Rimettersi in gioco rivestendo le stellette dopo anni dal congedo potrebbe essere una sana e utile alternativa per allontanarci dalla routine quotidiana? Per certi paesi è la norma, vedi la Svizzera, ma chiaramente la scelta non deve essere opportunistica ma piuttosto dettata da una profonda determinazione e da una forte motivazione.
Sento già i vostri commenti, in particolare di chi auspica una reintroduzione della leva, ma anche di chi considera la riserva militare un giustificatissimo stratagemma per allontanarsi per qualche mese dalla consorte...
Un contesto, quello delle forze di completamento, abbastanza rodato seppur poco pubblicizzato in Italia e considerato più come una nicchia speciale piuttosto che un concreto vantaggio per il paese. La riserva selezionata - riservata agli ufficiali - assume tutt’ oggi un ruolo predominante rispetto a quella semplice, aperta alle altre categorie, ma per entrambe il tramite per tornare in servizio attivo nelle Forze armate, oltre a una regolare richiesta, avviene spesso tramite le associazioni d’Arma piuttosto che per un rapporto fiduciario con qualche comandante. Ma come stanno realmente le cose?
La riserva, utile ma poco sfruttata?
Il discorso è complesso e per chiarire alcuni aspetti più pratici sui benefici economici del “professionista a chiamata” dovremmo probabilmente analizzare anche il welfare di un paese con opinabili capacità nel dare risposte ai suoi cittadini, tenendo anche conto della lunga precarietà - persino dieci anni - dei graduati volontari delle forze armate.
Un esponente di un sindacato militare, mi confida di essere molto scettico sulla riserva ponendomi un problema molto sentito all’interno della Difesa. Si tratterebbe della necessità di un drastico taglio del personale per ottimizzarlo alle 150 mila unità, spingendolo verso un pensionamento favorito da un moltiplicatore per guadagnare cinque anni durante l’ultimo anno di servizio attivo. Tuttavia la mancanza di certezza di questo incentivo frenerebbe i più anziani dall’appendere l’uniforme al chiodo.
Per dovere di cronaca, riporto che la sensazione personale dopo le parole del rappresentante dei militari, è abbastanza controversa. Infatti non sembra trapelare, almeno dal suo punto di vista, un aspetto di convenienza economica che libererebbe delle risorse per gli effettivi.
A che servono quindi altri militari?
Non è un segreto che per certi versi le forze di completamento rappresentano un diretto risparmio e un apprezzabile tornaconto per l’amministrazione della Difesa, anche se attualmente il Palazzo di via XX Settembre è orientato ad abbassare l’età anagrafica dei prescelti in servizio continuativo. Una linea che favorirebbe la precarietà della ferma prolungata, mettendo nell’angolo marescialli e sergenti anche della riserva.
Non è quindi molto chiaro, ma vale la pena riportarlo, se nelle caserme qualcuno possa sentirsi effettivamente sfrattato dalla sua storia di militare per lasciar spazio ai richiamati, che accetterebbero di buon grado le condizioni attuali. Tuttavia, preso atto dei ristretti budget alla Difesa pari all’1,3 % del PIL (v.articolo) ma anche delle dichiarazioni di autorevoli direttori di quotidiani, vedi Sallusti “Il Giornale”, emergerebbe una sorta di volontà nello scomporre esercito e forze armate che attualmente non sarebbero ancora a un regime apprezzabile di sinergia per parlare concretamente di forza armata europea. Del resto credo non lo sia nessun altro Stato.
Verosimilmente, bisognerebbe puntare il dito anche su una certa incapacità o "non volontà politica" nell’analizzare la realtà del mondo militare, considerando il concetto di “volontariato a chiamata” come una vera opportunità qualora la mole di lavoro lo richieda.
Provate a pensare, e qui entra in gioco il welfare, alla formazione professionale che una forza armata moderna potrebbe trasmettere a un disoccupato che abbia chiaramente i titoli e la giusta motivazione per impegnarsi nel lavoro in uniforme per qualche mese. Oppure l’apprezzamento di un militare di professione nel ricevere la tanto sospirata licenza per le festività sapendo che il suo posto sarà coperto provvisoriamente da un altro militare; un volontario riservista anche se più anziano.
Un valore aggiunto
Rispetto a certi stage formativi, magari finanziati a scatola chiusa dal Fondo Sociale Europeo e proposti dalle scuole, le forze armate potrebbero offrire senza un vero e proprio impegno, una formazione in cambio di servizi alla struttura.
Un super riservista
Ho ritenuto interessante inserire la storia di un sergente riservista. Ho incontrato nella fredda periferia ovest milanese Roberto Lala (foto), di cui sono rimasto colpito dalle sue qualità umane prima ancora di quelle operative. Possiede un atteggiamento pacato nonostante sia circondato da numerosi attestati operativi e, se non lo interrompo, la chiacchierata rischia di orientarsi verso il dramma della denutrizione infantile in Africa.
Roberto Lala ha 46 anni e proviene come me dall’Esercito; anche lui si arruolò come vfp con i canoni della legge 24 dicembre 1986, n. 958 un’opportunità che in realtà diede un numero limitato di passaggi in servizio permanente.
Prima di notare la sua preparazione di alto grado, mi cade l’occhio su un libro scritto dal colonnello Francesco Cardullo, “Metodo e Anima” che descrive dettagliatamente competenze e attitudini di Roberto nei suoi oltre duecento giorni di richiamo.
Nelle sue cartoline di precetto, spiccano i richiami in artiglieria, carristi e cavalleria e tanti altri ancora; tra questi c’è addirittura un richiamo presso il CIMIC "Milites civisque alacrites", reparto di cooperazione civile e militare. Oltre a innumerevoli corsi e brevetti, alcuni organizzati da A.E.S.O.R. (Associazione Europea dei Sottufficiali della Riserva) e svolti presso la NATO nella base di Reazione Rapida - Rapid Deployable Corps - NRDC-ITA, c’è pure il via libera per un richiamo nel 4° reggimento Ranger alpini paracadutisti.
Riservisti: l’analisi di un presidente
Ho voluto ascoltare anche il parere del tenente Fabio Bulfoni, imprenditore e presidente della Federazione Nazionale Riservisti. Ufficiale della riserva con numerosi richiami tra cui alla dipendenza del 1° FOD, Fabio mostra un evidente pessimismo ma soprattutto è critico verso un sistema che non valorizzerebbe a dovere e su base volontaria il già esistente bacino di militari in congedo. Infatti, nonostante la NATO abbia sempre mostrato il disco verde alla riserva, l’Italia preferirebbe nuovi arruolamenti nella RFC - Reclutamento Forze di Completamento - nonostante possieda grandi numeri di cittadini congedati e disponibili; graduati di leva ed ex AUC.
Con l’occasione, non possiamo sottrarci dal fare un in bocca al lupo al 33° Corso della Riserva Selezionata che il 6 dicembre ha giurato a Torino presso la Scuola d’Applicazione dell’Esercito (foto).
Foto: autore / ministero della difesa