Anche Putin vuole sospendere il trattato INF sugli Euromissili

(di Tiziano Ciocchetti)
31/05/19

La Duma, il Parlamento russo, ha ricevuto un disegno di legge da parte del Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin, finalizzato alla sospensione del Trattato INF (Intermediate-range Nuclear Forces) sui missili a corto e medio raggio con gli Stati Uniti.

La decisione di Putin è la conseguenza dell’intenzione del Presidente americano Trump, annunciata il 20 ottobre dell’anno scorso, di uscire unilateralmente dal Trattato, firmato nel 1987 tra l’allora URSS e l’Amministrazione Reagan, e che concerneva la completa eliminazione dal Teatro europeo dei missili a breve raggio (500-1000 km) e a medio raggio (1.000-5.000 km).

Secondo la motivazione di Washington i russi starebbero violando il Trattato da anni, violazione riconosciuta anche dagli altri membri della NATO, nella riunione tenutasi a Bruxelles ai primi di ottobre del 2018.

Con molta probabilità, nell’allinearsi – forse un po’ troppo frettolosamente – alle posizioni dell’Amministrazione Trump, gli europei pensavano di arrivare progressivamente a una situazione strategica, incentrata su azioni diplomatiche destinate a confermare e rafforzare il Trattato INF, il quale rappresenta, senza ombra di dubbi, la pietra angolare della sicurezza dell’Europa.

La missione principale della NATO dovrebbe consistere nel perseguire un equilibrio strategico con la Federazione Russa, non certo riproporre una nuova corsa agli armamenti nucleari fine a sé stessa.

Alla luce delle analisi attuali, gli Stati Uniti non sembrano particolarmente interessati a cercare di costringere Mosca a rientrare nel rispetto delle clausole del Trattato INF. La volontà dell’Amministrazione Trump (espressa principalmente dal Segretario per la Sicurezza Nazionale John Bolton) sarebbe finalizzata a usare le presunte violazioni russe come pretesto per uscire dal Trattato, quindi riacquistare piena libertà di manovra per quanto riguarda lo sviluppo e il dispiegamento delle armi nucleari di teatro basate a terra in Europa.

Lo scopo ultimo, non è ristabilire un equilibrio strategico messo a rischio dalle iniziative russe, ma piuttosto instaurare un nuovo status quo più favorevoli agli interessi e agli obiettivi di Washington.

Qualunque sia la tipologia delle nuove armi nucleari di teatro che gli Stati Uniti potrebbero sviluppare e conseguentemente schierare, esse sarebbero comunque destinate ad essere utilizzate per colpire obiettivi sul territorio della Federazione Russa.

Di contro, le armi che verrebbero schierate dai russi andrebbero a colpire obiettivi situati sul territorio dei Paesi europei della NATO – soprattutto quelli che accoglieranno le nuove armi statunitensi – ma non su quello degli Stati Uniti.

Il quadro appena esposto favorirebbe il rafforzamento dei piani del Pentagono – da tempo in fase di elaborazione – per una guerra nucleare limitata al teatro russo/europeo e perciò dagli effetti collaterali, dal punto di vista americano, accettabili, e senza dover temere attacchi di rappresaglia contro il territorio nazionale.

Ovviamente Mosca è perfettamente conscia della situazione, infatti, un eventuale schieramento di missili balistici in Polonia permetterebbe di colpire la città di Mosca in meno di 4 minuti dal lancio (meno di due minuti occorrerebbero invece per colpire San Pietroburgo), riducendo sensibilmente il margine di preavviso a disposizione del Cremlino per una eventuale risposta.

La mossa unilaterale di Trump ha creato un forte stato di agitazione tra i partner europei, i quali potrebbero essere disposti ad accettare il dispiegamento di nuovi euromissili ma solo come strumento di pressione per convincere i russi a rientrare nei parametri del Trattato INF. Tuttavia, il ritiro americano potrebbe spingere Mosca a schierare una nuova generazione di armi nucleari di teatro (compresa una versione aggiornata degli SS-20), facendo ricadere l’Europa in uno stato di assoluta precarietà.

Foto: TASS / MoD Fed. russa