L’ulcera spagnola: la Storia è maestra di vita (dura per chi la ignora)

(di Paolo Palumbo)
02/05/18

I recenti conflitti in Iraq e Afghanistan hanno indotto gli eserciti più moderni e dotati tecnologicamente a rivedere la loro strategia adattandola alle nuove contingenze della guerra asimmetrica. L’occupazione militare americana dell’Iraq è stato un ottimo esempio su come, un comparto militare di primo livello, possa sgretolarsi di fronte ad una sollevazione popolare incontrollabile. Dopo una marcia trionfale verso Baghdad, infatti, la totale mancanza di un piano strategico per il “dopo vittoria” imbrigliò l’esercito statunitense in un lungo e stressante confronto contro piccoli gruppi di insorti la cui azione rese l’Iraq ingovernabile. Eppure gli analisti del Pentagono disponevano di innumerevoli esempi su come evitare una simile situazione, ma soprattutto sapevano quanto fosse importante un approccio corretto nei confronti della popolazione.

La storiografia militare contemporanea ha fissato alcuni avvenimenti chiave utili a comprendere cosa sia un’insorgenza suggerendo inoltre dei modelli sui quali lavorare e imbastire una strategia vincente. Da un’analisi complessiva emerge come l’esercito britannico e quello francese – data la loro esperienza coloniale – siano i più avvezzi ad affrontare questo tipo di emergenza che proprio in Europa ha le sue radici più importanti. Molti tendono, infatti, a dimenticare cosa fosse il continente europeo dopo la Rivoluzione Francese quando le armate repubblicane (precursori “eruditi” dei grandi esportatori di democrazia americani) indossarono la divisa dei liberatori dalla tirannia. L’assolutismo esercitato dalle dinastie regnanti d’Antico Regime e un dilagante potere religioso erano diventati il nemico da abbattere, tuttavia non tutti erano propensi ad allinearsi alle nuove idee di Robespierre e compagni. La Rivoluzione del 1789 e le sue ripercussioni sugli equilibri preordinati dalle principali monarchie originarono molteplici episodi d’insorgenze che trovarono la loro massima espressione nella Vandea del 1793, in Italia nel 1799 e poi in Spagna, nel pieno delle guerre napoleoniche, dal 1808 al 1814.

Il maledetto 2 maggio

Numerosi storici del periodo napoleonico riconoscono nella Spagna la vera causa della sconfitta di Napoleone Bonaparte. Dal 1805 al 1808 l’Imperatore dei francesi aveva detronizzato i più blasonati sovrani d’Europa sconfiggendo nel dicembre del 1805 l’Austria e la Russia ad Austerlitz e nel 1806 la Prussia a Jena. Con una serie di trattati di convenienza e opportune alleanze il piccolo corso tentò di piegare alla sua volontà l’acerrimo nemico inglese il quale, grazie alla Royal Navy, aveva si il controllo delle rotte commerciali, ma stava via via perdendo gli approdi sul continente. Il Sistema Continentale imposto da Napoleone aveva però diverse falle che consentivano comunque all’Inghilterra un po’ di respiro: il Portogallo, più di altri, garantiva un accesso protetto ai suoi porti e lo sbarco delle derrate inglesi. Tra gli Stati che contrastavano la pressione francese vi era la Spagna borbonica la quale attraversava un momento di grande incertezza, cagionato da malevoli “giochi di corte” volti a destabilizzare il re Carlo IV. Gli spagnoli erano una popolazione diversa dal resto d’Europa poiché nel corso dei secoli la loro cultura subì l’influenza di vari dominatori; ma l’elemento distintivo più rilevante era un profondo e secolare “timor di Dio” sul quale la chiesa cattolica costruì un potere più influente del sovrano. Fuori dalle mura cittadine il clero esercitava, infatti, un dominio assoluto sfruttando l’ignoranza di una popolazione bigotta e superstiziosa che giudicava la Francia il regno del male. L’aggressione francese alla penisola iberica iniziò nel 1807 quando, grazie alla sottoscrizione del trattato di Fontainebleau, 25.000 uomini dell’Armata della Gironda, al comando del generale Junot, transitarono in Spagna per invadere il Portogallo reo di non rispettare il blocco navale per l’Inghilterra1.

Lo sgretolarsi della corte spagnola e la rivalità tra Carlo IV e il principe ereditario Ferdinando VII aprirono la strada per l’occupazione francese e la conseguente ascesa al trono di Giuseppe Bonaparte. Il sipario sulla guerra di Spagna – o come la chiamano i locali La Guerra de la Indipendencia – si aprì il 2 maggio 1808, una data storica, immortalata dal grande pittore Goya il quale raffigurò al mondo la drammatica violenza di quelle giornate. Secondo i piani di Napoleone il re spagnolo Ferdinando VII e il suo seguito dovevano essere esiliati a Baiona; il gran duca di Berg, Gioacchino Murat, avrebbe poi preso in consegna il giovane fratello, Don Francisco e sua sorella insieme ai suoi figli2. Non appena la carrozza che conduceva il piccolo Francisco fu fermata da un militare francese, la popolazione già in fermento per l’esilio di Baiona, iniziò a gridare “Que nos lo llevan!” (Ce lo portano via) e a lanciare pietre verso i militari3. Quel che sembrava un tafferuglio circoscritto iniziò ad allargarsi a macchia d’olio coinvolgendo vari quartieri della città. I madrileni scesero nelle strade armati con quel che avevano, aggredendo le truppe francesi isolate; la reazione di Murat, al quale stava sfuggendo di mano la situazione, fu brutale e violenta. In particolare la rabbia degli spagnoli fu aizzata dalla presenza del reggimento dei Mammelucchi della Guardia Imperiale la cui uniforme ricordava effettivamente gl’invasori mussulmani dei secoli passati4.

In poche ore i reggimenti che stazionavano al di fuori della città furono mobilitati per rinforzare i pochi fanti presenti a Madrid: l’arrivo di nuove truppe convinse gli insorti a rientrare nelle loro case, mentre Murat pubblicò un impopolare “ordine del giorno” nel quale condannava a morte tutte le persone che venivano trovate in possesso di una qualsiasi arma. Il bilancio fu drammatico: in un solo giorno presso la Moncloa vennero fucilate più di 400 persone e tutti i monaci del convento di Santa Maria di Atocha furono barbaramente decapitati5. Alla notizia di quanto accaduto a Madrid, Napoleone si adirò con suo cognato paragonandolo ad una bestia, consapevole inoltre che le sue azioni avrebbero pesato sul susseguirsi della campagna. Il giudizio dell’imperatore fu lungimirante poiché quanto accaduto nella capitale fu solo l’inizio di un fenomeno ancor più vasto e letale: la nascita della guerilla.

Insurrezione

L’esercito francese che nel 1808 occupò il suolo spagnolo era uno dei migliori d’Europa. La fanteria di linea di Napoleone aveva sbaragliato i principali avversari abbinando intraprendenza, coraggio e l’acume tattico del suo condottiero. In più è bene ricordare che non si trattava di un esercito omogeneo poiché tra le sue file militavano soldati provenienti da Germania, Polonia, Italia, Croazia, Olanda e da tutti quei principati che – volenti o nolenti – avevano abbracciato il “sistema” napoleonico. Per il suo corretto funzionamento le armate francesi necessitavano di un apparato logistico considerevole per il quale lo stesso Napoleone profuse sforzi affinché tutto funzionasse a perfezione senza inceppamenti o ruberie. Secondo la linea di principio generale il militare francese doveva trarre il suo fabbisogno giornaliero direttamente dal paese occupato. L’Armée si assicurava un servizio di fornitori locali i quali solitamente venivano pagati in modo regolare, ciò nondimeno fuori dai centri urbani, i saccheggi e i prelievi di cibo forzati erano all’ordine del giorno. Colpevoli di questi episodi erano i soldati i quali, con il beneplacito dei loro comandanti, si sfogavano contro i contadini inermi alimentando il sentimento d’odio verso gli occupanti.

L’insurrezione di Madrid diede il via ad altre sollevazioni popolari in tutte le province spagnole: i guerriglieri iniziarono ad organizzarsi ottenendo in alcuni casi l’appoggio dei reparti regolari e delle Juntas (Comitati) locali. La ribellione assunse così caratteristiche simili alla controrivoluzione italiana del 1799 laddove i potentati locali orchestrarono le azioni dei “Viva Maria” nella lotta contro l’invasore francese. Un buon esempio di questo sodalizio lo troviamo nel Principato delle Asturie, una delle prime province a ribellarsi dopo i fatti di Madrid. La capitale, Oviedo, era amministrata da istituzioni che risalivano al medioevo con una Junta General composta sia da personaggi eminenti, sia semplici cittadini. Dopo dieci giorni di preparazione segreta, la Giunta di Oviedo seguita dai paesi circonvicini, dichiarò formalmente guerra a Napoleone ordinando una leva militare di 18.000 uomini6. Quanto accadde nelle Asturie servì da modello per altre Juntas che presero l’iniziativa istituendo reparti semi regolari. Una delle conseguenze più rilevanti della ribellione di Oviedo fu l’interesse che questa destò presso l’Inghilterra la quale – dopo un incontro con emissari spagnoli - assicurò ai rivoltosi rifornimenti di armi e munizioni.

Il 28 dicembre 1808 la Junta Central emanò un decreto con diretto ad assicurarsi il coordinamento di tutte le bande di guerriglieri sottoponendole alla vigilanza delle autorità militari locali7. Ovviamente l’editto della Junta non ottenne alcun risultato anche perché i gruppi di resistenza traevano origine da piccoli nuclei famigliari i quali erano poco inclini alla disciplina o alle gerarchie. Tra le bande di guerrilleros – le partidas guerrilleras – emersero poi alcune figure di spicco le cui gesta eroiche contro i francesi diventarono leggendarie. Uno dei capi più noti fu Juan Martìn Diez (nell'immagine) soprannominato “El Empecinado” (il testardo) una figura controversa che mescolava la sete di vendetta personale al patriottismo. Un altro leader carismatico della guerriglia fu Javier Mina, al cui comando vi erano le partidas della Navarra. Javier, insieme a suo zio Espoz y Mina, iniziarono la resistenza con un piccolo nucleo di militanti quasi tutti provenienti dalla loro famiglia per poi allargarsi fino a comandare la cosiddetta “Divisione della Navarra”. Imboscate, rapine, taglieggiamenti e quant’altro erano le attività principali di questi “monaci banditi” per i quali la liberazione dai francesi era certo l’obiettivo primario, senza però dimenticare un legittimo tornaconto personale.

I resistenti spagnoli erano padroni assoluti del territorio e – come vedremo in seguito – l’esercito francese non era nelle condizioni di controllarne gli spostamenti. Inoltre la conformazione geografica della Spagna, soprattutto nelle regioni più montagnose, era il terreno ideale per tendere imboscate e assalire colonne francesi isolate o numericamente inferiori. Per Napoleone, che confidava di risolvere la questione spagnola in pochi mesi, le scorribande dei guerriglieri erano un problema grave anche perché mettevano in pericolo le linee di comunicazione e distraevano uomini dalla lotta contro il nemico principale: il duca di Wellington.

La strategia francese

L’azione capillare delle partidas rendeva la Spagna un luogo ingovernabile; contro la guerriglia non esisteva tattica efficace se non quella della repressione, l’occupazione dei punti strategici sulla viabilità e l’approntamento di “colonne volanti” (già sperimentate nella contro l’insorgenza italiana del 1799) pronte ad intervenire al fabbisogno. Il principale strumento di controllo messo in campo da Napoleone – forsanche il più fidato – fu la Gendarmeria Imperiale8. Il 24 novembre 1809 l’Imperatore decretò la formazione di 20 squadroni supplementari di Gendarmeria imperiale destinati al fronte iberico, ivi incluse unità appiedate e a cavallo. Due anni più tardi, nel 1811, i gendarmi furono ripartiti in 6 Legioni che diventarono la Gendarmerie de l’Armée d’Espagne; queste furono distribuite su tutto il territorio con l’incarico di presidiare le principali vie di comunicazione che collegavano le città9. La scelta di sorvegliare anziché combattere attivamente la guerriglia si rivelò fallimentare poiché privò i gendarmi del controllo complessivo del territorio, ma soprattutto impedì loro di raccogliere informazioni. Quando la Gendarmeria si muoveva per occupare un paese cadeva frequentemente in imboscate e la vera difficoltà – scriveva il comandante Honoré Reille – non era scontrarsi coi guerriglieri, bensì trovarli10.

Nel biennio 1810/1811 la situazione iniziò a normalizzarsi, ma solo grazie ad un afflusso maggiore di truppe che cominciarono a sottomettere diverse zone della Spagna sconfiggendo militarmente gli insorti. Lo scontro tra i due contendenti raggiunse un livello di brutalità inaudito con diversi episodi di fucilazioni sommarie e terribili mutilazioni con corpi esposti al pubblico, come monito sia per chi avesse seguito i guerriglieri, sia per i collaboratori dei francesi. Una guerra senza quartiere che, una volta finita nel 1814 segnò il destino di un paese destinato a contrapporsi, ancora per diversi anni, con intere province ribelli. Dopo l’uscita di scena dell’ultimo fante transalpino, lo storico Michale Broers paragona la Spagna ad un “regno della guerriglia” che doveva essere assolutamente sostituito da un veloce ripristino dell’autorità statale. Le bande di Espoz y Mina, ad esempio, continuarono nella loro attività guerresca sin oltre il 1814, avversando la restaurazione monarchica. La lotta contro Napoleone fu solo l’inizio, ma il fenomeno dei guerrilleros segnò la storia della penisola iberica anche negli anni successivi con una serie di rivolte che trasformarono la Spagna in un paese instabile.

Una riflessione estemporanea

Quanto accadde in Spagna tra il 1808 e il 1814 aiuta a storicizzare il fenomeno delle insorgenze e della guerriglia, ponendo alcuni interrogativi su un problema che ancora oggi mostra le medesime incognite dell’epoca. La domanda è: sarebbe possibile usare il conflitto della Penisola spagnola come cartina di tornasole per capire meglio quanto sia accaduto in Iraq con la guerra di liberazione voluta dagli americani?

Forse un paragone è azzardato, ciò nondimeno esistono alcuni punti somiglianti ed altri divergenti che riguardano soprattutto gl’invasori. Tra gli elementi di congiunzione possiamo tranquillamente affermare che in Spagna, come in Iraq, si scontrarono due culture profondamente difformi. Nella penisola iberica gli attori principali furono: da un lato la Francia imperiale, dotata di un esercito moderno e con un governo che si presentava al mondo come fulgido esempio di rinnovamento e giustizia sociale; mentre all’opposto una Spagna, difesa da una forza armata mal gestita, e retta da una monarchia instabile che regnava su una società retrograda, i cui valori erano intrisi da superstizione e bigottismo. A questi poi si aggiunse l’Inghilterra, che con abile opportunismo volse a proprio vantaggio la rivolta nazionale iberica attraverso un sostegno diretto ed indiretto alle forze locali. Non è difficile giocare con le parole sostituendo i nomi dei protagonisti e ci accorgeremmo subito come, tra Francia e America, esistano delle somiglianze in termini di valore politico sullo scenario internazionale e allo stesso modo tra Spagna e Iraq conviva un legittimo spirito di ribellione rispetto un’intromissione indebita e non desiderata. Ovviamente non c’è alcuna contiguità ideologica tra il guerrillero della Navarra e il ribelle di Mosul, tuttavia – se escludiamo l’anomalia jihadista – il caso rientra perfettamente nell’eterno dibattito che distingue i terroristi dai guerriglieri o freedom fighter.

L’elemento su cui i francesi di Napoleone e gli americani di Bush discordano sono le conseguenze scaturite dalla loro conquista. Quando i francesi varcarono i Pirenei e Murat massacrò civili inermi a Madrid, il popolo spagnolo fece fronte comune con un unico movimento di liberazione, composto si da molteplici bande di ribelli, ma che perseguivano tutti il medesimo scopo. La presenza americana in Iraq nel 2002 non solo aggravò una situazione già compromessa da politici corrotti e burattini giostrati da Washington, ma provocò una terribile guerra civile senza via d’uscita.

L’insorgenza iberica stravolse il mito di invincibilità che avvolgeva le truppe di Napoleone: tra il 1808 e il 1813 il fronte spagnolo coinvolse dai 200.000 ai 300.000 soldati e di questi ne morirono circa 250.000, senza contare le migliaia di vittime tra i locali. Oltre ad un esorbitante costo in termini di vite umane, le casse imperiali subirono un terribile dissanguamento con un esborso di circa 800 milioni di franchi, una cifra incredibile per l’epoca11.

L’unico paragone che non può essere fatto è quello tra i due protagonisti: sarebbe infatti indegno nonché ingiurioso accostare la Francia illuminata e savante di Napoleone Bonaparte alla rozza e texana America di George W. Bush.

  

1 Il Portogallo (reo di non rispettare il Blocco Continentale) fu invaso sia dall’Armata della Gironda di Junot, sia da tre corpi ausiliari formati da truppe spagnole al comando dei generali

Taranco, Solano e Caraffa. Grazie al trattato di Fontainebleau, siglato il 29 ottobre 1807 dal primo ministro spagnolo Manuel Godoy, le truppe francesi poterono attraversare il territorio spagnolo.

2 Carlo IV aveva abdicato a favore del figlio Ferdinando VII in quell’episodio noto come la “rivolta di Aranjuez” il 17 marzo 1808. Il nuovo re non raggiunse Madrid oramai nelle mani dei francesi e si rifugiò a Baiona, chiamato da Napoleone per mettersi sotto la sua protezione. Era evidentemente un tranello poiché Ferdinando non ritornò più nella capitale fino al 1814.

3 Charles Oman, A History of the Peninsular War, London, Greenhill Books, 1995, Vol. 1, p. 60.

4 M. Foy, Histoire de la Guerre de la Péninsule sous Napoléon, Paris, Baudoin Frères éditeurs, 1827, Vol. III, p.167.

5 Renata De Lorenzo, Murat, Roma, Salerno Editrice, 2011, p. 165.

6 A History of the Peninsular War, op. cit., p. 65.

7 Michael Broers, Napoleon’s Other War. Bandits, Rebels and their Pursuers in the Age of Revolutions, Peter Lang, Oxford, 2010, p. 110.

8 La Gendarmeria Nazionale, poi Imperiale, fu istituita per decreto del 31 luglio 1801 dal Primo Console Bonaparte ed era composta da 26 legioni con due squadroni ciascuna. Per diventare gendarmi si doveva essere veterani di almeno quattro campagne militari ed avere un curriculum irreprensibile. Ovviamente più la Francia ingrandiva i suoi domini e più aumentavano le legioni di gendarmi: nel 1808 salirono a 29 mentre nel 1811 a 34 senza contare le sei legioni supplementari che combattevano in Spagna. Alla Gendarmeria Imperiale si assommava la Gendarmeria d’élite incorporata nei ranghi della Guardia Imperiale e comandata dal generale di divisione Savary, duca di Rovigo.

9 Emmanuel Martin, La Gendarmerie Française en Espagne & en Portugal, Paris, Léautey, 1898, p. 25.

10 Napoleon’s Other War, op. cit., p. 123.

11 The Iberian Leech: Napoleon’s Counterinsurgency Operations in the Peninsula 1807-1810, Chaier de réflexion doctrinale, 2004, p. 12. URL: www.dtic.mil/get-tr-doc/pdf?AD=ADA437049

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