Uso dell’ombrello da parte dei militari dell’Esercito e Cultura organizzativa militare

(di Antonio Venci)
30/08/22

L’ombrello, da sempre proscritto in ambito militare, è ora prescritto da apposita circolare1, che ne regola l’uso a seconda delle situazioni e dell’uniforme indossata. È forse questo un segno d’imborghesimento nell’esteriorità della forma militare? Subito sui social si sono rincorsi motti di spirito e scherzose vignette, come: assaltatore nella buca mentre spara chiede “coprimi” e subito il coppio arriva con l’ombrello aperto. Dunque, tale novità può essere oggetto d’interpretazione, anche alla luce dello “spirito militare”2, e per procedere in tale direzione attingeremo al paradigma della Cultura organizzativa militare3.

L’ombrello è un oggetto della praticità corrente - sempre che non soffi la bora, che lo renderebbe inutilizzabile - e molto adatto a ripararsi dalla pioggia (anche dal sole). Nelle diverse possibili sue fogge, può diventare anche un accessorio raffinato, da uomo e da donna eleganti. Nella City di Londra un tempo contraddistingueva i gentiluomini, ma non solo; altrove le signore potevano portarlo impreziosito da un manico d’argento. Oggi si preferiscono tessuti colorati e la tecnologia consente la realizzazione di modelli tascabili, telescopici. I modelli di maggiore pregio portano sul manico una targhetta di ottone con il marchio del produttore.

Essendo un capo di corredo che impegna necessariamente l’uso di una mano, poco si addice all’homo faber, che usa avere entrambe le mani sempre libere, pronte all’azione. In tale prospettiva, esso si sarebbe potuto appellare come un oggetto borghese, prima che la definizione di “classe media” avesse soppiantato quella particolare rappresentazione di un certo status sociale.

La circolare dell’Esercito ora ne prevede di due tipi, tascabile, ovvero ripiegabile e ordinario, ma rigorosamente nero, senza ornamenti e tantomeno... distintivi, marchi e personalizzazioni varie, almeno per ora; infine da portarsi con la mano sinistra per consentire alla destra il saluto alla visiera.

Nell’ambito delle culture d’impresa, con cui gli psicologi indagano le organizzazioni per migliorarne il funzionamento, l’ombrello rientrerà nella categoria degli “artefatti”. Tale categoria riunisce i prodotti creati ad arte e adottati per assolvere a determinate funzioni, ma che si devono considerare anche per ciò che esprimono (comunicazione non verbale, simbolica) delle altre due categorie di contenuti, tipici delle organizzazioni: gli “assunti taciti e condivisi” e i “valori”4. Volendo approfondire, constateremmo che assunti e valori sono componenti della “Vision” e della “Mission” dell’establishment aziendale. E che gli artefatti, immancabilmente, esprimono queste due categorie.

Per entrare nella natura dell’ombrello ora adottato dall’Esercito, dal punto di vista della Cultura organizzativa militare, inizierò col richiamare un ricordo personale. La mattina del 4 maggio 2002 eravamo a Trieste, in Piazza dell’Unità d’Italia, in attesa dell’arrivo del presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, per il suo intervento alla cerimonia di celebrazione del 141° anniversario della costituzione dell’Esercito Italiano. Pioveva a scrosci anche molto intensi (non soffiava la bora) e i militari indossavano l’impermeabile. La cerimonia non poteva prevedere una configurazione per il tempo piovoso e gli addetti al cerimoniale si confrontavano cercando una possibile soluzione che evitasse la pioggia al presidente.

Di ombrello non si parlava perché, come noto, con i reparti schierati non sarebbe stato consono. Né il gruppo rassegna avrebbe potuto utilizzarlo essendo costituito anche da militari. A risolvere la questione protocollare fu lo stesso Ciampi, inaspettatamente, che, appena giunto, sfilò dalla tasca la sua bustina da autiere e la indossò con quello stile militare che tanto lo avvicinava alle forze armate e alle associazioni combattentistiche e d’arma. Tale gesto non poteva non produrre nei presenti un brivido di emozione e di passione.

La bustina, il copricapo militare in genere, è un altro artefatto che ben esprime la cultura organizzativa militare. Il colore è significativo della forza armata; il distintivo d’arma ne indica l’appartenenza; quindi mostra il grado; altri elementi di abbellimento racchiudono sempre un significato. Per esempio, il sottogola ci racconta che quel copricapo si sarebbe indossato in battaglia, a cavallo, sotto le intemperie, ovvero in quelle situazioni critiche, ma caratterizzanti la condizione militare.

Il corso della manifestazione ebbe una variante che poi fu benevolmente criticata da molti: per evitare il disagio della pioggia ai militari schierati, furono omessi tutti i discorsi e i commenti furono più o meno del tipo: “perché mai preoccuparsi della pioggia se siamo militari?” Mai il presidente Ciampi adottò l’ombrello in presenza di militari.

Oggi, col mutare del paradigma, ciò sarebbe possibile. Ma dal punto di vista della cultura organizzativa militare che cosa è cambiato? La domanda è pertinente anche perché, fino al momento della sua adozione, l’ombrello è stato vietato e chissà che qualche impavido indisciplinato non sia stato anche di recente oggetto di sanzione disciplinare per averlo utilizzato, nonostante il regolamento allora vigente.

Gli assunti taciti e condivisi della cultura militare sono qualità ben radicate nella condizione militare che, pur essendo ampiamente avvertiti da tutti coloro che ne sono latori, non trovano determinazione nei regolamenti e nelle norme scritte. Chi volesse comprendere a fondo di che cosa si tratti potrebbe leggere i racconti di Tolstoj che narrano della guerra di Crimea, della difesa di Sebastopoli. In quei racconti i militari parlano di sé facendo emergere vizi e virtù, per esempio il coraggio in battaglia, oppure che un ufficiale deve in ogni circostanza mostrarsi alla truppa impavido, superiore al pericolo di perdere la vita. La maggior parte di quegli assunti è ancora presente nella cultura organizzativa militare di oggi.

Per rendere esplicito il concetto di artefatto della cultura organizzativa militare, altrove, ho richiamato il fenomeno della musica militare. Una marcia militare, eseguita dalla banda, è un artefatto. Essa esprime lo spirito militare. La partitura, tramite la notazione musicale, è invece un documento scritto, quindi appartiene alla categoria dei valori.

Tornando all’ombrello per i militari, l’assunto tacito e condiviso che potrebbe contrastare con la sua adozione è che un soldato non dovrebbe preoccuparsi di bagnarsi perché abituato ad affrontare le intemperie e i disagi. Indossa indumenti protettivi, ovviamente, anche impermeabili, ma si riserva di tenere le mani libere per agire come si conviene all’occorrenza. Questa mentalità sarebbe ben radicata a seconda dell’esperienza di vita che il soldato fa, sia in addestramento che nel corso delle operazioni. Tale fatto è incontrovertibile e, infatti, la norma appena diramata specifica molto bene che l’ombrello può essere adottato solo in un contesto para-civile, non con l’uniforme di servizio e combattimento, per intendersi, ovvero, quando si lavora in città, presso i comandi territoriali e per andare da casa al lavoro e viceversa; un tempo si sarebbe detto: a diporto. Contesto para-civile che starebbe a mostrare una condizione molto peculiare del lavoro cui un soldato può essere chiamato a svolgere. Situazione che rende praticabile questo accessorio-artefatto.

La sintesi è che l’adozione dell’ombrello, di per sé, non cambierà l’essenza della condizione militare. Certamente, importante rimane che la cultura organizzativa militare permanga con le sue peculiarità e non venga contaminata da forme d'imborghesimento di maggiore sostanza, tali da generare sub-culture devianti dal paradigma portante. Perché essa è una cultura molto ricca di valori: dalla Costituzione con i suoi articoli che fanno riferimento alla guerra e alla difesa della patria, alle norme, regolamenti e declinazioni varie in termini di strategia, arte operativa, tattica e procedure tecniche; nonché di assunti taciti e condivisi, i quali devono circolare, pensati e detti anche se non scritti, tra coloro che ne sono i naturali assertori, i militari, animandone l’azione anche nelle situazioni peculiari della condizione militare, così difformi da quelle praticate nella vita civile. Infatti, con la Cultura organizzativa militare si chiama in causa lo “spirito militare” di clausewitziana definizione, quale condizione imprescindibile dell’efficienza operativa di un esercito.

1 Circolare oggetto “Uso dell’ombrello da parte dei militari dell’Esercito in uniforme.” Prot. SME M_D AE1C1B2 REG 2022 0275445 24-08-2022. (Ufficio del Sottocapo)

2 La definizione di Spirito militare si trova in Clausewitz, Della Guerra, libro III, capitolo IV “Forze morali preponderanti”

3 Stesso autore. Cultura Organizzativa Militare. Centro Studi Esercito (2021). Consultabile a: https://www.centrostudiesercito.it/cultura-organizzativa-militare.html

4 È qui chiamata in causa la teorizzazione di Edgar. H. Schein.

Foto: archivio storico della presidenza della Repubblica / autore