08/07/2015 - Nessun aereo americano avrebbe più combattuto in un dogfight. Il Pentagono aveva tranquillizzato i propri piloti, riscritto la dottrina e rielaborato l’intera tattica aria-aria. Peccato che il 20 maggio del 1967, otto F-4C dell’US Air Force, di pattuglia nel Vietnam del Nord, si scontrarono con quindici MiG-17…in duelli a breve distanza.
Gli stessi che il Pentagono aveva definito come superati dalla tecnologia. “Cannoni? Roba superata, meglio i missili”
I Phantom lanciarono 24 missili (Sparrow e Sidewinder) abbattendo soltanto quattro MiG. I caccia del Vietnam del Nord, eseguendo brusche virate evitarono i missili, mettendosi in coda ai caccia americani.
Da cacciatori, i pesanti e grossi Phantom si trasformarono in prede. I ben più piccoli e agili MiG iniziarono a bersagliare i caccia americani con le armi definite superate dal Pentagono: i cannoni.
I MiG si rivelarono agilissimi e mostruosamente superiori nel dogfight rispetto ai caccia americani. Eppure il Pentagono, fino ad allora, aveva sempre sostenuto che un F-4 non sarebbe mai entrato in un dogfight, perché equipaggiato con missili in grado di eliminare il nemico a lunga distanza. Quella teoria, costò la vita a decine di piloti americani.
A 50 anni di distanza – scrive David Axe su War Is Boring – l’Air Force sta ripetendo lo stesso errore sull’F-35.
Axe è stato il primo a diramare le perplessità del pilota dell’F-35 dopo il test effettuato contro un F-16 (noi fummo i primi in Italia a riportare l’episodio con le dovute proporzioni e cautele). Il rapporto è ormai di dominio pubblico anche se una certa stampa ha colto l’occasione per screditare l’intero progetto JSF basandosi sul concetto calcistico della vittoria e della sconfitta.
Non sono di certo questi i parametri che si utilizzano per valutare un caccia, ma è anche vero che, così come abbiamo sostenuto fin dall’inizio, c’è un problema di fondo per l’F-35: l’averlo considerato un caccia puro.
In realtà che fosse un bombardiere tattico, lo sapevamo, ma avevamo anche espresso perplessità sulla sua scarsa capacità nel dogfight dell’JSF. Per farla breve: l’F-35 senza un caccia puro di scorta, potrebbe essere facilmente abbattuto anche da un velivolo di quarta generazione (forse anche di 3,5). Questo concetto, striminzito volutamente, potrà fare storcere il naso ai puristi concettuali, ma a conti fatti, l’F-35 (piattaforma in divenire, lo ricordiamo) è questo.
Il caccia della Lockheed non è stato progettato per imporre il dominio aereo (compito che spetterà all’F-22 ed all’EFA), ma per eliminare la minaccia antiaerea (IADS).
L’F-35 è parte di un sistema composto da numerosi velivoli: tra questi anche i caccia che dovranno difenderlo. In realtà questi concetti non sono nuovi, ma considerando l’alto numero di analisti miliari presenti in Italia, alla stregua degli allenatori di calcio, sarebbe opportuno ricordare alcuni punti. L’F-35 non sarebbe mai potuto essere un caccia puro. In primo luogo perché non possiede la quota né la velocità dell’F-22, ma può eliminare i nemici a terra sfruttando la sua bassa osservabilità e l’avionica (anch’essa in divenire, ma ne abbiamo scritto abbastanza sull’implementazione software).
Dal Pentagono, in uno studio recente, hanno confermato che per imporre la supremazia aerea in un determinato contesto con X avversari, ci vorrebbero otto F-35. Per eliminare gli stessi nemici, basterebbero due F-22. Sono dati che devono fare riflettere sulle reali capacità della cellula dell’F-35 e su quella sua sezione radar, inferiore rispetto all’F-22. Avere una bassa segnatura radar, non significa essere superiori ad un caccia più pesante e più “visibile”.
L’F-35 dovrebbe conferire innegabili vantaggi in un determinato contesto operativo grazie alla sua bassa osservabilità, capacità dei sensori di bordo ed integrazioni delle informazioni con altre piattaforme. Fattori che conferiscono all'F-35 un enorme vantaggio rispetto ai velivoli che andrà a sostituire.
Cerchiamo di essere ancora più chiari, conferendo ai nostri lettori gli strumenti giusti per capire la vicenda F-35. I velivoli di quinta generazione, come l’F-22 e l’F-35 non sono caccia puri, non sono dei veri fighter. Sono velivoli ottimizzati per diversi regimi di minacce ed in grado di compiere svariate missioni. Proprio il velivolo specifico non esiste più. Esiste, invece, la piattaforma aerea multiruolo che può svolgere una miriade di missioni egregiamente, probabilmente non eccellendo in nessun ruolo.
L’F-35 non è stato progettato per il dogfighting ne per duellare nell’uno contro uno. E’ stato pensato per eliminare il nemico a distanza. Qualora dovesse fallire, l’F-35 senza caccia di scorta puri, potrebbe non tornare alla base. Ed è un dato di fatto.
Ritorniamo all’analisi su War Is Boring. La fiducia del Pentagono e della Lockheed nella capacità di abbattere il nemico oltre il raggio visivo, escludendo la possibilità (ormai congenita perché progettuale) di intraprendere un combattimento ravvicinato, potrebbe essere letale.
Possibile che negli Stati Uniti si siano dimenticate le lezioni (ed i morti) del Vietnam?
L’Air Force, è bene ricordarlo, mezzo secolo fa era cosi entusiasta dei missili che modificò la propria dottrina, eliminando i cannoni dagli F-4. 50 anni fa: per il Pentagono ogni guerra si sarebbe combattuta a distanza. Gli scontri ravvicinati sarebbero stati relegati ai libri. Gli americani, quindi, iniziarono a produrre velivoli progettati per essere potenti (e non agili). Pensati, cioè, per la penetrazione ad alta velocità (pensiamo magari ad un attacco nucleare) in territorio nemico o vere e proprie piattaforme missilistiche (come l’F-14) di proiezione. Dottrina che poteva anche essere corretta se gli USA avessero affrontato i sovietici per una guerra che si sarebbe rapportata con questi parametri.
Il Vietnam del Nord, però, non era l’Unione Sovietica. Le nuove tattiche del Pentagono si dimostrarono insufficienti contro i MiG di Hanoi Sarebbe corretto snocciolare anche qualche dato.
Tra il 1965 ed il 1968, i caccia americani lanciarono 321 missili a guida radar sul Vietnam. Soltanto l’8% colpì il bersaglio. E’ quanto emerge da uno studio del 2005 effettuato dall’Air Force.
Un rapporto del 1968, a seguito delle numerose perdite in battaglia, puntava il dito contro la progettazione dei missili, pensati per abbattere i bombardieri e non i piccoli ed agili caccia.
Il risultato portò all’aggiornamento dell’intero inventario Sparrow e Sidewinder, mentre tutti i Phantom ricevettero un cannone. Il combattimento ravvicinato non si dimostrò superato, anzi era in linea con una guerra che ribalta le teorie. Il Vietnam fece emergere anche la necessità di un caccia puro con un migliore rapporto spinta-peso, basso carico alare, superiore accelerazione e manovrabilità.
Il tutto accoppiato ad avionica avanzata ed armamento misto formato da missili e cannoni. Nacque l’F-15, caccia che, a distanza di 43 anni dal suo debutto, avvenuto nel 1972, è il velivolo da superiorità aerea degli Stati Uniti (i 167 F-22 Raptor sono troppo pochi).
Con il senno di poi, i progettisti dell’F-15 e dell’F-16 ebbero ragione. Ottimizzarono i caccia per guerre reali e contro un nemico incerto a differenza dell’F-35 pensato per contesti del futuro che ancora non esistono. Teorie che i russi sposarono in pieno. Basti pensare che i Su-35 di oggi, evoluzione dei favolosi Su-27, sono molto più potenti, veloci ed agili di un F-15 e probabilmente, hanno armi migliori.
E l’F-35? Un domani, i progettisti dello JSF potrebbero avere ragione. Forse i suoi missili colpiranno ogni bersaglio a distanza e magari i russi non venderanno a tutti i nemici degli Stati Uniti i Su-35. Forse non si svolgerà mai più una guerra globale contro un nemico tecnologicamente alla pari.
Ma cosa succederebbe se le proiezioni ottimistiche del governo americano risultassero sbagliate?
E se, almeno una volta nella loro vita operativa, gli F-35 dovessero affrontare dei Sukhoi o dei MiG?
Gli equipaggi degli F-4 – conclude Axe – riposero massima fiducia nella strategia del governa e nella superiorità delle armi a lungo raggio. Molti di loro non tornarono più a casa.
Franco Iacch
(foto: web)