Intervista a Vichi De Marchi: le donne nei conflitti

(di Maria Grazia Labellarte)
14/03/19

“È vero, le donne subiscono di più il conflitto, spesso la violenza sulle donne fa parte della strategia di annientamento del nemico, dalla guerra in Bosnia alla riduzione in schiavitù delle yazide in Siria e Irak”, così Vichi De Marchi ricorda le donne nei conflitti, rivivendo i temi salienti del suo romanzo Dentro il cuore di Kobane, edito da Piemme, uscito lo scorso 5 Marzo. Giornalista e scrittrice, attualmente dirige anche il Comitato WE Women empower the World che si occupa di promozione del ruolo della donna in contesti internazionali.

Già portavoce per l’Italia per l’agenzia Onu, Programma Alimentare Mondiale (WFP), Vichi De Marchi ha pubblicato con Mondadori, Piemme, Editoriale Scienza, Einaudi Ragazzi, ricevendo numerosi premi e riconoscimenti.

In una sua recente intervista ci raccontava che le ragazze dell’esercito delle combattenti curde, formazione tutta al femminile, della quale fanno parte le protagoniste del suo romanzo "arrivano a combattere entrando in queste formazioni composte da sole donne, lottano contro retaggi forti".  Crede che la prima guerra a combattere queste donne sia proprio questa, quella dei "retaggi"? Servono ancora guerre per affermare l'identità femminile o é solo tutta propaganda?

Non penso che la guerra sia mai la soluzione di un problema, tanto meno che la guerra possa essere un’occasione di emancipazione in sé. È vero il contrario. Spesso sono le donne ad essere tra i soggetti più colpiti in un conflitto, a subirne maggiormente le conseguenze. Tuttavia in alcuni casi, le condizioni del conflitto agiscono come potenti catalizzatori dell’azione femminile. È successo così per le ragazze e le donne nel Rojava, nella regione curda della Siria, che si sono battute per difendere il proprio territorio, prima di tutto nella città simbolo di Kobane. Si sono trovate a combattere in formazione tutte femminili, dove accanto all’aspetto militare conviveva e convive quello dello studio, della discussione, di una riflessione sulla propria condizione femminile e sulla necessità di una emancipazione da codici ancora fortemente maschili.

Donne, pace e sicurezza : "le donne sono quelle che subiscono di più, ma poi non sono mai presenti al tavolo della pace e della mediazione". Lei si é fatta un' idea del perché?

È vero, le donne subiscono di più il conflitto, spesso la violenza sulle donne fa parte della strategia di annientamento del nemico, dalla guerra in Bosnia alla riduzione in schiavitù delle yazide in Siria e Irak. Eppure è vero che le donne, nel momento della pacificazione sono poco coinvolte, si dimentica il loro ruolo e la loro presenza ai tavoli negoziali e nelle trattative di pace. Eppure ci sono numerose risoluzioni ONU in tal senso e un certo attivismo su questo fronte fa ben sperare. Il tema “donne, pace, sicurezza”, sia pure a fatica, sta entrando nell’agenda di politica internazionale.

Per il finale del suo romanzo lei sceglie di far restare una delle protagoniste e trovare la propria nuova strada, mentre far raggiunge all’altra le comunità all'estero. Chi vince delle due la guerra? 

Ho cercato di raccontare la guerra e il coinvolgimento delle donne curde nella guerra in Siria attraverso due protagoniste quindicenni che non hanno l’età per combattere ma sono in qualche modo testimone dirette, co-partecipi della vita delle ragazze combattenti. Aniya, la più istruita, quella che viene da una famiglia benestante e militante, alla fine sceglie di emigrare con la famiglia in Germania e da lì aiutare la causa curda. Delal, la più povera e più sfortunata, condannata a un matrimonio forzato, non voluto, attraverso la guerra diventa consapevole che la sua lotta per la causa è anche la lotta per la sua “liberazione”. Lei resta nel Rojava, nel suo villaggio ma ritrova una sua indipendenza, una sua libertà interiore, forse anche un amore. Non ho pensato a quale dei due percorsi fosse migliore, o più giusto. Ho guardato a quelli che a me apparivano possibili scenari reali. La ricetta giusta non esiste. Delal potrebbe andarsene ma sceglie di restare. Aniya sceglie un altro percorso altrettanto impegnato. L’emigrazione qui non è fuga ma un altro modo di essere presente e lottare. Sono due alternative valide e possibili, entrambe legittime.

La guerra in Siria l'ha seguita come portavoce per l'Italia dell'Agenzia delle Nazioni Unite. Quale futuro ha quel Paese?

È stato un conflitto sanguinoso, lungo, costato moltissime vite umane e sofferenze tra assedi, violenze, distruzione di città antiche come Aleppo. Io spero che la Siria possa ritrovare la pace che oggi sembra più vicina. Ai curdi di Siria auguro di raggiungere quella forma di autonomia all’interno dello Stato siriano che auspicano.

Foto: U.S. Army / web