Con il ritorno al potere del partito indipendentista taiwanese, la Cina sta rispolverando il vecchio obiettivo di riunificare l’isola alla madrepatria.
A tal fine, Pechino porta avanti una politica intimidatoria, finalizzata a dissuadere gli Stati Uniti – e altri attori della regione – a riconoscere Taiwan. A sostegno di tale azione, anche l’aviazione di marina (PLANAF) sta subendo una profonda ristrutturazione, con l’assegnazione di velivoli da pattugliamento marittimo a lungo raggio, radar e imbarcati. L’aeronavale basato a terra è in forte espansione, come pilastro del dispositivo A2/AD (Anti-Access/Area Denial), attraverso il dispiegamento di oltre 200 cacciabombardieri JH-7, in grado di sviluppare anche capacità SEAD ( Suppression of Enemy Air Defences), equipaggiati con pod di disturbo e missili antiradar pesanti YJ-91 (versione cinese del Kh-31 russo), e bombardieri strategici H-6.
Anche in questo settore Pechino sta modificando la propria strategia. Infatti se fino ad ora, la componente aerea aveva mantenuto un orientamento principalmente difensivo, ora sembra che le cose stiano cambiando visto il notevole incremento dei programmi di bombardieri, come il recente H-6N ma soprattutto il futuro bombardiere strategico H-20, dalla conformazione tutt’ala.
A sostegno di ciò sembrerebbe che, dal 2016, sia stata messa in servizio una versione rifornibile in volo del bombardiere H-6K, ampiamente modificata, che Pechino schiera in 50 esemplari.
Il velivolo ha un raggio d’azione di 3.500 km, quindi è in grado, con sei missili cruise KD-20 (dal raggio d’azione di 2.500 km, in grado di impiegare testate convenzionali e nucleari), di colpire la base americana sull’isola di Guam, ovvero uno dei principali asset di Washington nel Pacifico occidentale. È altresì interessante ricordare che una variante del KD-20, con una portata maggiore, è in fase di sviluppo nonché alcuni H-6K sarebbero stati dotati di sonda per il rifornimento in volo, con l’obiettivo di estenderne il raggio d’azione ricorrendo ai tre aerorifornitori IL-78 recentemente acquistati dall’Ucraina, come soluzione ponte, in attesa dei rifornitori prodotti localmente.
Un’altra strategia cinese è quella di far decollare gli H-6N (e in futuro gli H-20) con carichi molto più pesanti e poco carburante, recuperando la piena autonomia una volta in volo. Probabilmente questa nuova strategia trova riscontro nei recenti studi dell’industria bellica cinese circa la possibilità di avio-lanciare il missile balistico antinave DF-21D, o il DF-26. L’obiettivo di Pechino è dotarsi di una capacità dissuasiva ancora maggiore anche nei confronti dei gruppi di portaerei.
Il binomio H-6N e missile balistico antinave estenderebbe ulteriormente la bolla A2/AD all’amplissima zona compresa tra l’isola di Guam e le Hawaii, grazie alle gittate comprese fra i 1.700 km e i 4.000 km.
Ai bombardieri strategici bisogna aggiungere anche i caccia multiruolo russi Su-30 e la variante cinese J-16, entrambi utilizzati come piattaforme per il lancio di missili antinave o d’attacco terrestre supersonici come gli YJ-12 (capace di una velocità di mach 3,5).
Appare quindi evidente che l’industria cinese, allo stato attuale, sia in grado di produrre una vastissima panoplia di bombe e missili, pesanti e leggeri, come i CM-502KG o la bomba planante FT-7 da 130 kg. Tutto questo a sostegno delle dinamiche che sono in corso nelle forze armate cinesi, in quanto le armi guidate non sono più relegate ai soli compiti d’interdizione, ma dovrebbero coprire l’intera superficie del campo di battaglia, aprendo la possibilità di inediti scenari di combattimento.
Tuttavia, assai poco trapela circa i progressi delle capacità combat dei cinesi, infatti tra gli analisti, la portata esatta delle capacità d interdizione di Pechino, è ancora oggetto di dibattito.
(foto: Ministry of National Defense of the People's Republic of China / video: CCTV)