Lo scorso 23 maggio, con una grande cerimonia cui ha partecipato il presidente Recep Tayyip Erdoğan come ospite d’onore, è stata enfaticamente celebrata una tappa fondamentale verso la conclusione dei lavori del secondo sottomarino a propulsione indipendente ad aria (air-indipendent propulsion – AIP) classe “Reis” (Tipo-214TR), il futuro TCG Hizir Reis, che dovrebbe entrare in servizio nel 2023. Durante la stessa cerimonia, avvenuta presso i cantieri turchi di Gölcük, è stata data ampia visibilità anche alla prima saldatura del sesto sottomarino della stessa classe (TGC Selman Reis), la cui entrata in servizio è prevista per il 2027.
La disponibilità di sottomarini di questo tipo, che hanno la possibilità di operare senza avere accesso all’aria esterna e, quindi senza emergere o impiegare uno snorkel, potrebbe cambiare in maniera significativa gli equilibri di forza in un’area, quale quella del Mar di Levante, nella quale stanno confluendo - tra le altre - rilevanti “attenzioni” internazionali (Italia compresa) correlate all’approvvigionamento energetico e allo sfruttamento dei suoi immensi giacimenti di idrocarburi. (leggi articolo “L’aggressiva politica marittima turca destabilizza il Mediterraneo”)
I battelli classe “Reis”
I sottomarini AIP sono unità subacquee di poco più di 68 m di lunghezza e circa 6 m di diametro, con un dislocamento di circa 1.850 t e un equipaggio di 40 persone. Questi battelli sono in grado di effettuare lunghe navigazioni occulte, sia vicino alla costa che in acque profonde. Essendo significativamente meno rumorosi dei modelli precedenti e, quindi, relativamente “invisibili” agli apparati di scoperta e localizzazione subacquea dell’avversario, rappresentano un valore aggiunto o un maggiore pericolo (a seconda del loro impiego) in termini di lotta subacquea e di operazioni segrete.
Come sottolineato dallo stesso Erdoğan nel suo discorso a Gölcük, questi battelli possono operare fino a dodici settimane senza rifornimenti e immergersi a oltre 300 m di profondità. Sono, inoltre, capaci di colpire bersagli subacquei, di superficie e su terrai.
Si tratta, quindi, di un significativo miglioramento della Marina turca, che ha avviato la costruzione di questi battelli su licenza tedesca e grazie alla collaborazione tra i cantieri navali turchi di Gölcük e Sistemi Marini della tedesca thyssenkrupp. Il primo della serie, il Piri Reis, è stato messo in acqua nel 2019, cui dovrebbero seguire un battello all’anno dal 2023 al 2027, per un totale di sei sottomarini.
Stiamo parlando di una collaborazione fortemente voluta da Angela Merkel, che è tuttavia stata fortemente criticata in Germania, proprio a causa delle tensioni prodotte, in particolare negli ultimi cinque anni, dall’atteggiamento assertivo e aggressivo turco nel Mediterraneo Orientale.
Aspetti energetici e geopolitici
Da prima dell’inizio della guerra in Ucraina, che vede la Russia impegnata a guadagnare terreno, al fine di assicurarsi le risorse di quel paese, ed espandere il suo controllo del Mar Nero, la Turchia sta giocando un difficile ruolo geopolitico, in costante equilibrio sul filo del rasoio, dando prova di notevole capacità di cerchiobottismo tattico.
Come paese che si affaccia sul Mar Nero, Ankara si è duramente contrapposta a Mosca già prima al 24 febbraio, essendo apertamente molto vicino a Kiev sia a livello militare che diplomatico (suoi sono i droni che hanno causato così tante perdite alle truppe russe) mentre, al contempo, ci faceva affari proprio nel settore militare. (leggi articolo “Le due facce dell’atteggiamento turco”)
Anche come alleato occidentale la Turchia gioca in modo ambiguo. Mentre é intenta ad arginare l’espansionismo di Mosca nel Mar Nero, nel Caucaso, in Siria e in Libia (soprattutto in chiave di approvvigionamento energetico), Ankara si oppone all’inclusione di Svezia e Finlandia nell’Alleanza Atlantica. Un atteggiamento che molti analisti leggono come strumentale allo scopo di convincere gli USA a inserirla nuovamente nel programma F-35. Senza tali velivoli, infatti, la capacità di proiezione turca sul mare sarebbe significativamente ridotta. (leggi articolo “Le relazioni tra Russia e Turchia minacciano la NATO?”) La valutazione di alcuni analisti è che la guerra in Ucraina abbia restituito agli occhi di Washington l’importanza strategica della Turchia e che Ankara abbia l’intenzione di riscuotere as soon as possible il suo dividendo.
Da ultimo, proprio per effetto di questi ambigui e articolati rapporti con i diversi attori, Erdoğan sta cercando di affermarsi come mediatore nel conflitto ucraino, al fine di permettere il cessate il fuoco e l’inizio di un serio e costruttivo confronto diplomatico in grado di contemperare le diverse esigenze. Un successo in tal senso porterebbe ad Ankara, e soprattutto a Erdoğan, un enorme ritorno di immagine sul palcoscenico internazionale, permettendogli di accentuare la sua strategia nel Mediterraneo Orientale, volta principalmente a impadronirsi delle smisurate riserve di gas naturale e di petrolio che si trovano nella Zona Economica Esclusiva (ZEE) cipriota e, soprattutto, in quella greca a sud di Creta e in quella libica.
In tale ottica, un altro obiettivo della più recente politica turca è quello di far naufragare tutti i grandi progetti energetici trans-mediterranei che la vedono esclusa e che potrebbero risolvere completamente, per almeno mezzo secolo, i problemi di approvvigionamento dell’UE.
Tale è, per esempio, il progetto di gasdotto denominato East-Med, che attraversa il Mediterraneo Orientale da Cipro alla Grecia e poi all’Italia e all’Europa. Un progetto che, secondo quanto affermano autorevoli fonti, la Commissione Europea dovrebbe promuovere a pieni voti entro il 2022, dopo i tentativi di affossamento subiti negli ultimi anni, e che dovrebbe essere idoneo anche al trasporto dell’idrogeno verde, come nelle intenzioni del consorzio “Poseidon” e come previsto dalla strategia Repower Europe. La Commissione Europea, che ha già finanziato il progetto con 70 milioni di Euro, non avrebbe quindi intenzione di sottostare alla minacciosa postura turca e sembrerebbe intenzionata, insieme a Cipro, Grecia e Italia (secondo gli ultimi segnali politici del Governo e del Parlamento) a realizzare East-Med.
Ma la destabilizzazione turca non riguarda solo gli aspetti energetici. I motivi di attrito con i paesi rivieraschi sono molteplici, e abbastanza gravi. Senza affrontare la questione cipriota, ormai nota, basti ricordare la feroce contrapposizione geopolitica con la Grecia che, negli ultimi cinque anni, ha dato vita a una vera e propria sfida interna alla NATO a suon di provocazioni, rappresentate da numerose violazioni dello spazio aereo greco da parte dei caccia turchi e da esercitazioni aeronavali nella ZEE di Atene, anche a ridosso delle acque territoriali greche. È poi notizia di questi giorni che la nave turca da ricerca Çesme avrebbe intenzione di condurre rilievi idrografici vicino alle isole greche Lesbo, Skyros e Agios Efstratios, mentre Atene sostiene che Ankara non ha l’autorità per emettere avvisi di navigazione nell’area.
Con una tale incandescente situazione, l’acquisizione dei nuovi battelli classe “Reis” potrebbe, come detto, sbilanciare i rapporti di forza nel Mediterraneo Orientale, permettendo alla Turchia di avere nuovi strumenti da impiegare per la sua politica marittima aggressiva e destabilizzante, ostacolando i legittimi interessi dei paesi interessati a quell’area, in particolare sotto il profilo energetico, ma non solo.
Ciò potrebbe, infatti, riflettersi negativamente sulla situazione geopolitica complessiva del Mediterraneo Orientale e sui nostri interessi nazionali, nonostante Ankara sia formalmente nostra alleata nella NATO, ma di fatto nostro agguerrito competitor in quell’area del mondo.
La sua postura marittima e la sua politica neo-ottomana hanno, quindi, creato crescenti difficoltà nelle relazioni internazionali nel Mar di Levante e hanno reso molto difficile il dialogo per contemperare le diverse esigenze nazionali, a partire dalle necessità di certezza del diritto internazionale marittimo alle esigenze di sicurezza della navigazione, per arrivare alle questioni energetiche, sempre più pressanti al fine di differenziare gli approvvigionamenti in questo travagliato periodo storico.
Conclusioni
Il rafforzamento navale della Turchia è uno dei “regali” fatti dalla Merkel, da cui lo stesso governo tedesco sta oggi prendendo le distanze, la cui leadership miope e narcotica ha non poco contribuito alla destabilizzazione di un’area di estrema importanza geopolitica. È sua, infatti, anche la regia del pessimo accordo europeo sui migranti, raggiunto con Erdoğan. A nemmeno un anno dalla sua scomparsa politica, quello che in pochi ieri dicevamo, ma che oggi inizia a essere più chiaro a tutti, è il danno permanente che Angela Merkel ha causato alla NATO e alla sicurezza dell’areaii.
Detto ciò, è prevedibile che la minaccia ai nostri interessi nel Mediterraneo possa crescere nei prossimi anni, in quanto la Turchia disporrà sia dei citati battelli sia di 7 nuove cacciatorpediniere “TF 2000” con capacità di lancio di missili da crociera. Se a ciò dovessero aggiungersi anche i velivoli F-35, forniti da un’amministrazione americana “distratta” dalle questioni indo-pacifiche e vogliosa di compiacere l’alleato sul Bosforo, Ankara sarebbe in grado di estendere la propria destabilizzante influenza marittima ben oltre Cipro.
È anche probabile che, continuando a giocare contemporaneamente su due tavoli contrapposti, Ankara possa tornare, una volta concluso il conflitto in Ucraina, a stringere nuovi rapporti diplomatici e commerciali con Mosca, peggiorando la sua immagine agli occhi occidentali, e a permettere alla Marina russa di tornare a rappresentare una minaccia aggiuntiva nel bacino, con le sue Fregate che, a breve, potrebbero essere dotate di missili ipersonici “Zircon”, intercettabili solo con armi a energia diretta.
Il Mediterraneo Orientale è un’area di grande rilevanza e delicatezza, intimamente collegata alla tutela dei nostri interessi nazionali, sia economici che politici. Arginare la straripante destabilizzazione turca e assicurare la stabilità del quadro geopolitico nell’area è, quindi, una premessa fondamentale per permettere la continuità del flusso commerciale via mare, che significa benessere e prosperità del nostro paese. L’interruzione o il rallentamento, per qualunque causa, delle catene di approvvigionamento globali, con i ritardi delle forniture dall’Oriente hanno infatti messo in luce l’intima connessione tra economia, mare e ruolo delle Marine (il caso della Ever Given è emblematico - leggi articolo "L’importanza economica e geopolitica del Canale di Suez").
In gioco non ci sono solo il benessere nazionale e la continuità dell’approvvigionamento energetico e di materie prime, ma anche la sicurezza dei flussi di esportazione dei prodotti lavorati, vitali per la nostra economia, e la nostra immagine e credibilità internazionale, su cui si basa la possibilità di consolidare i vecchi e conquistare i nuovi mercati.
Il quadro geopolitico di riferimento è in continuo fermento ed è caratterizzato dall’azione destabilizzante di attori vecchi e nuovi che non esitano a “entrare duro”, per utilizzare un termine calcistico, su tutti i possibili concorrenti, siano essi partner o alleati di vecchia data che nuovi soggetti internazionali. Una situazione che minaccia tutta l’area del Mediterraneo Orientale e i nostri interessi nazionali e, in definitiva, la possibilità di mantenere il nostro benessere. Una situazione che chiama l’Italia ad assumere un ruolo da protagonista in tutta l’area, da sola o congiuntamente agli alleati con i quali condividiamo questa necessità.
In particolare, sarebbe auspicabile una forte presa di coscienza della nostra accentuata dipendenza dal mare sia per il commercio e l’approvvigionamento energetico, ma anche per i nostri collegamenti informatici (garantiti dalle autostrade rappresentate dalle migliaia di chilometri di cavi sottomarini) e, quindi, sarebbero importanti un ruolo più attivo della nostra diplomazia e della Marina Militare e un maggiore dinamismo propositivo da parte del nostro paese nei vari consessi internazionali, in modo da rilanciare la nostra oggettiva funzione geopolitica e fare in modo che altri non cerchino di esercitarla in nostra vece.
In tale ambito, come dimostra l’esperienza con la Russia, le sole proteste diplomatiche e l’imposizione di sanzioni simboliche o comunque blande non risolveranno il problema in quanto, così facendo, la Turchia potrebbe continuare a destabilizzare tutta l’area e a impadronirsi arbitrariamente di gran parte dei giacimenti gasiferi del Mediterraneo Orientale, calpestando le norme di diritto internazionale. Erdoğan, in questo, non è molto diverso da Putin e non cercare di contenere adeguatamente le sue ambizioni potrebbe semplicemente alimentarne gli appetiti.
Come media potenza regionale con interessi globali non possiamo disinteressarci degli aspetti marittimi correlati alla nostra sicurezza e alla nostra economia.
Quindi, non solo una Marina Militare moderna, credibile ed efficace, con adeguate capacità di proiezione, mezzi efficienti, visione strategica e capacità di proteggere i nostri interessi nazionali sul mare, compresa la lotta antisommergibile, ma anche una costante disponibilità e agibilità di sbocchi sul mare, con logistica e cantieristica commisurate al livello di ambizione – e necessità – del paese, con la massima attenzione al presente ma con lo sguardo rivolto al futuro.
Alla base di tutto ci deve essere la consapevolezza dell’importanza geopolitica del bacino del Mediterraneo per le economie europee e mondiali e l’Italia, per storia, collocazione geografica e necessità, ha un suo ruolo da giocare. Non può essere solo spettatrice.
i Tayfun Orzberk, Turkey Launches Second Reis-Class Type 214 AIP Submarine, NavalNews, 24 maggio 2022
iiMediterraneo Orientale tra geopolitica ed energia, Quaderni strategici n. 2 del Centro Studi Marittimi e di Geopolitica (CESMAR), Roma, 2022
Foto: presidency of the republic of Turkey / Twitter / ministero della difesa