Su un edificio della Scuola di Fanteria di Cesano c’è una scritta: questa è l’Arma di fanteria regina delle battaglie. Frase che, fino a pochi anni fa, non poteva certo essere messa in discussione.
Infatti non serve ricordare il ruolo della Fanteria nel corso della Prima Guerra Mondiale (unica Arma decorata con l’Ordine Militare di Savoia), in cui ha pagato un elevato tributo di sangue.
Uno dei più grandi navalisti del XX secolo, l’ammiraglio Fioravanzo, così concludeva le sue considerazioni strategiche all’inizio della Seconda Guerra Mondiale: il fante dirà come sempre l’ultima parola, affermando in modo inequivocabile col suo piede calcante il suolo nemico ogni conquista definitiva. Ma la sua azione, direttamente o indirettamente facilitata dal potere aereo e marittimo, andrà a vantaggio delle possibilità operative dell’aviazione e della marina, per dilatare la loro azione su orizzonti più vasti.
Dopo la Prima Guerra Mondiale. le specialità della Fanteria sono cresciute di numero: ai granatieri, bersaglieri e alpini si sono aggiunti paracadutisti, lagunari e carristi. Tuttavia viene da chiedersi quale sia il suo ruolo nel contesto degli attuali scenari operativi.
Le opinioni non sempre concordi; già nel 2003 si scommetteva sulla rivoluzione informatica come protagonista dei campi di battaglia; sempre nello stesso anno, vari articoli su riviste specializzate, ipotizzavano il definitivo affermarsi del potere aereo come risolutore dei conflitti. Il comune denominatore è l’affermarsi delle alte tecnologie, non solo in termini di efficacia, ma anche per preservare vite umane, in quanto i governi occidentali cercano in ogni modo di limitare le perdite, anche tra il personale militare.
Tale politica ha indotto gli Stati Maggiori ad impiegare gli aerei alle quote più alte, onde rimanere al di fuori della portata dei sistemi missilistici superficie-aria, nonché ad un crescente utilizzo dei velivoli non pilotati e missili da crociera, come il Tomahawk.
D’altro canto, nonostante l’avanzamento tecnologico, l’uomo non potrà mai essere sostituito.
Lo ha sottolineato all’inizio del 2003, l’allora capo di stato maggiore dell’Esercito tenente generale Ottogalli, il quale mise in rilievo che, dopo la Guerra del Golfo del 1991 e alla luce dei più recenti avvenimenti, tramontava l’illusione di poter raggiungere mediante le tecnologie la guerra a zero morti.
L’intento del capo di stato maggiore era quello di evitare che l’Esercito si riducesse ad un ruolo di subalternità nei confronti della tecnologia. Concetti poi ribaditi nel giugno dello stesso anno, ovvero quando la prima fase della guerra in Iraq si era ormai conclusa con la conquista di Baghdad da parte delle forze anglo-americane.
L’operazione contro il regime di Saddam Hussein segna una sorta di rivalutazione del ruolo del combattente. in quanto per trasformare la vittoria militare in vittoria politica occorre che sul terreno ci sia la presenza dei soldati (boots on the ground).
La guerra in Afghanistan, quella in Iraq del 2003, nonché le più recenti operazioni in Siria, hanno fornito una massa di insegnamenti tecnico-militari tali da influenzare, non solo i futuri assetti organici della fanteria, ma ancora di più lo studio, finalizzato all’adozione di nuovi materiali, per poter meglio affrontare i nuovi scenari operativi.
Nel caso particolare, la guerra in Iraq del 2003 ha evidenziato come, di fronte all’avanzata iniziale delle forze anglo-americane, l’esercito iracheno si sia rapidamente dissolto.
Questo ha evidenziato, ancora una volta, una verità elementare che, inevitabilmente, favorisce l’adozione di tattiche di guerriglia (se non terroristiche): non conviene ai nemici delle Potenze occidentali affrontarle con l’utilizzo di strategie convenzionali, in quanto la loro superiorità tecnologica (ma anche di manovra) sarebbe schiacciante.
La seconda fase della guerra, infatti, ha dimostrato l’efficacia di tattiche rudimentali, come attacchi kamikaze e imboscate con IED.
Procedure che, basate sulla sorpresa e su totale disprezzo della vita umana (inconcepibile per noi occidentali...), rendono le più avanzate tecnologie e i più moderni mezzi di fuoco poco efficaci, infatti, le perdite americane nella seconda fase della guerra sono state maggiori rispetto alla prima.
È altresì vero che, nelle fasi iniziali delle operazioni in Iraq, più che in duri scontri si è assistito ad avanzate in profondità che hanno richiesto un impegnativo lavoro di logistica; ciò ha ulteriormente riaffermato la vecchia esigenza che per il controllo di un territorio non completamente sicuro, con popolazione almeno in parte o potenzialmente ostile, occorrono molti uomini, quindi, molte unità di fanteria.
Tale situazione non potrebbe essere affrontata con l’intervento della forza aerea, in quanto essa necessita di obiettivi consistenti per poter essere realmente efficace; mentre il supporto dell’artiglieria non sempre riesce ad essere tempestivo, nonché aderente alla situazione operativa e quindi risolutiva.
Dunque, l’Occidente (e in particolar modo l’Italia) deve poter disporre di un numero sufficiente di veri combattenti, motivati, addestrati, ben armati ed equipaggiati: necessità già sentite nelle guerre del XX secolo, tuttavia non sempre sono state soddisfatte, specialmente per quanto riguarda le vicende del nostro Paese.
È altresì vero che, il combattente che dovrà affrontare i nuovi scenari operativi, debba poter disporre dei migliori strumenti (materiali e morali) del suo mestiere, altrimenti non potrà essere in grado di operare, in quanto nulla (potenza di fuoco, tecnologia) potrebbe supplire alle sue eventuali carenze morali e addestrative di base.
A nostro avviso le tecnologie vanno concepite anzitutto al servizio della sicurezza dell’uomo, che deve essere in tal modo messo nelle migliori condizioni per colmare con la sua azione gli spazi che inevitabilmente le predette tecnologie lasciano scoperti.
I mezzi da combattimento (carri armati, veicoli da combattimento per la fanteria, LMV e VTMM) dovrebbero privilegiare la protezione, anche a discapito dell’armamento. Un veicolo blindato (come il LINCE) dovrebbe avere - sempre - la possibilità di individuare con immediatezza e in tempo utile le minacce circostanti (IED e attacchi kamikaze), perciò di intervenire senza dover esporre all’esterno un mitragliere.
Dire uomo vuol dire anzitutto dire fante.
Un fante che non può essere lasciato solo, poiché l’efficacia della sua azione, nonché le sue condizioni morali e materiali dipendono da ciò che l’intero strumento militare è in grado di mettere in campo per supportarlo.
Si tratta quindi di trarre tutte le conseguenze del fatto che non esistono più - come avveniva fino alla fine della Guerra Fredda – una prima linea e delle retrovie.
Nelle realtà geostrategiche attuali, ogni missione richiede un’attenta valutazione delle sue caratteristiche, dalla quale deve conseguire un’opportuna applicazione delle forze, a secondo del caso specifico.
È indubbio che gli eserciti regolari si trovano in forte difficoltà quando si tratta di affrontare gruppi di guerriglieri (come nel caso delle forze israeliane nella guerra del Libano del 2006), anche perché, in molti casi, la vittoria necessita di azioni non militari. Tuttavia quest’ultime rimangono necessarie, prima di tutto per svolgere in una cornice di sicurezza le attività a favore della popolazione civile, che a loro volta richiedono sempre reparti terrestri ben organizzati.
In secondo luogo il fattore umano – ovvero il fante – non può certo passare in seconda linea rispetto alla tecnologia. Le future, costose, tecnologie sono rivolte prima di tutto all’uomo. Ma non è certo facile motivare l’uomo occidentale, infondergli fiducia nella sua missione, nelle sue armi e nella sua leadership.
Proprio l’esercito più potente del Mondo, quello americano, ha una grande necessità di uomini; questo perché le tecnologie hanno e avranno sempre dei limiti invalicabili, inoltre la conformazione del territorio condizionerà sempre la condotta delle operazioni (come del resto è accaduto in Afghanistan), favorendo la guerriglia che può essere combattuta con efficacia solo con l’impiego della fanteria leggera (significativa è l’esperienza della fanteria leggera rhodesiana nel periodo 1966-80), che ne adotti la modalità d’azione.
In conclusione, nel contesto strategico e tattico attuale, la fanteria rimane uno strumento militare polivalente, un’Arma di prima linea e di esteso impiego.
Foto: U.S. Army / U.S. Navy / Esercito Italiano