La rivoluzione tattica degli UAV: da semplici ricognitori a sistemi d’attacco

(di Tiziano Ciocchetti)
09/11/17

La capacità degli UAV (Unmanned Aerial Vehicle), di avviare una vera e propria rivoluzione nel modo di condurre alcune azioni offensive, risulta evidente fin dall’impiego da parte degli israeliani di primi RPV (Remotely Piloted Vehicle) nella valle della Békaa nel giugno del 1982, quando questi piccoli velivoli telecomandati vennero inviati nei pressi delle batterie SAM siriane con lo scopo di ingannarle simulando la traccia radar di un aereo e in tal modo spingerle ad attivare il radar di tracking, trasformandole in facili obiettivi per i missili aria-superficie antiradiazione AGM-45 Shrike e AGM-78 Standard.

Nel corso dell’operazione Pace in Galilea le IDF impiegano gli RPV anche come economiche e flessibili piattaforme per la ricognizione e, in alcuni casi, per la sorveglianza video in tempo reale nonché per il puntamento con illuminatori laser delle bombe guidate.

Nonostante i successi nella Valle della Békaa, per molti anni i sistemi non pilotati sono rimasti uno strumento relegato ad un ruolo marginale nella maggior parte delle forze armate mondiali, per lo più utilizzati per limitate missioni di ricognizione, ciò anche a causa di una disponibilità tecnologica non ancora matura per consentire a questi vettori di esprimere tutto il loro potenziale.

Lo sviluppo dei RPV – poi UAV – non si è comunque arrestato, infatti un particolare incremento tecnologico si è verificato nel settore delle telecomunicazioni – che hanno permesso l’introduzione di datalink satellitari e di bande sempre più ampie per il trasferimento di dati – e con la produzione di payloads sempre più efficienti.

La svolta decisiva si ha nel febbraio del 2001, quando un General Atomics MQ-1L Predator A lancia un missile AGM-114 Helfire a guida laser, trasformando per la prima volta un UAV in un vettore d’attacco.

In quella prima serie di test il Predator ottiene 12 successi su 16 lanci, dimostrando la validità dell’idea che, solo otto mesi dopo, nell’ottobre del 2001, permette alla CIA di condurre in Afghanistan il primo ingaggio operativo con un sistema d’arma di questo tipo.

In seguito sono stati condotti altri attacchi, più o meno noti, anche in Iraq e, prima ancora, in Yemen, dove il 3 novembre 2002 un Predator della CIA, decollato da Gibuti, ha distrutto un veicolo fuoristrada con a bordo dei presunti terroristi.

Il Predator è così divenuto una delle armi principali per la guerra al terrorismo ed un chiaro esempio dell’importanza di ridurre al minimo il cosiddetto sensor to shooter time (ovvero il tempo che passa tra l’individuazione del bersaglio e l’attacco), consentendo di portare virtualmente su campo di battaglia i decisori al più alto livello. Inoltre essendo più piccolo e meno rumoroso di un vettore convenzionale, il Predator risulta difficilmente individuabile dal nemico, al quale può quindi avvicinarsi più facilmente per ingaggiare bersagli che, altrimenti, dovrebbero essere colpiti utilizzando costosissimo armamento stand-off.

I progettisti e gli utenti sono adesso impegnati nel tentativo di sfruttare al massimo le capacità degli UAV, incrementandone le capacità d’attacco e riducendo quanto più possibile i costi.

Il missile Helfire ad esempio, un’arma concepita per attaccare i carri armati, è ritenuto sprecato per l’impiego contro bersagli soffici, come veicoli non protetti e gruppi di guerriglieri. Inoltre, dato non trascurabile, l’Helfire ha un peso di 48 kg ed è quindi impossibile per un Predator trasportarne più di due. Un altro problema dell’AGM-114M/K è il limitato campo visivo del seeker (solo 8 gradi), che ne riduce la flessibilità d’impiego da parte degli UAV.

Quest’ultimo problema è stato risolto con l’entrata in servizio della versione AGM-114P, appositamente sviluppata dall’U.S. Army per l’impiego da parte del Predator. Questa variante dell’Helfire, certificata per l’impiego operativo all’inizio del 2005, ha un angolo d’attacco di 90 gradi, un nuovo software di puntamento e un migliore sistema giroscopico, che gli permettono di ingaggiare bersagli ad elevati angoli rispetto all’asse di lancio. Inoltre, l’altitudine massima di lancio è stata incrementata da 3.050 metri a oltre 7.600, in modo da consentire al Predator di sganciare il missile direttamente alla quota di sorveglianza.

Un aspetto particolare riguarda lo sviluppo e l’adattamento di armi più leggere – quindi impiegabili anche da UAV più piccoli del Predator – meno costose e maggiormente autonome rispetto alla piattaforma di lancio.

Interessante a tal proposito è stato l’utilizzo di un UAV leggero Sentry HP (foto a dx) per il lancio dei missili controcarro israeliani Spike-ER. Questo sistema d’arma, prodotto dalla israeliana Rafael, ha infatti un raggio d’azione di 8 km, è dotato di una testata PBF (Penetration, Blast and Fragmentation) e può essere impiegato sia in modalità fire-and-forget, sia manovrato tramite un cavo a fibre ottiche. Tuttavia pesa 33 kg (incluso il tubo di lancio) e non è quindi adatto agli UAV più leggeri (come lo stesso Sandry HP). Lo Spike è stato sperimentato anche sul francese Sagem Sperwer B, ma nella versione più leggera LR (13,2 kg), secondo alcune voci avrebbe visto l’impiego operativo nel corso dell’operazione Piombo Fuso contro Hezbollah.

Lo Sperwer è in grado di portare, oltre al proprio payload per la sorveglianza (EO/IR e SAR), anche due carichi da 30 kg ciascuno su due punti d’attacco sub-alari destinati, appunto, all’armamento. Lo Spike-LR appare quindi perfetto per l’UAV francese, mentre lo Spike-ER pare troppo vicino al limite delle capacità di carico dello Sperwer B per essere impiegato operativamente, anche se offrirebbe il doppio del raggio d’azione dello Spike-LR (di soli 4 km).

Sembra quindi evidente la necessità di sviluppare un armamento ad hoc per l’utilizzo da parte degli UAV. Sempre la Sagem ha collaborato con la GIAT per sviluppare un nuovo sistema basato sulla submunizione Bonus MK II a guida LADAR (Laser-Radar) o IR, entrata in produzione nel 2005.

Una volta lanciata, ogni Bonus MK II è in grado di scansionare, durante la fase di discesa, un’area di 200 metri impiegando il sistema LADAR che fornisce un’immagine 3D dell’obiettivo, oppure il sensore IR. L’arma è quindi in grado di discriminare piuttosto accuratamente i bersagli paganti, comparando le immagini fornite dai sensori con quelle di una libreria di bersagli precaricata, per poi attaccarli dall’alto con una carica EFP (Explosive Formed Penetrator).

Interessata a questo tipo di armi, l’U.S. Air Force ha finanziato lo sviluppo, da parte di Textron Systems, del Guided Dispenser System, un sistema volto a consentire al Predator A di trasportare diverse submunizioni, prime fra tutte quelle prodotte dalla stessa Textron Systems come la Skeet da 3,4 kg, generalmente lanciata dal sub-dispenser BLU-108/B (a sua volta lanciato dal SUU-66/B Tactical Munitions Dispenser, con il quale forma la cluster bomb CBU-97) che ne porta quattro.

Un’altra submunizione impiegata dagli UAV statunitensi è la Nortrhop Grumman BAT (Brilliant Anti-Tank). Già nel marzo del 2003, la Northrop Grumman, che aveva precedentemente acquisito il programma UAV RQ-5A Hunter dalla TRW, ha consegnato all’U.S. Army i primi esemplari di Hunter armati con le BAT, denominati MQ-5A. Poco dopo è stata sviluppata una nuova versione, l’MQ-5B, caratterizzata da un’apertura alare maggiore rispetto al modello precedente (10,44 metri contro 8,90), un peso superiore (820 kg contro 725) e, soprattutto, due motori a due cilindri Mercedes Benz. Il nuovo Hunter può raggiungere una quota di quasi 5.400 metri, con un raggio d’azione di 300 km, un’autonomia di 18 ore e può trasportare un carico di 60 kg sotto ciascuna ala.

Le submunizioni BAT, dal peso di 20 kg ciascuna, sono montate sull’MQ-5B all’interno di un tubo ed espulse tramite un pistone a gas.

L’ultima versione di questo sistema d’arma è la Viper Strike, dove il seeker acustico-IR delle prime BAT, è sostituito da un seeker laser passivo che le conferisce una precisione adeguata anche all’impiego in ambito urbano. A tal proposito, nel 2005, due MQ-5B (foto) equipaggiati con le Viper Strike sono stati schierati in Iraq con l’obiettivo di testare sul campo il nuovo sistema d’arma a cui apportare in seguito eventuali modifiche.

Parallelamente alla sperimentazione di sistemi d’arma sempre più leggeri continua lo sviluppo di UAV dal carico utile maggiore, come l’MQ-9A Reaper da 4.765 kg, in grado di portare armi pesanti come le SDB (Small Diameter Bomb) da 130 kg oppure le più convenzionali bombe da 253 kg - possono portarne fino a quattro - come le GBU-38/B JDAM a guida satellitare (recentemente si è appreso che sui Reaper si sta procedendo all’integrazione delle bombe GBU-54 che, praticamente, sono delle GBU-38 con doppio sistema di guida laser/GPS) e le GBU-12/B Paveway II da 295 kg a guida laser.

Per questo tipo di vettore, la General Atomics prevede anche la possibilità di installare il missile aria-aria a corto raggio AIM-9X Sidewinder a guida infrarossi, onde dotare il Reaper anche della capacità di difendersi. Tuttavia, per questo scopo, sarebbe preferibile utilizzare missili antiaerei leggeri come lo Stinger oppure il francese Mistral, i quali incidono meno sul carico utile e sono installabili anche su UAV di ridotte dimensioni.

Per quanto riguarda l’Aeronautica militare italiana, leader a livello europeo nell’utilizzo degli UAV per la sorveglianza, già nel novembre del 2015 il Congresso americano ha ratificato con esito positivo la richiesta italiana in merito alla possibilità di armare i Predator e i Reaper in dotazione al 32° Stormo di Amendola.

Nella nota della Defense Security Cooperation Agency, allegata al Congresso, si rivela che l’Italia attualmente opera con il sistema MQ-9 e non avrà alcuna difficoltà ad incorporare questa capacità aggiuntiva. La vendita di queste apparecchiature non altera l’equilibrio militare di base nella regione.

(foto: U.S. DoD / U.S. Air Force / Aeronautica Militare)