21/05/2015 - Le forze di sicurezza irachene sono completamente allo sbando dopo aver perso la più grande provincia dell’Iraq e prima ancora di pensare ad un contrattacco, bisogna riorganizzare l’esercito.

Questa è probabilmente la valutazione più sobria, a cura del Dipartimento di Stato, mai effettuata in netto contrasto con le recenti ed esaltanti dichiarazioni della Casa Bianca (smentite poche ore dopo con la sconfitta di Ramadi) che avevano descritto lo Stato islamico sulla difensiva.

Il problema è che gli Stati Uniti stanno ancora cercando di ricostruire esattamente cosa è avvenuto nella provincia di Anbar, durante l'offensiva dello Stato Islamico. L’obiettivo degli americani è ora quello di riorganizzare le unità dell'esercito iracheno in rotta e che sono state massacrate a Ramadi (anche per atteggiamenti alquanto discutibili di alcuni reparti che si sono dati alla fuga, lasciando al massacro i soldati che su di loro facevano proprio affidamento).

Lo Stato islamico non è più considerato sulla difensiva, così come affermato dall’amministrazione Obama, ma è ritenuto un nemico che richiederà “anni di sforzi” per essere sconfitto. Anni.

L’analisi del Dipartimento di Stato, conferma quello che gli addetti ai lavori hanno sempre saputo. Quello dell’Isis è un asset diverso da qualsiasi altra cosa affrontata dall’Occidente. Lo Stato islamico è un nemico unico nel suo genere con circa 22 mila combattenti provenienti da 100 paesi.

Per fare un esempio: soltanto gli stranieri che si sono votati alla causa del califfato, sono il doppio delle forze affrontate in Afghanistan dagli americani. E sono ben più addestrati.

Lo Stato islamico è superiore in ogni aspetto anche rispetto al suo precursore in Iraq, Al-Qaida. La campagna di Ramadi ha dimostrato la strategia adottata e le tecniche asimmetriche devastanti utilizzate contro un esercito regolare soltanto ben armato, ma scarsamente addestrato e non motivato.

Sappiamo che durante la battaglia di Ramadi, lo Stato islamico ha coordinato trenta attacchi suicidi. La potenza esplosiva di dieci dei trenta attacchi eseguiti era simile alla bomba che ha devastato, venti anni fa, l'edificio federale di Oklahoma City.

Non c’è da scherzare con l’Isis – dicono adesso dal Dipartimento di Stato – non pensavamo potessero operare con tale sinergia ed efficacia.

E dire che fino a quarantotto ore dopo la disfatta di Ramadi, la Casa Bianca, il Pentagono e lo stesso Dipartimento di Stato parlavano della sconfitta come “una battuta d'arresto”, ribadendo l’efficacia della strategia adottata dagli Stati Uniti contro lo Stato islamico.

Gli americani e le truppe lealiste si trovano davanti un nemico che, invece, continua a conquistare terreno. Impossibile, ad oggi, pensare alla riconquista di Mosul, seconda città dell’Iraq catturata lo scorso giugno. Prima di Mosul bisogna riprendere la provincia di Anbar. Tradotto significa riprendere da Baghdad a Ramadi fino a raggiungere Haditha.

Emergono, intanto, alcuni dettagli del massacro di Ramadi. I terroristi hanno prima utilizzato un bulldozer corazzato per abbattere le enormi barriere di sicurezza in calcestruzzo che proteggevano il centro di governo della città. Creata la breccia, i fondamentalisti hanno inviato un piccolo convoglio corazzato formato da un dumper e da un Humvee: entrambi i veicoli erano carichi di esplosivo. La deflagrazione è stata devastante. Pochi secondi dopo è iniziata l’offensiva nei principali quartieri della città.

Le truppe irachene non hanno mai realmente combattuto, mentre i rinforzi inviati domenica sera si sono dati alla fuga, lasciando al massacro i propri compagni ad il proprio equipaggiamento.

“La situazione rimane estremamente grave, ma non è come quando perdemmo Mosul. Stiamo riequipaggiando l’esercito iracheno ed il prossimo mese invieremo altri mille sistemi anticarro. Una volta che l’esercito regolare si sarà ripreso, pianificheremo una serie di attacchi per riconquistare il terreno perduto”.

Le forze governative sono state rinforzate da un contingente sciita. Questo significa che i prossimi attacchi vedranno soldati sciiti attaccare zone a prevalenza sunnita. Nel mezzo gli Stati Uniti ed i loro raid che dovranno fornire copertura alle milizie che rispondono al governo iraniano.

C’è poi il problema delle tribù sunnite che sarebbero disposte a combattere lo Stato Islamico, ma che non hanno ancora ricevuto l’equipaggiamento richiesto (ovviamente di produzione americana).

Il primo ministro Haider al-Abadi, starebbe creando una forza nazionale, richiamando i 24.000 agenti di polizia di Anbar che hanno perso il proprio lavoro con la caduta del regime.

Il Dipartimento di Stato ha anche aggiunto che le forze speciali statunitensi stanno lavorando a stretto contatto con le tre tribù sunnite in una base avanzata a Haditha, nell'estremo ovest di Anbar, per coordinare direttamente le loro operazioni. Nessun programma, però, per liberare l’Anbar orientale.

E' come il selvaggio West – concludono dal Dipartimento di Stato - sarà davvero dura.

Franco Iacch

(foto: archivio US DoD)