Il Mediterraneo si conferma sempre più come la pentola a pressione della geopolitica mondiale. Dopo le manovre navali russe nel Canale di Sicilia, che hanno per buona sostanza anticipato l’invasione dell’Ucraina, e la chiusura dei Dardanelli al passaggio del naviglio da guerra moscovita dopo l’attivazione della Convenzione di Montreaux da parte della Turchia, adesso è la Libia a tornare oggetto dell’attenzione delle potenze rivierasche dopo il giuramento prestato a Tobruk dal governo parallelo a quello ufficiale di Tripoli.
Il governo cirenaico, guidato dall’ex ministro dell’Interno tripolino Fathi Bashagha (foto seguente), è nato in aperta contrapposizione all’esecutivo di Tripoli di Abdel Hamid Dbeibah, il quale avrebbe dovuto portare il Paese a elezioni entro dicembre 2021 e che è incapace di portare a termine gli obiettivi che la comunità internazionale gli ha assegnato.
Il giuramento di Bashagha non è passato comunque “inosservato”, tant’è che tre ministri sono stati sequestrati dalla filo-tripolina Misurata Joint Operations Force. Nello specifico i miliziani misuratini hanno catturato il titolare degli Esteri Hafed Gaddur, già ambasciatore a Roma tra il 2006 e il 2012, la nuova ministra della Cultura, Salha Al Druqi ed il ministro dell'Educazione Tecnica Faraj Khaleil. In più, lo spazio aereo di Tripoli e Misurata è stato chiuso a partire dalle 9:00 del mattino e per tutta la notte su ordine del governo di Dbeibah, così da impedire ai ministri dell’esecutivo Bashagha di raggiungere la capitale dopo la cerimonia di giuramento. Gaddur tra l’altro è stato liberato il 4 marzo, quasi immediatamente, comunicandolo su Facebook.
Già nei giorni scorsi il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres aveva espresso preoccupazione per le procedure non propriamente regolari (intimidazioni principalmente) con le quali Bashagha aveva ottenuto la fiducia del Parlamento di Tobruk. Si pensa che questo possa essere, con tutta probabilità, l’inizio di una escalation che possa condurre ad una nuova guerra civile nell’ex colonia italiana.
La situazione politica è difficilmente gestibile ed ha di fatto palesato quelle che sono le spaccature tra i misuratini. Fathi Bashagha è stato nel corso di questi anni uno dei più influenti capi miliziani di Misurata ed ha rafforzato il suo potere politico-militare a Tripoli proprio grazie al suo ruolo, senza contare che dall’arrivo dei Turchi in Libia egli è diventato uno dei più importanti esponenti del partito filo-turco (Difesa Online si era occupata di Fathi Bashagha in questi articoli: "Libia: estromesso il ministro filo-turco Bashagha. Uno spiraglio per l'Italia" e "LIBIA: reintegrato Bashagha con poteri dimezzati. La vittoria di Sarraj e l’occasione per l’Italia"). Sabato 19 febbraio la Misurata Joint Operations Force guidata dal colonnello Ibrahim Mohamed è entrata nella capitale del paese per sostenere la legittimità di Abdel Hamid Dbeibah come capo del governo libico.
Le forze congiunte di Misurata, Khoms e Zliten, con circa 300 veicoli armati, hanno sfilato all'arrivo nella Piazza dei Martiri di Tripoli.
Il colonnello Mohamed, dichiaratosi contrario al “governo dell’esercito” (cioè quello di Tobruk) ha chiesto di garantire il corretto processo democratico libico e l’indizione quanto prima di nuove elezioni, esprimendo quelle che sono state le giustificazioni di Dbeibah all’occupazione in armi della capitale. Ovviamente si tratta di utili orpelli per nascondere il reale scopo politico (e para-politico) dell’occupazione della capitale, cioè puntellare Dbeibah al governo e rafforzare i gruppi misuratini anti-Bashagha e che sono, per buona sostanza, in realtà ostili alla transizione che ne ridurrebbe drasticamente poteri e fonti di sostentamento.
Venerdì, le strade e le piazze principali di Tripoli e Misurata (dove Dbeibah aveva radunato i suoi sostenitori) sono state teatri di partecipate manifestazioni di rifiuto della decisione della Camera dei Rappresentanti di Tobruk, presa il giovedì precedente, di dare la fiducia a Bashagha.
I manifestanti hanno chiesto il rovesciamento della Camera dei Rappresentanti e dell'Alto Consiglio di Stato ed il mantenimento in carica del governo di unità nazionale guidato da Abdel Hamid Dbeibah.
Questi i prodromi che hanno portato alla mancata “marcia su Tripoli” del governo cirenaico e al sequestro dei tre ministri di Bashagha; per buona sostanza al riaccendersi del conflitto libico che, nonostante i “buoni propositi” dell’ONU, ha covato sotto le ceneri a causa del mancato accordo tra la Russia e la Turchia, le potenze garanti degli interessi rispettivamente della Cirenaica e della Tripolitania.
Una nota di colore, il 21 febbraio l’Agenzia Nova ha riportato che i mercenari russi del gruppo Wagner, presenti in Libia dal 2019 a sostegno di Haftar e longa manus del Cremlino negli affari del Paese nordafricano e nelle contese zone della Françafrique, si sono ritirati da tutte le loro posizioni e sale operative nella città di Sokna, nel centro del Paese e dalla strada che collega le città di Ueddan e Sirte, i centri della presenza moscovita in Libia. I combattenti Wagner si sono poi diretti alla base aerea di al-Jufra portando loro equipaggiamento completo ed i sistemi di difesa aerea “Pantsir”.
Alla pubblicazione della notizia non si era ben capito perché i Russi avessero deciso di abbandonare posizioni consolidate e d’importanza strategica in Libia; oggi è ipotizzabile pensare che i mercenari della Wagner dovessero e debbano svolgere particolari mansioni nel corso dell’invasione dell’Ucraina che sarebbe scattata di lì a pochi giorni, il 24 febbraio di preciso.
La situazione sul campo resta particolarmente fluida, l’agenda dell’ONU è praticamente saltata e la massiccia – anche se ricalibrata – presenza russa sul terreno lasciano pensare che la guerra in Ucraina causerà scossoni anche in Libia. Dunque per Roma la Libia resta uno scenario da osservare con particolare attenzione sia per i rischi che per le opportunità che, inevitabilmente, ogni situazione di conflitto genera, almeno per chi è capace di sfruttarle.
Foto: web / RAI