28/05/2015 - “Per ricevere l’autorizzazione ad attaccare un obiettivo Isis, sono necessari anche 60 minuti”. Feroci polemiche, sorte poche ore fa dopo le esternazioni di alcuni piloti americani, hanno messo nuovamente nell’occhio del ciclone il Pentagono e la Casa Bianca sull’efficacia dei raid effettuati contro l’Isis.
E’ emersa una certa frustrazione nei piloti americani, ripresa da FoxNews, nel modo in cui si sta svolgendo la campagna aerea contro lo Stato islamico. La catena di comando è stata giudicata troppo tortuosa ed alcuni piloti si sono ritrovati nel mirino dei terroristi che non hanno potuto attaccare perché in attesa di ricevere autorizzazione dal Comando alleato.
Dice un pilota di F-18: “li ho visti compiere atrocità, ma non ho potuto fare nulla nonostante li avessi già inquadrati. Non ero autorizzato ed è stato frustrante restare impotenti. Una volta giunta l’autorizzazione ero senza carburante e sono dovuto rientrare”.
Secondo alcune stime non ufficiali, l’autorizzazione per colpire un nemico Isis già inquadrato è concessa in 45/55 minuti.
L’Air Force ha respinto categoricamente le accuse. Sono sciocchezze – si difendono dal Comando Centrale dell’Air Force – a seconda della complessità dell’ambiente di riferimento, l’autorizzazione può essere accordata anche in meno di dieci minuti, ma la valutazione potrebbe comportare anche molto di più.
Questa è una battaglia a lungo termine – fanno eco dal Pentagono – non possiamo rischiare di colpire indiscriminatamente anche i civili.
Rassicurazioni che, però, non trovano conferme tra i militari in prima linea secondo cui il processo decisionale per uno strike aereo è lento, dispendioso e consente al nemico di fuggire. Sorvolare anche per un’ora un obiettivo tattico, determina una serie di variabili che potrebbero far venire meno la capacità di strike, considerando anche il carburante a disposizione di un caccia.
Le procedure – secondo David Deptula, ex comandante del Combined Air Operations Center in Afghanistan – non tengono conto del nuovo contesto operativo, sono fin troppo tortuose ed alla fine tale asset non fa altro che fornire un vantaggio al nostro nemico.
Analizziamo gli strike americani nelle ultime campagne aeree. Durante la prima guerra del Golfo, gli Stati Uniti effettuavano in media 1.125 attacchi aerei al giorno. In Kosovo, erano circa 135 al giorno. Nel 2003, nella campagna chiamata "colpisci e terrorizza", avvenuta sempre in Iraq, i raid USA erano in media 800 al giorno. Contro l’Isis, gli attacchi aerei (per l’80% condotti dagli USA) si attestano ad una media di 14 al giorno.
Emerge anche un altro dato: il 75% dei piloti che si alzano in volo in Iraq per effettuare un raid contro l’Isis, ritornano alla base senza aver sganciato un solo ordigno.
Il Pentagono respinge le accuse, anche se le guerre del Golfo ed in Kosovo non sono paragoni ragionevoli, considerando che i terroristi dell’Isis si mischiano con la popolazione civile.
Ci sarebbe poi un’incapacità di fondo negli attacchi aerei alleati legata all’esiguo utilizzo dei reparti speciali USA nel territorio nemico. Gli USA sono ciechi sul terreno. Hanno scarse capacità di identificare bersagli terrestri, compito negli altri teatri demandato proprio ai Tier-1 americani.
Franco Iacch
(foto: US DoD)