Trumpismo e industria europea della difesa

(di Filippo Del Monte)
29/11/24

Dal prossimo gennaio, Donald Trump si insedierà nuovamente alla Casa Bianca. Questo evento ha aperto un ampio dibattito in Europa su quali potrebbero essere le linee strategiche della politica estera trumpiana, legata ai programmi dei circoli "limitazionisti", e come le potenze del vecchio continente possano rafforzare la propria difesa, superando lo "scoglio" di considerarsi garantite esclusivamente dall'ombrello americano. Dibattito che si insinua tra le pieghe della competizione sistemica al livello industriale tra Stati Uniti ed Europa; questione all’ordine del giorno che, pur non inficiando il meccanismo di alleanza, che resta particolarmente solido, deve essere affrontato per considerare il rapporto tra le due sponde dell’Atlantico paritetico.

Uno degli elementi dei quali si discute maggiormente è quello di rafforzare la base industriale della difesa europea, attraverso programmi cooperativi di sviluppo e produzione di armi e sistemi continentali, che possano essere impiegati collaborativamente con quelli statunitensi, ma che dagli USA non dipendano sotto il profilo delle licenze e della componentistica. Una strategia "autonomista" per la difesa europea può essere costruita, però, solo sul lungo periodo, nel momento in cui non saranno le contingenze del momento, come la guerra d'Ucraina, a dettare la linea di politica militare e di politica industriale da seguire.

Al momento, infatti, occorre evidenziare come, al netto di eccellenti sistemi prodotti in Europa, una reale autonomia strategica non esista e che le forze armate dei Paesi europei sono dipendenti dagli armamenti acquistati dagli Stati Uniti o prodotti su licenza. Questo è dovuto al fatto che gli alleati europei dell'America hanno un problema di economia politica nei loro sforzi di produzione di armi, legato al potere di mercato degli Stati Uniti, frutto di una storica spesa superiore all'Europa e con un ampio margine di crescita, ma anche al fatto che, specie i Paesi “piccoli” dell’Unione, che hanno industrie della difesa emergenti, vedono nelle produzioni su licenza un porto sicuro dal quale non distaccarsi.

Non da ultimo, va evidenziata la necessità per l’Unione Europea di dotarsi quanto prima di strumenti sovranazionali (non solo gli “eurobond per la difesa” di cui si discute spesso) per il finanziamento dei progetti sia di ricerca e sviluppo che di produzione di sistemi d’arma ideati da organizzazioni internazionali statali-industriali sul modello di quella appena nata per il GCAP.

Già nel suo primo mandato, Trump aveva emanato la quinta versione della politica di trasferimento di armi convenzionali (CAT), con l'obiettivo di favorire le esportazioni di armamenti statunitensi all'estero, sia tra gli alleati europei, sia nel quadrante indo-pacifico. Secondo la CAT, la vendita di armi doveva essere considerata come uno strumento di politica estera volto ad aprire canali preferenziali per quei Paesi che avessero avuto la necessità di essere inclusi nel dispositivo di sicurezza di Washington. Sul tema le scelte dell'amministrazione Biden non si sono discostate di molto dalla linea trumpiana.

Tra l'altro, non deve stupire il fatto che la CAT di Trump rientri appieno nel concetto strategico di "America First", pur non essendo inquadrabile secondo i canoni protezionisti della politica economica MAGA. Anzi, la politica trumpiana sugli armamenti è modellata per migliorare la "meccanica" del sistema di esportazione.

Tuttavia, il paradosso dei "limitazionisti", che mirano a promuovere la condivisione degli oneri economici e militari della NATO tra gli alleati degli Stati Uniti, è che ciò comporta anche l'accettazione di una competizione transatlantica più equilibrata nel settore della difesa e dell'industria.

Foto: U.S. Army