10/06/2014 - La prima domanda che gli analisti ed i militari americani si pongono ogni volta che scoppia una crisi è: “dov'è la nostra portaerei più vicina?”
Le portaerei sono la massima espressione della potenza degli Stati Uniti nel globo. Sono anche però molto costose e potenzialmente vulnerabili. Ma in un'epoca contraddistinta da vincoli di bilancio e ristrettezze economiche, quante portaerei in servizio servirebbero agli Stati Uniti?
Secondo il capo delle operazioni navali della Marina USA, l’ammiraglio Jonathan Greenert, ne servirebbero undici. Dichiarazioni che stanno facendo discutere e che hanno scatenato feroci dibattiti negli States.
Se scendessimo a dieci portaerei – ha detto Greenert commentando le spese della Difesa – dovremmo modificare il nostro modo di “fare presenza” e sarebbe ridimensionata la nostra capacità di intervento rapido. Avere dieci vettori – ha aggiunto il comandante delle operazioni navali – comporterebbe alcune lacune sulla copertura del pianeta. La filosofia della Marina USA, in tempo di pace, prevede la permanenza di tre vettori in altrettante regioni strategicamente vitali come il Pacifico occidentale ed il Medio Oriente. Quando non richiesto da una situazione di crisi, gli Stati Uniti hanno in mare soltanto una piccola parte della flotta. Basti pensare che ad oggi, secondo i dati ufficiali della US NAVY, in mare ci sono 101 navi, pari al 35% della flotta. Le altre navi sono in manutenzione o in addestramento.
La stima si basa sulla seguente analisi. Con undici portaerei attive, la Marina USA è in grado di garantire una media di 3.5 vettori in mare. Bisogna considerare, infatti, che l’avvicendamento tra due portaerei comporta la necessità di disporre di un altro vettore in mare, motivo per cui ci sarebbe una quarta unità in navigazione (e non in pattugliamento). Con dieci portaerei, la media scenderebbe a 3.0, mentre con nove il dispiegamento scende a 2.5 unità. Otto portaerei significherebbe avere in mare una forza di due portaerei con evidenti problemi nel mantenerle attive. Da non dimenticare che il “Refueling Complex Overhaul“ che prevede lavori di ammodernamento e rifornimento periodico per ogni portaerei, può durare anche tre anni, mentre il “mid-life nuclear refueling” ne richiede fino a quattro.
In questo momento, la Marina ha dieci unità perché la “USS Enterprise” (ritirata dopo 50 anni di servizio, ma la Marina “avrà sempre una Enterprise” con entrata prevista nel 2020) è stata ritirata alla fine del 2012. La sua sostituta, la “USS Gerald R. Ford”, non sarà pronta prima del 2016. Gli Stati Uniti quindi, non avranno un vettore con sede in Asia fino alla fine del 2015 dopo che la “George Washington” lascerà il Giappone per la pianificata revisione. La “USS Ronald Reagan” dovrebbe trasferirsi in Giappone, ma non c’è ancora alcuna data certa.
Ma quanto costa avere una portaerei in missione? Una portaerei con gruppo da battaglia al seguito (cacciatorpediniere, incrociatori e sottomarini d’attacco a propulsione nucleare) costa ai contribuenti americani centinaia di milioni di dollari l’anno, mentre la prima nave della nuovissima classe “USS Gerald R. Ford”, ha raggiunto la ragguardevole cifra di 13 miliardi di dollari, quasi il triplo di una “Nimitz”.
Se il bilancio della Difesa USA dovesse proseguire in tal senso, cioè nel ridimensionare ogni spesa compresa quella per la Marina, altre tre portaerei potrebbero essere dismesse entro i prossimi dieci anni.
Gli Stati Uniti sono l’unico paese al mondo con dieci (USS Gerald R. Ford esclusa perché in costruzione) portaerei, mentre la Russia, tanto per fare un esempio, ne ha una soltanto.
La Cina, invece, deve ancora costruire la sua prima portaerei con entrata in servizio prevista entro il 2030. Una proporzione di 10 a 1 che però non deve trarre in inganno: le portaerei USA, infatti, rappresentano una piattaforma d’attacco, ma forniscono sostegno alle truppe statunitensi sul campo di battaglia. La mobilità è la loro principale forza.
Agendo da acque internazionali, gli USA non hanno bisogno da alcuna autorizzazione per proiettare la propria potenza. Non avrebbe senso anche prospettare missioni più lunghe (ad oggi una missione standard dura sei mesi), considerando che in questo modo si logorerebbero uomini, attrezzature (ponti di volo in primis), caccia imbarcati e diminuirebbe l’efficienza energetica del reattore nucleare progettato per alimentare la nave per 50 anni (anche se c’è un intervento sui noccioli del reattore dopo 25).
Ma il “problema” delle portaerei USA non è strettamente legato al budget. Se è vero, infatti, che da un lato i vettori hanno lo scopo di proiettare la potenza americana nel globo, dall’altro devono tenere conto dei tempi e delle minacce nemiche. Il nemico numero uno delle portaerei USA si chiama DF-21D, un missile balistico anti-nave multitestata MARV ritenuto, secondo i servizi segreti americani, in grado di affondare una portaerei. Già nel 2009, commentando il sistema, la CIA disse che “se funzionasse sarebbe assolutamente in grado di perforare ogni difesa esistente”. La versione missilistica D del “Dong Feng”, vola verso il bersaglio a mach 10.
Secondo gli analisti russi, l’unico modo per eludere un attacco portato da un missile da mach 10 di cui si sconoscere l’esatto punto di lancio, sarebbe attraverso l’utilizzo delle contromisure elettroniche.
I missili "carrier killer" manderanno in pensione le portaerei USA?
Intanto bisognerebbe capire se i missili di questa particolare tipologia funzionano. Il DF-21D esiste, ma sulle sue capacità reali non abbiamo alcuna conferma. Non siamo di certo davanti alla classica retorica iraniana, con strumenti di cartone venduti per vettori ultra tecnologici: la Cina rappresenta il futuro nemico per gli USA, ma ci si chiede se abbia il know how necessario per armi del genere, considerando che non ci sono prove del suo impiego su un vettore in movimento. Con i soldi necessari per costruire una portaerei, però, i cinesi potrebbero acquistare non meno di 1200 missili DF-21D.
E’ la fine dell’era delle portaerei?
Assolutamente no, perché questa è soltanto l’ultima arma in via di sviluppo nata per contrastarle. La verità sta nel mezzo. Le portaerei sono costose, ma rappresentano un’essenziale piattaforma nello scacchiare geopolitico della proiezione globale americana. Secondo alcuni esponenti del Congresso americano, la Marina ne dovrebbe possedere addirittura quindici portaerei, ma verosimilmente il numero resterà fermo a undici vettori da battaglia con quattro/cinque di loro sempre pronti al combattimento, al di là di quanto siano o meno necessari nell’attuale contesto mondiale.
Il ruolo di “carrier killer”
Gli incrociatori missilistici da battaglia a propulsione nucleare classe ‘Kirov’ sono probabilmente le più belle navi dell’era sovietica. Ne sono state costruite quattro (soltanto una è attiva, due saranno rimesse in servizio entro il 2020 mentre la quarta è stata demolita) e rappresentano la massima espressione sovietica delle navi da battaglia di prima linea. Il loro armamento è cosi pesante che non esiste un loro equivalente occidentale. Sarebbe corretto affermare che la classe ‘Kirov’ per concezione e potenza è una via di mezzo tra le classi ‘Ticonderoga’ e le ‘Iowa’ americane. Il pesantissimo armamento delle ‘Kirov’ comprende, come dotazione principale, venti missili “SS-N-19 Shipwreck”. Parliamo di un missile antinave corazzato, dal peso di sette tonnellate, lungo dieci metri e con un raggio d’azione di 700 km. Se lanciati a sciame, i missili in grado di interagire tra di loro stabilendo la priorità. Lo “Shipwreck” equipaggia le ‘Kirov’, la “Admiral Kuznecov” ed i sottomarini nucleari d’attacco classe ‘Oscar II’, pensati specificatamente per il ruolo di ‘Carrier Killer’.
Franco Iacch
(nella foto d'apertura - fonte Huntington Ingalls Industries - la USS Gerald R. Ford in trasferimento per i lavori di completamento, a segire grafica della versione completa, un DF-21 ed una classe Kirov)