Anna Sandri - Silvia Zanardi
Ed. Linea, Padova 2022
Pag. 141
Il 19 marzo 1914 “Venezia viveva, senza saperlo, gli ultimi mesi di serenità. La guerra era alle porte e, prima ancora che l’Italia entrasse nel conflitto, la città avrebbe pagato più di altre il prezzo della situazione internazionale.” Inoltre, il nuovo secolo aveva aggiunto un’altra bellezza a quelle già note in tutto il mondo: il Lido che, negli anni, divenne talmente famoso da diventare, per chi si recava a Venezia, “la prima,o l’irrinunciabile, cosa da vedere.[…] Era la modernità nel tempo in cui tutto era velocissimo e l’oggi era già futuro; era il piacere frivolo dello svago e dell’eleganza di una stagione che si sarebbe presto rovesciata nel lutto della guerra. ”
Così le autrici, giornaliste entambe, ci introducono a questo racconto di un appuntamento con il destino, destino che “mescola le carte, poi le mette sul tavolo: nel momento in cui il gioco è cominciato, tornare indietro è impossibile. […] Il 19 marzo 1914, a Venezia, il destino le carte sul tavolo le mette alle 17.10, quando il vaporetto numero 7 dell’Azienda comunale di navigazione interna molla gli ormeggi dal pontile di Santa Maria Elisabetta al Lido e mette la prua verso i Giardini.” A bordo ci sono circa sessanta persone. “Negli stessi istanti in cui il vaporetto inizia la traversata, dal canale Orfano, alla sinistra, avanza una torpediniera che rimorchia una chiatta. Dall’Arsenale è appena decollato un idrovolante.” Nell’Arsenale, infatti, aveva sede la prima squadriglia di idrovolanti della Regia Marina. Pochi minuti dopo la torpediniera piomba sul vaporetto e gli squarcia, con il suo sperone, la fiancata sinistra, causandone, in pochi secondi, l’inabissamento.
“È bastato un minuto perché tutto accadesse: la torpediniera che lancia l’allarme con la sirena, il vaporetto che prima tenta di rallentare la corsa e poi prova a dare il “macchine avanti tutta” per evitare l’impatto. Non c’è nulla da fare: lo schianto è devastante.” La macchina dei soccorsi si mette subito in moto. Alcuni si salveranno, altri no. Tra quelli che non ce la faranno c’è il Tenente di Vascello Luigi Bossi che, proprio mentre sta per essere messo in salvo sulla torpediniera, decide di dirigersi verso una donna che stava annegando: “muore nel tentativo inutile di salvare una vita.” Ad attenderlo, all’arrivo del vaporetto, c’era la moglie Ada, che lo aspetterà inutilmente. Tante sono le storie riportate in questo racconto, come quella di Elena Fortunata Mingardi, che lavorava nella Lavanderia Corbella. “Non ci saranno fidanzati a piangere sulla bara di Fortunata, ma ci sarà un piccolo mondo di affetti quotidiani.”
Perderanno la vita anche Angelo Samassa, imprenditore, Peter Merchinskij, viceconsole russo e il professor Agostino De Marchi che “non si è mai sposato per potersi dedicare alla scuola”, sacrificando, così, la sua vita privata per poter compiere la sua missione di insegnante. Ci sono anche i sopravvissuti in questa tragedia. “Sopravvivere non è facile. Passi il resto della vita a chiederti il come, il perché; ti senti in debito con chi ti era vicino e non ce l’ha fatta.” E c’è la disperazione dei familiari.
Alle 16: 15 del giorno dopo il vaporetto viene tirato su, restituendo altri corpi: tra questi quello dell’imprenditore Giuseppe Grisostolo. “Il destino lo aveva messo sullo stesso vaporetto di Angelo Samassa, che gli era concorrente ma prima collega e amico.”
Nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo, “lunedì 23 marzo 1914, sotto un cielo plumbeo, Venezia piange i suoi morti, in quella che i giornali locali definiranno una cerimonia mai vista, per solennità e partecipazione.” Tra le sessantatrè persone alle quali, quel giorno, il destino aveva dato appuntamento sul vaporetto numero 7, si conteranno sedici morti e quattordici feriti.
Il processo, che vedrà come imputati il timoniere del vaporetto e il comandante della torpediniera, si concluderà con la condanna, di ciascuno, alla pena di due anni di reclusione e di 1.500 lire di multa.
A futura memoria di questa tragedia sconosciuta ai più, in quanto avvenuta quando “c’erano già gli spari di Sarajevo nell’aria”, è posta una lapide nel cimitero di San Michele in Isola - in ricordo di Sarah McLean Drake e Janet Drake, madre e figlia, vittime anche loro di quel disastro - che ha spinto le autrici a ricostruire quanto accadde, in laguna, quel giorno.
“Sarah e Janet ci hanno chiesto di essere ricordate, e noi abbiamo dato loro ascolto: le pietre, nel silenzio, hanno voce.”
Gianlorenzo Capano