Non leggere con le lenti della geopolitica – oltreché con quelle “naturali” dell’economia – i progetti transazionali delle innovazioni e del procurement in ambito AD&S significa rischiare di non comprendere appieno la portata di questi progetti.
Il 31 ottobre a Roma si è tenuta una riunione tra i vertici della Difesa di Italia (Guido Crosetto), Regno Unito (Grant Shapps) e Giappone (Yoshiaki Wada) sul Global Combat Air Programme, il programma congiunto per la realizzazione di un caccia di sesta generazione. Il programma GCAP prevede non solo lo sviluppo dell’aereo propriamente detto e dei suoi sistemi d’arma, ma anche di sistemi unmanned, cioè droni, destinati ad operazioni di combattimento e supporto al combattimento, controllati dal pilota attraverso quella che è stata definita come “intelligenza di sciame”. In altre parole, il GCAP è un programma che punta a sviluppare un “sistema di sistemi” che possa non solo competere ma fornire un reale vantaggio agli utilizzatori nei moderni conflitti multidominio, dunque ben al di là di un “semplice aereo”.
Dall’ultimo Documento di programmazione pluriennale 2023-2025 del Ministero della Difesa italiano è, tra l’altro, emerso che il GCAP è il programma cui sono state destinate maggiori risorse e, dunque, quello su cui il “Sistema Paese” punta maggiormente per lo sviluppo delle sue Forze Armate nel prossimo futuro.
Il caccia Tempest, il nome dell’aereo in sviluppo nel GCAP, dovrebbe essere sviluppato entro il 2035. Del consorzio GCAP fanno parte colossi industriali come Leonardo (Italia), Avio Aero (Italia), BAE Systems (UK), Rolls-Royce (UK), Mitsubishi (Giappone) e MBDA (Fra-Uk-Ita).
La riunione di Roma è stata fondamentale perché è stato annunciato che entro la fine del 2023 a Tokyo verrà firmato il trattato per l’avvio dell’iter parlamentare di approvazione di GCAP. Si tratta di un passo in avanti notevole, che conferma sotto il profilo geopolitico la vicinanza dell’Italia al campo dell’anglosfera (particolarità che condivide con il Giappone), e che arriva subito dopo l’invito dell’ad di Leonardo, Roberto Cingolani, rivolto all’Italia a rivedere al rialzo la sua partecipazione a GCAP.
La linea non si discosta dalla tradizionale vicinanza strategica di Leonardo (già Finmeccanica) con la catena del valore e la frontiera tecnologica delle Potenze anglosassoni, ma è importante evidenziare quanto il governo italiano abbia deciso di puntare su GCAP anche a fronte di una revisione delle trasformazioni dei conflitti e dello scenario internazionale più in generale.
Sotto alcuni aspetti, la volontà di rafforzare la propria quota di partecipazione allo sviluppo del Tempest e del suo sistema di droni integrato è parte del nuovo corso “conservatore assertivo” della politica estera e di difesa dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, che ha in ministri come Crosetto, Tajani ed Urso punti di riferimento sotto questo aspetto.
Rivale del GCAP è il FCAS (Future Combat Air System) franco-ispano-tedesco, egemonizzato da Airbus Defence and Space (Germania) e Dessault Aviation (Francia), con il quale si è riproposta una sorta di antinomia tra sistemi industriali della difesa euro-atlantici ed euro-continentali. Rivalità che era emersa nel recente passato con il “braccio di ferro” tra Airbus e Leonardo, vinto da quest’ultima, per la fornitura di elicotteri multiruolo alla RAF britannica. È notizia degli ultimi giorni che il governo di Berlino voglia sganciarsi dal FCAS per entrare nel GCAP, cercando di sfruttare Londra per i suoi “buoni uffici”, garantendo non solo il suo non nocet politico, ma anche l’autorizzazione a cedere 48 caccia Eurofighter Typhoon all’Arabia Saudita. La vendita dei 48 Eurofighter britannici all’Arabia Saudita era, infatti, saltata già a marzo del 2018 proprio a causa dell’opposizione tedesca. Il contratto in questione vale ben undici miliardi di dollari.
Non si tratterebbe del primo segnale, anche se sarebbe il più importante, che i tedeschi danno ai sauditi. Già nel settembre 2022, infatti, dall’incontro tra il cancelliere tedesco Olaf Scholz ed il principe ereditario saudita Mohammad Bin Salman Bin Abdulaziz, era emersa la volontà da parte di Berlino di ampliare il carnet delle eccezioni sulle esportazioni legate al vigente embargo sulle armi nei confronti di Riad.
Tuttavia, va evidenziato che la questione, ancora una volta, risulta ingarbugliata e va ad insinuarsi nella vecchia rivalità tra sistemi industriali – leggi tra governi – dei vari Paesi coinvolti. La Royal Saudi Air Force dispone ad oggi, parlando solo di aerei destinati al combattimento, di 47 Eurofighter Typhoon EF-2000, di 57 F-15C Eagle, di 149 F-15SA Eagle e di 80 Tornado IDS. Uno degli obiettivi di Riad è ammodernare la propria flotta aerea, ma un Paese come l’Arabia Saudita è esposto alle temperie delle tensioni internazionali e, quindi, il suo procurement militare è condizionato da alcune questioni non indifferenti.
Sia i rapporti altalenanti con l’amministrazione Biden, sia la postura presa contro Israele per la guerra in corso nella Striscia di Gaza, spingono la corte di Riad a non fidarsi delle forniture statunitensi. È vero che Washington e Riad hanno un mutuo interesse a sostenersi per il contenimento dell’Iran, ma, di pari passo, non è pensabile che gli Stati Uniti possano non utilizzare quale strumento politico di ricatto – o di “modellamento” della postura diplomatica – verso l’Arabia Saudita l’interruzione delle forniture di armi e sistemi d’arma, ivi compresi i caccia multiruolo.
Da qui la scelta di puntare su partner ritenuti dai sauditi più “affidabili” o, comunque, più propensi a gestire le relazioni bilaterali come esclusive “questioni d’affari”. La Francia resta, quindi, un potenziale partner per l’Arabia Saudita. Pare, infatti, che Riad voglia acquistare i caccia multiruolo francesi Rafale, targati Dessault Aviation, in un numero che va da 100 a 200. Il Rafale è il concorrente diretto dell’Eurofighter Typhoon e questa dualità ripropone lo scontro, già menzionato, tra industrie della difesa europee e progetti a propensione atlantica e continentale.
Nonostante la pecca principale del Rafale nelle sue varie versioni sia legata allo sviluppo pensato esclusivamente per le esigenze operative delle Forze Armate francesi, ponendo un serio limite concettuale-dottrinario alle esportazioni, è chiaro che in assenza di alternative, il caccia transalpino sia quello più idoneo ad essere acquistato per Stati che abbiano intenzione di procurarsi aerei di quarta generazione.
È proprio passando attraverso le “maglie strette” che regolano la politica delle esportazioni di armi e sistemi sviluppati in consorzio multinazionale che la Francia può andarsi a ritagliare una propria fetta di mercato nel Golfo. Ecco perché nell’ottica della competizione industriale la necessità di rimodellare l’embargo sulle armi tedesco nei confronti dell’Arabia Saudita ha una sua ragione che travalica gli interessi economici e diventa chiaramente di natura politica.
Così, mentre a Londra qualcuno si è detto possibilista sull’ingresso anche dell’Arabia Saudita nel GCAP – che ha visto una levata di scudi in senso opposto a Roma e Tokyo – c’è anche chi a Berlino punta ad abbandonare FCAS, anche se l’Ufficio federale per l’equipaggiamento, l’informatica e il supporto in servizio della Bundeswehr (BAAINBw) ha comunicato lo scorso 28 ottobre di aver stipulato un contratto di studio nazionale per commissionare l’ulteriore sviluppo delle tecnologie nell’ambito del progetto “Next Generation Weapon System” (NGWS), fulcro del programma FCAS.
Sembra strano, dunque, che la Germania voglia uscire all’improvviso da un programma per il quale ha investito e continua ad investire cifre imponenti, tali da far pensare ad una più che convinta adesione al progetto industriale e strategico-militare in questione.
Foto: Leonardo / ministero della difesa / U.S. Air Force / Airbus