affrontare.

Il professor Fabrizio Battistelli, che è un accademico molto attento all’universo militare, ha fornito una spiegazione sociologica di questo fenomeno. Secondo lo studioso negli anni 80 del secolo scorso vi è stata nel mondo occidentale e in quello italiano in particolare la progressiva trasformazione da un modello di organizzazione militare definibile moderno a un successivo modello definibile come post-moderno.

Incidentalmente questa trasformazione ha coinciso con il tramontare della guerra fredda.

Laddove dal dopoguerra fino agli anni 80 all’interno del mondo militare erano prevalenti delle dinamiche volte ad una più spinta qualificazione tecnica del personale, alla sua specializzazione e ad un progressivo avvicinamento fra i gradi e i ruoli: nel post-moderno si sono progressivamente imposte anche altre motivazioni definibili come “edonistiche”. Autorealizzazione e ricerca di nuove e stimolanti esperienze sono da allora le motivazioni dominanti all’interno della compagine militare, insieme al bisogno di una preparazione olistica degli individui che valorizzi quella strettamente specialistica. Di pari passo il riconoscimento di meriti e capacità individuali viene percepito come necessario per il superamento di appiattimenti e di omogeneizzazioni giudicate limitanti e ingiuste.

Il crescente impiego fuori area, che è il tratto prevalente dell’impegno militare post guerra fredda, risulterebbe quindi maggiormente in sintonia con le intime aspirazioni dei militari italiani di oggi: molto più del piatto e logorante impiego statico dei tempi della guerra fredda, assimilabile per molti tratti ad un contesto da “Fortezza Bastiani”.

L’analisi del professor Battistelli appare convincente, ma vi e anche dell’altro e riguarda il contesto militare e specificatamente la concretezza che ha acquisito dopo la guerra fredda.

Apparentemente il contesto della guerra fredda era chiaro e lineare: nella realtà era il contrario e ad una analisi minimamente accorta traspariva tutta l’artificiosità e anche l’ambiguità di molti assunti di quell’epoca.

Benché il nemico fosse ben identificato e fossero previste delle modalità di difesa ben chiare, che poi erano quelle di sempre: alleanze contro alleanze, eserciti contro eserciti in straordinaria continuità con quello che era sempre avvenuto nel passato, i più avvertiti, soprattutto fra i militari, percepivano il dato artificioso di queste pianificazioni. Appariva ambiguo inoltre un certo modo di intendere la sovranità nazionale che si traduceva in una equidistanza difensiva da tutti i vicini: alcuni anche alleati. Non dichiarata esplicitamente, ma ben presente nei fatti e concretizzata nei piani e nello schieramento dei Reparti che rispondevano al criterio cautelativo del “non si può mai sapere”.

Per quanto riguardava la difesa da una ipotetica aggressione del Patto di Varsavia, se era chiaro cosa fare in quanto veniva ossessivamente ribadito nelle esercitazioni, non era altrettanto chiaro il perché farlo. Sfuggiva infatti la motivazione di fondo per cui i Sovietici avrebbero dovuto invadere l’Europa occidentale e quindi anche l’Italia, destinate ad essere ridotte a cumuli di macerie fumanti.

La stessa orgogliosa affermazione della piena sovranità nazionale in tema di difesa creava molte perplessità in quanto non si riusciva a figurare da quali vicini ci si sarebbe dovuti difendere.

Così come lasciavano perplessi delle forze armate strutturate per avere “poco ma di tutto” in base al principio cautelativo del “non si sa mai”. Le perplessità aumentavano quando si constatava che per varie ragioni il “poco di tutto” spesso diventava “un po’ troppo poco” per essere credibile.

Tutto questo appartiene ormai al passato, anche se è ancora vivo nella memoria delle generazioni che hanno vissuto quei tempi di guerra fredda.

Oggi il contesto è più complesso ma sicuramente meno artificioso e meno ambiguo. Si parla di sicurezza e difesa, da minacce anche non statuali, come un tutt’uno. Si ragiona in termini di approcci multinazionali invece che nazionali e si ipotizzano scenari asimmetrici di impiego delle forze armate, che sono esigenze militarmente più realistiche, meno ambigue e più sentite dalla comunità nazionale rispetto a quelle della guerra fredda.

Il superamento di talune storiche ambiguità di contesto militare, unito alla evoluzione sociologica della Istituzione militare sono quindi i fattori che rendono una carriera di responsabilità nelle Forze Armate della Repubblica ancora così attraente per tanti giovani che aspirano ad entrare nelle Accademie. Sarebbe ingiusto negare anche motivazioni ideali in questi giovani che scelgono di servire la comunità nazionale: l’impressione però è che la loro idealità trovi una sua concretezza nei fattori sopra delineati piuttosto che in gesti ed espressioni retoriche.

Viene naturale, a questo punto, interrogarsi sulle sfide che questi giovani ambiziosi, appassionati e capaci, dovranno un domani affrontare quando assumeranno posizioni di responsabilità.

La prima sfida sarà quella di portare a finalmente a compimento una vera riforma della difesa che non sia l’ennesima riduzione lineare dell’esistente, ma superi definitivamente schemi concettuali ed organizzativi legati al passato.

Questo indurrà ad una più spinta integrazione interforze superando anguste ed ormai datate logiche di singola forza armata, sia sul piano organizzativo che concettuale. L’auspicio è che i comandanti di domani spendano meno risorse intellettive a discettare sulle mirabilie del potere aereo, oppure del potere navale e del potere terrestre. Esercizi intellettuali molto eleganti ma che sottendono la nascosta ambizione della supremazia dell’uno sugli altri, cosa che non ha più alcun senso. Nella realtà interforze di oggi e maggiormente in quella di domani tutti concorrono, ma nessuno è risolutivo singolarmente.

Altra sfida sarà quella di superare il paradigma dell’autosufficienza operativa a favore della complementarietà. In altre parole si dovrà passare da forze armate dotate di “poco ma di tutto” a forze armate dotate di “quanto effettivamente serve”. Sono questi dei concetti già delineati in ambito sia NATO che Unione Europea ai quali però occorrerà conferire sostanza.

Una sfida ulteriore sarà quella di non perdere il passo con lo sviluppo tecnologico.

La attuale generazione di dirigenti della Forza Armata è nata in un mondo essenzialmente elettro-meccanico ed analogico. Ora siamo pienamente nel mondo elettronico - digitale.

Passare dall’uno all’altro dei mondi non è stato facile per le generazioni che non sono nate digitali; esse hanno cercato di fare del proprio meglio, ma purtroppo non sono riuscite a sfruttare tutte le potenzialità del nuovo mondo tecnologico. Non per mancanza di capacità, ma per oggettive difficoltà dovute al gap generazionale. Sta nei dirigenti di domani, nativi digitali, cogliere questa sfida e sfruttare appieno le straordinarie possibilità che sono all’orizzonte del progresso tecnologico in questo settore

Infine si dovrà proseguire nello sforzo di internazionalizzazione avendo a mente l’obiettivo strategico dell’integrazione delle strutture di difesa nazionale in una dimensione più europea.

Sono queste delle sfide formidabili, soprattutto se rapportate alle angustie e alla prosaicità del clima presente che c’è nel nostro Paese, ma comunque tali da rendere il mestiere delle armi nell’Italia del 4.0 una professione ancora pienamente attraente.

(foto: U.S. DoD / web / Difesa)