Sotto attacco devi convincerti che il blindato non ti tradirà

(di Gianluca Celentano)
30/10/19

Quando fuori dalla cellula blindata scoppia l’inferno è la determinazione ottenuta grazie all’addestramento che ti consente di muoverti secondo standard pianificati.

Nella Costituzione italiana è scritto che l’Italia ripudia la guerra, quindi risulterebbe "blasfemo" lasciarsi scappare il termine guerra, semmai risulterebbe più azzeccato il detto latino Si vis pacem, para bellum, almeno in quei contesti dove il paese è obbligato a intervenire oltre confine.

Alla luce di questa parafrasi non ipocrita, il nostro Esercito all’estero svolge “missioni di pace” finalizzate a riportare pace e democrazia o al mantenimento di quest’ultime. La difesa della popolazione civile è quindi uno dei capisaldi principali.

In realtà, lo scenario che i nostri militari hanno vissuto (e vivono, ndd) durante le missioni, soprattutto in Medio-Oriente e in Afghanistan, era (ed è, ndd) quello di una vera e propria guerra dove combattenti, insorti e ribelli, ignorando qualsiasi convenzione internazionale e nonostante i buoni propositi del contingente Nato, obbligavano (ed obbligano, ndd) i nostri a circolare fuori dai campi base con giubbotto antiproiettile, elmetto e colpo in canna.

Dovremmo riconoscere meriti e rischi

Anche se non riscuote le simpatie di tutti, un grande merito per l’aiuto alla popolazione civile va riconosciuto al medico Gino Strada (fondatore di Emergency) e al suo staff sanitario che in Afghanistan - solo tra il 1994 ed il 2007 - ha curato più di sei milioni di persone. È poi bene ricordare che anche altre organizzazioni, come Medici senza frontiere e la nostra componente militare della Croce Rossa Italiana, hanno avuto un ruolo importantissimo (e non privo di rischi) nell’assicurare con ammirevole neutralità e altruismo il soccorso e la cura.

Ho ascoltato diversi discorsi di veterani (rimasti comprensibilmente anonimi) con numerose missioni alle spalle e tanti nastrini bianchi sopra al taschino sinistro: chi ha vissuto l’orrore, lo indossa non tanto per vanto quanto piuttosto perché l’esperienza lo ha segnato a vita.

A Camp Arena TAAC-W - Train Advise and Assist Command West

Un reportage di Enrico Silvestri apparso nel 2015 sulle pagine de “il Giornale”, sottolineava, riferendosi alla situazione del campo base italiano a Camp Arena ad Herat, che “Non conoscere a fondo usi, costumi, codici di comportamento di questo Paese significa esporsi a un rischio mortale”. Tra gli aspetti più inquietanti vi è la possibilità di offendere gravemente la popolazione locale con semplici gesti, da noi innocui, come accavallare le gambe facendo intravedere la suola della scarpa, piuttosto che toccare involontariamente un foglio con riportate le preghiere islamiche. Per loro è rendere impuro il documento.

Fuori dal campo durante i pattugliamenti ogni insignificante particolare può essere letale e talvolta celare un IED. Qualcuno mi ha raccontato che un ordigno è stato nascosto dentro un cadavere, opportunamente svuotato, riempito d’esplosivo e poi abbandonato al margine di una strada in attesa che qualcuno si fermasse per soccorrerlo...

Anche se il tema è complesso, sarebbe interessante in altre occasioni, parlare dei traumi psicologici post missioni, un argomento poco gradito, ma reale. Gli stessi americani dopo il Vietnam conoscono bene questo fenomeno che chiamano stress post traumatico e che tormenta a lungo i soldati rientrati in patria. Capire ed accettare la situazione quando capita a noi essere vittime non è immediato e forse, nonostante lo stordimento, si cercano giustificazioni ma poco dopo comprendi che sei vivo ma non in quali condizioni ti trovi.

Il blindato: fuori dal campo è l’unica salvezza

I nostri mezzi tattici blindati, lo abbiamo già scritto diverse volte, sono stati configurati sempre più efficacemente nel corso delle missioni e conflitti internazionali, come Antica Babilonia o ISAF. Questo ha alimentato la fiducia dei nostri ragazzi nei confronti del loro veicolo protetto.

Quando il turno prevede un’uscita o una perlustrazione, si lascia il proprio posto branda allestito in container o tenda e l’affiatata squadra si porta verso il mezzo assegnato. Qui formalità e grado sono solo dettagli; è molto meglio un rapporto professionale ma confidenziale che consenta di conoscere bene i propri colleghi.

Un sanitario mi riferisce di una sorta di check all’interno della squadra che permette di scambiarsi un’analisi per comprendere il grado di emotività e, in caso, suggerire una sostituzione per quella giornata.

I pregi e difetti del Puma prima serie, ad esempio, sono ormai conosciuti così come i limiti del VM90 protetto - sostituito fuori area dal Lince (foto) - con sottoscocca senza corazza, ad eccezione probabilmente di qualche leggera modifica prodotta in seguito. Tuttavia quando un cecchino spara addosso alla corazza con un semplice - si fa per dire - kalashnikov, l’effetto grandine percepito all’interno ti fa capire che non ci sono spazi interni dove ripararsi in caso di perforazioni: è il mezzo su cui viaggi lo scudo tra la vita e la morte.

L’adrenalina sale, pensi alla famiglia, ai tuoi cari e magari senti una sorta d’egoismo che ti fa sperare di non essere eventualmente tu la vittima. Si chiama istinto di sopravvivenza, del tutto umano.

Sale anche la paura che ti pone davanti ai tuoi limiti e, al tempo stesso, qualcuno nella colonna posto in torretta deve capire dove dirigere la difesa. In quel momento è lui quello più a rischio. È bene non perdere mai la concentrazione: gli attacchi sono isolati ma improvvisi, dopo periodi di apparente calma.

La superficie vetrata dei ruotati, seppur blindata e spessa, non è percepita in assoluto come un’inattaccabile barriera, ma non puoi guardare da altre parti, sarebbe peggio, solo far scendere dall’elmetto la maschera balistica sapendo che, se non ti sposti subito dopo i primi colpi, la frantumazione dei primi strati del parabrezza lascerà poco spazio per vedere all’esterno, rendendo ancor più impegnativo per il conduttore allontanarsi senza utilizzare sistemi ausiliari. Insomma, sul campo ci vuole esperienza ed è anche per questo motivo che le missioni in prima linea sono effettuate spesso da veterani.

Anche se i timori che gravitano intorno a qualche mezzo tattico sono diversi, la sicurezza del personale è sempre tenuta nella massima considerazione. Ma farsi male è tutt’altro che difficile. È bene ricordare che il ribaltamento del mezzo per onda d’urto è una delle cause che obbliga l’abbandono del veicolo sempreché, dopo lo choc, il personale riesca a farlo autonomamente.

IED e armi pesanti Vs corazzati

Se la versione ACRT Advanced Combat Reconaissance Team del VTMM Orso ha le carte in regola per scovare ordigni esplosivi improvvisati - ed è percepito tra i ruotati più sicuri - è anche vero che la quantità d’esplosivo in agguato è sconosciuta. Quando l’ordigno non si trova nel sottosuolo, ci sono linee guida che facilitano l’individuazione di persone, non per forza adulte e magari apparentemente innocue, che si dirigono verso una squadra piene zeppe di esplosivo.

A fronte di questo drammatico quadro, come si addice in questo caso a uno "scenario di guerra", ci sono postazioni armate di cecchini magari in possesso di missili anticarro AT-4 Spigot, tanto per citarne uno. Sono questi tra gli attacchi più temibili per l’integrità del mezzo blindato.

È inutile girare intorno agli "effetti sulla struttura" dopo essere stati centrati da supersoniche ogive esplosive.
Lo saprete bene anche voi, ci sono dei limiti oltre i quali la riuscita della missione si ottiene solo in sinergia con diverse squadre, un numero maggiore di veicoli e magari elicotteri o droni in avanscoperta e quindi fondi per la Difesa. Tutto è coordinato e seguito da postazioni remote – in molti casi dovrebbe essere così - e appositi disturbatori di frequenza attivati sui mezzi scongiurano le attivazioni a distanza degli eventuali esplosivi.

Un veicolo singolo in questo teatro è a rischio. Tuttavia alcune immagini in rete parlano da sole, quando si osservano corazze di carri armati perforate come burro nei punti più spessi, ma anche mezzi letteralmente esplosi o fusi da un'onda di calore che può raggiungere migliaia di gradi.

L’imboscata: guidare sotto stress

Sia per una bonifica sia per una perlustrazione o altro, finire in un’imboscata non è raro. Nonostante i compiti siano ben suddivisi tra l’equipaggio in caso di attacco, è il conduttore a dover mantenere più di tutti il sangue freddo e, qualora opportuno, non deve desistere dal ripiegare allontanandosi.

Detta così sembra facile ma, tra ostacoli, incognite e qualità fuoristradische del mezzo, non sempre lo è. Infatti la velocità, magari con un pneumatico perforato o un assetto incerto - il ricordo va al Lince VTLM 1 - seppur istintiva non è sempre la carta migliore da giocare. Se ci sono dislivelli nel terreno può essere meglio abbandonare la strada e portarsi in copertura verso di essi, anche se fangosi, pur di uscire dalla linea di tiro dell'attaccante, sempreché sia individuata la provenienza del fuoco. Opportunità e addestramento militare dovrebbero sempre prevalere senza mai condurre il personale in situazioni senza apparenti alternative.

Nella stessa guida tecnico operativa, anche in ambito civile, lo studio delle varianti è fondamentale. Potrei citare anche gli autisti dei mezzi sanitari o pesanti, in particolare i bus, i quali trasportando persone prevalentemente in piedi, devono sempre avere a vista una linea di fuga per rallentare il mezzo senza inchiodare il bus o l’ambulanza. Quando non esiste, la velocità va drasticamente ridotta.

Come si potrà comprendere, è l’effetto sorpresa l’elemento più temuto dopo mesi di relativa calma in un’area di guerra. Forse si potrebbe stilare un calcolo delle probabilità di incappare in un agguato, ma poi, mentre pensi che esiste una sorta di logica negli attacchi, il botto arriva e ti fa capire che ogni giorno è a rischio, anche se sei lì per portare la pace.

È anche vero che simulazioni e addestramenti, per quanto realistici possano essere, non riusciranno mai a costruire un quadro dove l’errore è vissuto come un rischio mortale per se stessi e per la squadra, ma senz’altro sono necessari per imprimere nel personale un gesto automatico capace di ridurre i rischi sotto attacco.

Sul campo buona parte dello stress non è solo fisico ma emotivo e quindi difficilmente riproducibile. Immaginate, se non ci fosse l’addestramento, le conseguenze di un colpo d’arma da fuoco esploso all’interno di una cellula blindata per l’eccessiva concitazione. Potrebbe rimbalzare sulle superfici corazzate colpendo più militari prima di fermarsi!

L’elettronica dei mezzi è un’opportunità?

Per certi versi la semplificazione elettronica dei comandi di certi componenti, spesso discussa per l’affidabilità, può tradursi in un aiuto proprio per alleggerire lo stress quando s’incorre nell’incognita di un attacco e il mezzo deve dare il massimo dell’efficienza su uno specifico terreno. Premere un tasto per bloccare i differenziali, inserendo al 100% la ripartizione della coppia sui due assi, è senz’altro più rapido e istintivo rispetto al perdere velocità per azionare il riduttore e successivamente i blocchi longitudinali e trasversali.

Blocco differenziali, cambio automatico, inserimento riduttori, seppur venduti in pacchetti affiancati a una lunga lista di altri particolari gestiti da centralina, hanno anche una motivazione tattica e operativa.

L’aggiornamento, peraltro continuo dei sistemi d’arma, impone di conoscere a fondo i particolari più impensabili presenti sui mezzi tattici delle Forze Armate. Probabilmente quando si parla di moderna versatilità di un tattico ci si riferisce anche a uno studio sull’ergonomia degli interni, sulla semplificazione dei comandi e sulla possibilità di comunicare autonomamente con postazioni remote.

Ricordiamo ancora una volta il motto dei carristi dell’Esercito italiano: “Mezzo fermo, mezzo morto”.

Dedicato alle Nostre Forze Armate in occasione del 4 Novembre.

Foto: Twitter / Difesa / U.S. Marine Corps / U.S. Army