L’ufficiale della Marina Militare degli Stati Uniti d’America, Alfred Thayer Mahan, alla fine del XIX secolo, col suo libro The Influence of Sea Power Upon History 1660-1783, postula per primo gli elementi fondamentali per la costituzione e l’applicazione del Potere Marittimo e quindi per la formulazione e la strategia Marittima.
Mahan asserisce nella sua opera - in cui si cimenta in un’analisi critica della politica e della storia navale del periodo analizzato – che, per una nazione che vuole esercitare un Potere Marittimo non è sufficiente possedere una flotta numerosa (spesso si confonde il "Potere Marittimo" con il "Potere Navale" e viceversa) ma è indispensabile avere una posizione geografica favorevole, una conformazione fisica comprendente le risorse naturali e produttive, avere estensione territoriale, sviluppo demografico e istituzioni stabili.
Secondo Domenico Bonamico, uno dei primi teorici della dottrina navale italiana (che andrebbe riscoperto, non solo negli ambienti militari), il Potere Marittimo rappresenta il complesso delle energie marittime di un paese: militari, mercantili, portuali, industriali. Mentre il Potere Navale è costituito dalla sola Marina Militare e dalle sue capacità in pace e in guerra.
L’Italia, proprio per la sua conformazione peninsulare al centro del bacino del Mediterraneo, non può assolutamente rinunciare ad avere una Politica Marittima.
Politica estera italiana e Marina Militare dovrebbero essere indissolubilmente legate, ma questo legame andrebbe alimentato attraverso un costante e continuo lavoro.
Il ruolo tradizionale della Marina è quello di mostrar bandiera, ruolo che la U.S. Navy ha assunto in modo più incisivo – rispetto al passato – dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Nel marzo del 1946 si verifica la prima crisi tra gli Stati Uniti e l’URSS a causa del rifiuto di quest’ultima di ritirare le truppe dall’Iran settentrionale, occupato nel corso del conflitto con la Germania. In aggiunta Mosca comincia ad inviare rinforzi con il duplice scopo di arrivare a Teheran e minacciare il territorio turco.
In gioco ci sono gli immensi giacimenti petroliferi iraniani, nonché lo sbocco sul Golfo Persico e conseguentemente sull’Oceano Indiano.
Mentre il Consiglio di Sicurezza dell’ONU si riunisce per condannare l’iniziativa sovietica, Mosca formula nuove richieste di sbocchi sul Bosforo e sui Dardanelli, e pretese territoriali per quanto riguarda le zone costiere della Libia, ex colonia italiana. Lo scopo strategico è ben chiaro: estendere il controllo su tutto il Vicino Oriente, ricco di petrolio, sull’Europa sud-orientale con la possibilità di avere un ampio sbocco sul Mediterraneo orientale fino all’Adriatico e sulle coste del Nord Africa che permetterebbe a Mosca di controllare il Mediterraneo centrale e il Canale di Suez.
Per ostacolare la strategia sovietica, Washington, nel marzo del 1946, invia nel Mediterraneo orientale la corazzata Missouri (foto) che si va ad aggiungere all’incrociatore Providence e al cacciatorpediniere Power, già presenti. La finalità della presenza della flotta americana in quell’area appare evidente nel suo significato di garanzia e protezione, nei confronti di tutti i paesi che, in quel momento, subiscono un’aggressione da parte dell’URSS.
Vista la determinazione americana, i sovietici si accordano con gli iraniani e cominciano a ritirare le proprie truppe entro sei settimane.
Tuttavia il referendum in Grecia sul ritorno dall’esilio di Re Giorgio II alimenta nuove tensioni nella regione. Si teme un colpo di mano da parte della guerriglia comunista (appoggiata da Mosca) per rovesciare il governo filo occidentale appena eletto.
Il 1° settembre 1946 i greci votano a favore del ritorno del Re, il 5 settembre la portaerei Roosevelt, insieme ad altre unità navali di scorta, getta l’ancora al largo delle coste greche con circa 120 velivoli imbarcati. Da quel primo nucleo di navi nascerà la VI Flotta della US Navy, che per tutto il periodo della Guerra Fredda (e anche oltre) sarà l’interprete della strategia americana nel Mediterraneo.
Anche le elezioni in Italia del 1948 vedono la presenza della VI Flotta americana nel Mediterraneo, pronta ad intervenire se dalle urne fosse uscito vincitore il Fronte Democratico Popolare (Partito Comunista e Socialista).
Spostandoci nel Levante, il Libano nel 1950 viene scosso da disordini causati dalle forze politiche di estrema sinistra, con il sostegno di Mosca. Beirut chiede l’intervento americano, con grande celerità la VI Flotta si sposta nel Mediterraneo orientale. Gli aerei della portaerei Midway (foto) sorvolano in massa la capitale libanese, dopo questa dimostrazione di forza i disordini cessano. Nel 1958 si verificano nuovi disordini, questa volta la VI Flotta interviene in maniera massiccia, in 48 ore tre portaerei, con relative unità di scorta, entrano nelle acque territoriali libanesi e fanno sbarcare a terra i marines.
Le due crisi libanesi hanno messo alla prova il decisionismo di Washington nonché le sue capacità di schieramento su grandi distanze.
L’Italia dovrebbe, come realtà geografica che si protende sul mare, esercitare un Potere Marittimo, nei limiti delle sue risorse.
La crisi libica in atto poteva essere bloccata sul nascere se il governo italiano (il quale aveva tutte le informazioni necessarie per prevedere l’iniziativa del generale Haftar) avesse inviato un gruppo navale (su richiesta di al-Sarraj) davanti a Tripoli.
Anche ora, un’azione diplomatica da parte dell’Italia per far desistere l’uomo forte della Cirenaica dalla sua offensiva, dovrebbe essere accompagnata da una altrettanta incisiva dimostrazione di Potere Marittimo.
Foto: U.S. Navy