Il dossier n° 29 - Schede di lettura del 29 ottobre 2018 - del servizio studi della Camera dei Deputati, analizza il documento programmatico pluriennale (DPP) della Difesa per il triennio 2018-2020, inviato alla Camera il 15 ottobre (v.link).
Senza voler pensare di fare una analisi di dettaglio, per curiosità andiamo a vedere qualche dato macroscopico.
La cosa che mi colpisce principalmente è l’insistenza di voler raggiungere il limite di 150.000 uomini entro il 2024. Qual’è il motivo?
Si parla sempre ridurre le spese, come se abbassare il numero di persone sia la soluzione. Ma ne siamo sicuri?
Le tabelle di pagina 15 e 16, che riporto di seguito, rendono l’idea della situazione attuale e della situazione futura.
Eppure, se si guarda la tabella 15, quella che illustra le variazioni per categoria nell’anno 2017/2018, non si può fare a meno di pensare a come sia stato raggiunto il risultato di -1578 unità.
Vengo a spiegarmi meglio: in primo luogo il numero degli ufficiali in diminuzione, 242 unità, in linea con quanto ci si può attendere dal normale tasso di pensionamento (a vario titolo) con in aggiunta una parte di ufficiali posti in posizione di ARQ. Il bilancio tra marescialli e sergenti è pressochè nullo, in quanto il numero reale degli uscenti è principalmente nella categoria dei marescialli mentre i sergenti da quest’anno rientrano nella categoria marescialli. Le uscite vere si hanno in corrispondenza dei volontari, ovvero dei giovani. La domanda da porsi è: perché? Come mai il maggior numero di uscite si trova tra i giovani?
La risposta meriterebbe approfondimenti, è però importante per quanto diremo tra poco sulla seconda tabella. Da questa si vede infatti che tra il 2017 e il 2020 il personale giovane va sempre diminuendo (83287 nel 2017, 80662 nel 2020) il che rispecchia probabilmente la mancanza di attrattività della professione militare, per poi passare, inspiegabilmente, a 91030 unità nel 2024. Cosa accadrà in questi anni per giustificare una simile progressione?
Come si pensa di convincere i giovani ad arruolarsi?
Di ciò, nel documento, non si fa parola.
Sono considerati a parte i civili della Difesa che, come per i militari, subiranno comunque forti tagli.
Interessante anche l’analisi dei fondi del Ministero dello Sviluppo Economico (per il finanziamento degli investimenti e allo sviluppo infrastrutturale del Paese) messi a disposizione dalla legge di bilancio 2017, art.1 co. 140.
Come è facile notare, di fatto la maggior parte dei fondi sono stanziati a partire dal 2025 e fino al 2032 secondo una progressione degna del miglior disegnatore ma che fa capire come poco si tenga alle reali esigenze del settore Difesa. La legge di bilancio 2018 all'art.1 co.1072 ha previsto di rifinanziare i fondi con alcune variazioni nelle ripartizioni annuali che, seppure con delle riduzioni, rendono più realistica la distribuzione negli anni.
Dalla lettura del documento, emerge in più riprese lo squilibrio tra spese per il personale, per investimento e per esercizio.
Non è immediato capire quali siano le percentuali riservate all’investimento e quali all’esercizio, ma è chiaro che fanno la parte della cenerentola se confrontate con le spese per il personale. In pratica si può notare che l’investimento è superiore all’esercizio, probabilmente per le azioni sostenute dall’industria della Difesa che sono più interessate ai nuovi progetti che al mantenimento in esercizio di strutture o piattaforme vetuste. Ciò significa che mezzi, materiali e infrastrutture impiegate continuano ad invecchiare e non avendo la disponibilità dei fondi per le manutenzioni dopo qualche anno sono da sostituire.
Ancora qualche parola merita il discorso del 2% del PIL per la Difesa. Le nazioni partecipanti alla NATO si sono infatti impegnate a raggiungere entro il 2024 la percentuale del 2% del PIL nel settore della Difesa. Da questo punto di vista l’Italia è considerabile come maglia nera. A poco contano le proteste presentate nei diversi consessi internazionali, ciò che conta è il 2% e nel 2018 siamo al 1.15 %, ben lontani da altri paesi NATO. La sicurezza si paga e in questo senso vanno anche le frequenti dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Se poi qualcuno pensa che cambiare “parte” possa costare meno…
Sostanzialmente in questo consiste l’analisi del servizio studi della Camera dei Deputati.
Ma avendo a disposizione il DPP proviamo a spingerci oltre.
Tra i settori maggiormente in crescita nel mondo vi è quello dello Spazio e quello del Cyber. Vediamo di capire cosa prevede la Difesa in questi due settori per i prossimi anni.
Nella introduzione si cita, a mio parere correttamente, la necessità di “Disporre di una componente spaziale (negli ambiti lmagery and Signal lntelligence, Position Navigation and timing, telecomunicazioni) o di un accesso garantito alle capacità necessarie, tale da assicurare il supporto agli interessi nazionali in tutte le aree in cui operano le Forze armate nazionali; al riguardo, sviluppare una riflessione strategica, intersettoriale e multi-istituzionale sul tema dello spazio; ciò a fronte di una pervasività dello strumento spaziale, non sempre sostituibile con altre capacità.”
Non ci sono dubbi sulla necessità dello strumento, magari si potrebbe obiettare che vi sono anche altri possibili usi o differenti interpretazioni dello spazio come dominio a se stante, ma l’esigenza è sicuramente sentita da tutti e lo sviluppo di programmi nel settore potrebbe essere di sostegno alla industria nazionale. Nella Tabella 7 del DPP è possibile notare la voce “Piano spaziale della difesa - spazio a supporto delle operazioni” da finanziare con 180 milioni di Euro, che se paragonato al programma di “Ammodernamento del Carro Ariete”, programma di 387 milioni di euro, ci fa capire quale possa essere il ruolo della Difesa italiana nel settore spaziale negli anni futuri.
Anche la minaccia cyber è ben individuata nei suoi elementi essenziali, infatti nel DPP si afferma che “risulterà di fondamentale importanza garantire la resilienza nel dominio cibernetico in modo da preservare il settore informatico e telematico, elemento cardine e abilitante per l'esercizio delle sue funzioni, da una sempre più incombente minaccia cibernetica (cyber), che risulta trasversale, pervasiva e asimmetrica. Il rapido sviluppo tecnologico e il costante incremento della dipendenza da processi automatici ed informatizzati, a cui è sempre più difficile far corrispondere un proporzionale innalzamento del livello della sicurezza, rende reti, computer, dati ed info-struttura vulnerabili alle minacce cibernetiche (c.d. cyberthreats e cyber weapons), anche relativamente semplici e a basso costo, facilmente accessibili e costo-efficaci, soprattutto in relazione al potenziale danno che possono arrecare”. Anche in questo caso infatti dalla lettura del DPP si nota che la “trasversalità” del settore cyber deve essere considerata una priorità per la Difesa. In questo ambito viene citato il necessario rafforzamento del CIOC, il Comando Cyber della Difesa, e delle capacità ricollegate a partire dall’addestramento. La Difesa dovrà infatti procedere al “consolidamento e al potenziamento del Comando Interforze per le Operazioni Cibernetiche (CIOC) - capace di dirigere, coordinare e condurre CNO (Computer Network Operations) ad ampio spettro, in stretto coordinamento con le Autorità nazionali competenti e con le altre organizzazioni sovranazionali, in particolare con NATO e UE - rappresenta una delle principali linee di indirizzo per lo sviluppo delle competenze dello Strumento militare nel dominio cibernetico”. Dall’analisi del DPP risulta che per questa capacità siano necessari circa 400 milioni di euro distribuiti negli anni fino al 2033 (somma dei principali progetti presenti nelle tabelle) anche se si può immaginare che una parte dei fondi di altri progetti siano destinati alla cyber ma non esplicitati.
Anche in questo caso si osserva come la cifra sia a dir poco ridicola se la si paragona ai programmi di investimento in corso presso altri paesi Europei che stanno procedendo, generalmente, alla creazione di una Forza Armata specializzata nel settore e alla assunzione di giovani da impiegare nel settore.
In definitiva, pur considerando positivi i tentativi di “disegnare” le Forze Armate dei prossimi anni, si ritiene che vi sia ancora molta strada da fare per raggiungere i paesi nostri vicini in alcuni settori identificati correttamente come critici per la Difesa ma poi sottodimensionati, forse a causa della cronica mancanza di finanziamenti o, peggio, per l’incapacità di comprenderne fino in fondo i reali risvolti strategici.