Quasi due settimane fa chi scrive aveva chiesto ai lettori di esprimersi circa la politica estera, commerciale e di difesa del presidente Donald Trump: Come giudicate questi primi due anni? Che cosa c’è da aspettarsi nella seconda metà della presidenza? Davvero con la maggioranza gialloverde al governo Washington guarderà con più simpatia all’Italia? La Cina o la Russia: nuovo e antico nemico di Washington. Che cosa accadrà nei prossimi due anni?
Ora, è arrivato il momento di dare voce alle più significative tra le tantissime analisi ricevute via e-mail. Si tratta di un’impresa non facile: il numero di risposte è stato tre volte maggiore di quelle precedenti. Mi scuso fin da ora se non potrò dare la parola davvero a tutti e ringrazio per l’affetto e l’attenzione. Al termine, il collega Gino Lanzara esporrà le sue interessantissime conclusioni.
Dal lettore Lorenzo Pasturenzi: un’analisi realistica dei primi due anni con focus sui due "Grandi Nemici": Cina e Russia
L'analisi sull'operato di Donald Trump non può che iniziare dalla politica estera perseguita in questi primi due anni, vero banco di prova per ogni Presidente americano. Le azioni più decise sono state intraprese contro i due grandi avversari che sfidano la leadership americana: Cina e Russia.
Nei confronti di Pechino, due sono state le strade seguite da Trump:
1) Il contenimento dell'espansionismo "marittimo" cinese, perseguito rafforzando le alleanze nel Pacifico. Le esercitazioni militari congiunte nelle aree contese e il tentativo di risolvere il "problema Corea del Nord" sono servite a dimostrare agli alleati l'impegno americano nel difendere la loro sicurezza. Come a dire:"degli U.S.A. vi potete fidare". Si tratta quindi della creazione di una cintura di Paesi amici intorno alla Cina per provare a contrastare la "proiezione di potenza" cinese, almeno nel Pacifico. L' aggressiva politica voluta da Xi basata sulla costruzione di hub marittimi militari e commerciali extraterritoriali (Africa, isole contese nel Pacifico...) è infatti fondamentale per strappare il dominio dei mari (e dunque il controllo di buona parte dei commerci mondiali) agli Stati Uniti.
2) dazi economici, sfociati in una guerra commerciale, in modo da poter limitare gli investimenti cinesi in specifiche aziende americane (attraverso i quali gli asiatici hanno potuto acquisire del know-how in diversi settori strategici, dell'elettronica all'aerospazio) e tentare di ridurre il deficit commerciale superiore ai 50 miliardi di dollari.
Nei confronti della Russia, l'azione americana si è concentrata nel ridurre i danni della "sconfitta siriana" per evitare una definitiva perdita di influenza nella regione. Tale volontà si è manifestata nell'appoggio politico totale offerto ad Israele, vero "cavallo di Troia" americano nello scacchiere Medio-orientale.
Le sanzioni economiche contro Mosca invece sono più probabilmente da riferirsi al "deep state" americano russofobo, a cui Trump ha dovuto concedere qualcosa in cambio di avere la mano più libera in altre questioni.
Per quanto riguarda la politica interna, l'operato del Presidente si è concentrato nel mantenere le promesse elettorali più "forti", dunque muro con il Messico per contenere l'arrivo dei migranti e cancellazione dell' "Obamacare" (a mio parere enorme errore, lo Stato dovrebbe sempre occuparsi della salute dei suoi cittadini!). Ulteriori misure sono state varate per rilanciare l'economia e soprattutto l'occupazione e la produzione interna, ne è un esempio la riduzione del carico fiscale alle aziende. Effettivamente qualche risultato c'è stato, ma è quasi impossibile distinguere il contributo dato dalle riforme economiche targate Obama dal contributo trumpiano.
Un ulteriore fattore negativo nella politica Trump, a mio giudizio, è la mancata restrizione della vendita e della circolazione di armi (dovuta forse al timore di inimicarsi la potentissima lobby delle armi), piaga, quest'ultima, che è costata migliaia di morti negli ultimi anni.
Per quanto riguarda il futuro, nei prossimi due anni l'agenda del Presidente proseguirà sul cammino di mantenimento della supremazia economoca e politica sopra descritto che, al netto di inevitabili errori e della ben più ferrea opposizione dei democratici freschi conquistatori della Camera, ben rappresenta l'"America first".
Per il lettore Sergio Pession, spesso opinionista in questa rubrica, Trump ci fa, ma (forse) non ci è: in ogni modo, segue un copione scritto da altri
Malgrado forti personalità, i presidenti Usa, sono sempre stati legati ad invisibili guinzagli tirati da chi non necessita di elezioni per detenere il potere. Coloro che hanno tirato troppo questo guinzaglio, ora sono ricordati come eroi alla luce di una bella fiaccola. Donald Trump, che non fa eccezione, è il prodotto di un difficile momento di profondo cambiamento per gli Stati Uniti. Per una transizione che scontenterà almeno metà paese, è necessario un volto nuovo: l’uomo del cambiamento. Il futuro degli Stati Uniti, più incerto che mai, va affrontato con un personaggio dai molteplici volti che ne incarni l’essenza. Lasciamo al passato lo sguardo deciso di Roosevelt, il volto pulito di Kennedy, il disarmante sorriso di Reagan o l’atletica disinvoltura di Obama. Ora serve un uomo capace di dire tutto ed il contrario di tutto, passando anche per un cretino lunatico pur di non svelare la vera rotta di una nazione che sembra navighi a vista.
Nei primi due anni Trump facendo parlare di sé in tutti i modi, rimette in piedi i rapporti con Israele, demolisce quasi tutto il lavoro di Obama, infine alza barriere e voce con mezzo mondo. Facendo così capire che gli Usa oggi sono capaci di tutto. Uomo fuori controllo, genio del bluff o nessuna delle due cose, poco importa; ogni strada deve apparire aperta con gli Usa moderni, siamo tutti avvisati. Con la complessa Europa e nello specifico l’Italia, Trump mantiene alta l’ambiguità facendo soffiare venti contrastanti; fa bene, soprattutto con la banderuola Italia. Specie ora che la Libia sembra ricascata nel “vecchio amore” per la dirimpettaia penisola. L’Italia, credo che sia per gli Usa come una delle tante fiamme per un marinaio, alle quali regalare oggi un fiore, domani un ceffone, che tanto alla fine, prima di salpare, si finisce sempre a letto.
L’impressione è che gli Usa soffino venti di guerra con la Cina (più che con la Russia); effettivamente più si aspetta e più la giovane superpotenza cresce. Imperativo è un valido pretesto che giustifichi questo ennesimo intervento. In prospettiva, con un mondo sempre più caldo (in tutti i sensi), è difficile immaginare degli Usa forti come un tempo o timidamente contratti su suolo nazionale. A questo servo ORA Donald Trump. Poi, nel futuro, si vedrà. Dopotutto, quando (e se) i nostri bisnipoti studieranno la storia a lume di candela, nel vedere il volto sorridente di Trump sul libro, potranno affermare serenamente: “beh, da uno con una faccia simile, cosa ci si poteva mai aspettare?”. Ma col senno di poi…
Per Luca, anche lui “veterano” di questa rubrica, è vero il contrario: Trump è un elemento estraneo al “sistema” e rappresenta la risposta americana al “pericolo giallo”
Agent 45 Dalla Russia con amore
Lasciando perdere Donald Trump il nostro eroe come essere umano, consideriamolo come Agente 45, ossia quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti.
L'agente Trump nasce nel 1992: in quella data il facoltoso miliardario Ross Perot fonda il partito della Riforma, novità per gli Americani abituati a Repubblicani e Democratici.
Agent 45 Trump si forma all'interno di questo nuovo partito, Reform Party, ma al contrario del fondatore Perot, la sua misteriosa agenzia ha l'astuzia di non farlo correre contro le due bestie: elefanti repubblicani e asinelli democratici, questi sono i simboli animali dei due maggiori partiti americani poiché la cosa sarebbe impossibile, (non oso pensare che animali sceglierebbero il PD e Forza Italia…) , ma di infiltrarlo in uno di essi, nei repubblicani, si mescola e si mimetizza. Pochi come Paul Ryan capiscono che qualcosa non va, ma quando se ne accorgono Agent 45 è diventato the Donald!!!
Capire Donald Trump è come cercare di capire il mondo. In molti sostengono nel dire che i Russi hanno sponsorizzato la campagna elettorale, in molti dicono che Wall Street lo ami, in molti dicono che le lobby Ebraiche abbiano dato il loro consenso, lui d'altronde gli ha dato una figlia e una capitale. Russi, Wall Street, e lobby Ebraiche quindi sono gli amici?
Chi sono i nemici? Sicuramente i Repubblidemocratici, praticamente le due facce della stessa medaglia. Gli hanno scatenato contro tutto quello che potevano e che avevano di loro assoluto controllo: la Stampa. Vi spiego meglio e vi traduco: è come se voi vi trovaste in un grattacielo di 50 piani da soli, con una pistola in mano, e che all'entrata ci fossero un centinaio di guerrieri Afghani, un centinaio di Navy Seal e un centinaio di operatori del G.O.I. coalizzati che vi vogliono scotennare, rendo l'idea? Scenario molto simile nella nostra madre patria. Altra domanda: secondo voi è un caso che una massa di disperati si sia messa in marcia dal sud America per raggiungere il nord? Il paranoico complottista direbbe che c'è qualcuno dietro. Voi cosa pensate?
Altri acerrimi nemici sono i Cinesi, i Cinesi alacri lavoratori. Creano in continuazione portaerei per portare in vacanza i loro aerei nelle isole da loro costruite con l'arroganza che un tempo era americana, comperano sempre di più stati africani per avere sempre maggiori risorse e influenza, saccheggiano l'Europa come non riuscirono a fare i Mongoli di Gengis Khan in passato. La domanda viene spontanea: non è che la campagna dei Repubblidemocratici sia stata pagata dai Cinesi?
Concludendo: l'America ha bisogno di Trump, è la risposta americana alla creazione delle isole e delle portaerei cinesi. Il mondo ha bisogno di Trump e della vecchia America, non per nostalgia ma per democrazia: in Cina non esiste, il sistema non la contempla, non contempla le diversità e le pari opportunità. Andate vedere che fine hanno fatto fare ai poveri Uiguri.
Se non ci fosse la Cina esisterebbe Trump? Se esistesse solo la Cina esisterebbero i Democratici?
Solo Trump sembra dimostrare di essere contro i cinesi.
Il lettore Andrea Ciccone (come molti altri) apprezza la coerenza di Trump, baluardo del mondo libero. A scapito della Cina.
I primi due anni di D. Trump dimostrano coerenza e lealtà con i propri elettori ma anche un lavoro meticoloso e impegnato per gli interessi direttamente degli USA e indirettamente a favore del mondo occidentale libero e democratico. Encomiabile la difesa dell'unica realtà democratica del M.O.: Israele (la presa di posizione di Trump in questo caso è stata da statista e andrà alla Storia).
Nella seconda parte della presidenza di Trump mi aspetto un ulteriore aumento del PIL americano ed un rafforzamento dell'influenza americana in Asia, MedioOriente e Africa con una rinascita straordinaria del Commonwealth.
L'influenza della Cina sarà arginata a causa di una profonda crisi finanziaria cinese. La Russia si troverà a scegliere tra allearsi a favore dei principi occidentali o giocare a fare opposizione. A mio modesto parere perderà finanziariamente il confronto militare con gli USA per riposizionarsi successivamente come tra i principali alleati degli USA in uno sfruttamento congiunto del nord del pianeta.
Secondo il lettore Elio Di Croce, Trump ha fatto meglio di Obama (non era difficile, dicono i maligni) ma non offrirà sponde all’Italia
Questi primi due anni sono stati buoni, ma non eccelsi. Molte intuizioni, come quella di ammodernare le infrastrutture degli USA (aeroporti, strade ecc.…) frustrate dalla mancanza di idee concrete. È un avversario del "politicamente corretto" e non è anticristiano come invece lo era Obama: ottimo. Elemento negativo: la sua tendenza a licenziare i collaboratori e la brutalità nel modo di esprimersi che oltrepassa la franchezza. Meno interventi su Twitter e Facebook: ogni cosa che dice/scrive può essere usata contro di lui.
Nella seconda metà della presidenza ci sono da aspettarsi difficoltà nell'azione di governo per il fatto di avere contro la Camera.
Col governo Lega-5 Stelle Washington non guarderà con più simpatia all’Italia: la maggioranza gialloverde è solo un gruppo di scalda poltrone, un governo del genere non può stare in piedi in un Paese serio. I grillini sono un partito strutturalmente antiamericano. Gli USA terranno d'occhio le nostre spese per la difesa e la volontà di appoggiarli nelle loro iniziative. La benevolenza americana è dovuta al fatto di impedire che l'Italia finisca sottomessa economicamente e politicamente al quarto Reich franco-tedesco. Senza il sostegno americano e russo, le agenzie di rating avrebbero già distrutto il nostro paese.
Nei prossimi anni gli USA vedranno, come avversario, più facilmente la Cina che la Russia, a causa della sua politica espansiva. Con la Russia si cercherà un modus vivendi.
Andrea Sapori, un altro lettore, esprime l’analisi più pessimistica (e forse più vera) riguardo al futuro del mondo. Rispetto al quale, Trump appare quasi come un puntino.
In questi primi due anni il tasso di crescita economico è stato buono, ma lo era anche con Obama. Le politiche protezionistiche, in USA, danno sempre un buon segno + a breve termine. A medio/lungo termine invece, di solito, sfociano in un conflitto, dato che generano tensioni economiche nei paesi trasformatori di materie prime altrui (Giappone e Germania ieri, Cina oggi e domani). Questo è avvenuto peraltro sempre con presidenti democratici alla Casa Bianca, e quindi non ne faccio responsabile Trump, che comunque sarà usato come capro espiatorio in futuro.
Nei prossimi due anni la facile strategia del "bastone e della carota", da applicare in questo caso all'Iran, non cambierà. Non è detto però che gli ayatollah abbiano la stessa capacità e volontà di mercanteggiamento di Kim Jong Un.
Parlando dell’Italia, non è tanto come Trump guardi ai giallo-verdi, ma come loro sono e saranno costretti, dati i rapporti pessimi con l'EU, a guardare a Trump.
Nei prossimi 2 anni non accadrà niente. Così non sarà nei prossimi 10, quando russi e cinesi penseranno di aver eguagliato le capacità militari USA. Questo costerà loro caro, e per riflesso anche a noi.
Il mio giudizio pertanto è neutro tendente al negativo.
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God bless America. Se non partiamo da qui, cercare di capire rapidamente “The Donald” è difficile; volendo procedere ad un’analisi oggettiva, ci si potrebbe accorgere che la figura dell’attuale Presidente, proteso a coniugare la dottrina strategica USA degli ultimi 30 anni con il suo America first, è più complessa di quanto non sembri. Innanzi tutto Trump è un jacksoniano nazionalista che indirizza la sua politica verso lo Stato Nazione, la potenza militare, verso lo scetticismo rivolto contro le organizzazioni internazionali ed i multilateralismi, visti come le sbarre di una gabbia in cui costringere l’american eagle (è uscito dal Trans Pacific Partnership per affrontare la sfida Cinese da una presunta posizione di forza). Il modello universalista wilsoniano, caratterizzato da risultati contraddittori, non trova corrispondenza con la sfiducia trumpiana nell’esportazione forzata di un modello democratico non sempre attagliabile alle situazioni politiche estere contingenti. Come jacksoniano, Trump colpisce con determinazione chiunque attenti alla sicurezza della sua comunità; insomma, un ritorno all’America delle origini, quella che non può non riconoscere Gerusalemme quale Capitale d’Israele, un Paese ammirato dai Repubblicani per la sua resilienza, e non adeguatamente considerato dalle precedenti amministrazioni.
Voler giudicare Trump senza comprendere la società profonda potrebbe portare a conclusioni imprecise; magari europeisticamente gradite ma, da un punto di vista americano, inesatte. Trump è innanzi tutto un imprenditore che non ha mai fatto mistero della sua “vision”; già 30 anni fa il suo best seller “The Art of the Deal” faceva intendere il disprezzo per una classe politica “all talk, no action”, da cui prendere le distanze per l’inveterata abitudine di non mantenere le promesse fatte: da qui l’uscita dall’accordo sul nucleare iraniano, il taglio dei fondi all’Autorità Palestinese, gli attacchi sulla Siria accusata di utilizzare armi chimiche, tutte espressioni di un pensiero politico estero nel più chiaro solco della tradizione repubblicana.
Trump ha messo da parte la retorica neocon che vuole l’esportazione del sistema di valori USA, e ha recuperato quanto di più radicato c’è della tradizione conservatrice americana; The Donald si è intelligentemente fatto interprete di istanze sociali trascurate dalle amministrazioni Dem, ed in ebollizione da almeno 10 anni, specialmente quando ha inteso assumere posizioni politically incorrect, come nei confronti dei flussi migratori. Indicative, del resto, le elezioni del midterm che, contrariamente alle aspettative di alcuni, non hanno segnato l’attesa debacle repubblicana.
La National Security Strategy trumpiana, stilata secondo il dettato del Goldwater-Nichols Act del 1986, si fonda su 4 pilastri: protezione di territorio e way of life, incentivazione della prosperità, preservazione della pace attraverso la forza, progresso dell’influenza politica globale, tutti aspetti legati da nessi di causa ed effetto, e che fanno capire come Trump non voglia sganciarsi dal mondo, ma desideri un’America protagonista.
Il Presidente è una star conflittuale, come nel rapporto con un’ONU ultimamente irridente ed in contrasto strategico e di vision complessiva, e di conseguenza irridentemente privata di una notevole fetta di contribuzioni finanziarie yankee; muscolare nell’area indo pacifica, in Nord Korea e nei rapporti con gli alleati atlantici, richiamati ad un impegno credibile; attendista in Medio Oriente, dove già l’amministrazione Obama non è riuscita a dare chiari segnali di coerente continuità ad una politica credibile; severamente non concessivo verso un’UE politicamente inesistente e di cui il Presidente francese ne è stata goffa ed imbarazzante sintesi nei recenti colloqui; assertivo e deciso con gli alleati riottosi e revanscisti come i Turchi ai quali, forse troppo avvezzi a controparti deboli e scialbe, è imprudentemente sfuggita la salienza dell’interlocutore.
Il conflitto commerciale ingaggiato con la Cina fa chiaramente intendere, infine, la conferma della volontà di una postura aggressiva, unitamente ad un impossibile appeasement con la Russia, osteggiato dal Congresso.
Per comprendere Trump, dovremmo imparare a capire e contestualizzare gli americani, esercizio difficile per soggetti politici che vedono nella sovranità e nel sentimento nazionale dei mali da estirpare. Abituati ad un uso smodato di cosmesi politica che ha sempre ostentato solo il lato “buono” delle relazioni, quel che ci manca è un vero contraddittorio con la totalità della working class americana, quella che, di fatto, sta beneficiando di un incremento occupazionale senza precedenti. God bless America.
Gino Lanzara
(foto: U.S. Air Force / MoD the People's Republic of China / U.S. Embassy Tel Aviv / U.S. Army / Xinhua / presidenza del consiglio dei ministri)