16/07/2014 - Negli ultimi anni le nostre forze armate si sono trovate sempre più spesso ad operare in scenari internazionali improntati alle c.d. Peace Support Operations (PSO): ossia in operazioni, propedeutiche alla pace, finalizzate alla prevenzione, gestione e soluzione (conflict prevention, peace-making, peace-keeping, peace-enforcement, peace-building) di situazioni di crisi (fuori dal territorio nazionale ed ispirate a principi di solidarietà, imparzialità e rispetto della persona.
Situazioni in cui, ben inteso, è previsto certamente l’uso della forza armata, ma solo in caso di necessità ed al fine di conseguire gli obiettivi di assistenza, stabilizzazione e ricostruzione previsti dal mandato internazionale.
Non trattandosi, dunque, di conflitti armati, è lecito chiedersi se, durante il loro svolgimento, sia comunque applicabile il DIU (Diritto Internazionale Umanitario) che, per antonomasia è “ius in bello” (ossia, appunto, diritto nel conflitto armato internazionale), e non “ius ad bellum” o, ancora, ius valevole in conflitti armati non-internazionali (seppur con delle limitazioni: ad esempio, in materia di riconoscimento dello status di prigioniero di guerra).
E ciò perché, i contingenti militari impegnati in queste operazioni potrebbero comunque trovarsi nella necessità di usare (o minacciare) la forza o, cosa più probabile, subirla, anche in considerazione della asimmetria che contraddistingue le forze schierate in campo e, a volte conseguente, il mancato rispetto reciproco delle norme internazionali (ivi compreso il DIU: si pensi ad un esercito regolare attaccato da un gruppo di terroristi o di ribelli).
Altre volte ancora, come ben rappresentato dal concetto del “Three Block War” (illustrato dal Generale USA Charles Chandler Krulak alla fine degli anni novanta), i militari impiegati fuori area possono trovarsi a condurre, nello stesso tempo, nella stessa città, ma in tre rioni contigui, l’intero spettro delle operazioni militari, dall’assistenza umanitaria, al peace-keeping e al peace-enforcement (to help, to protect and to fight).
Di conseguenza, può sorgere il dubbio se sia, ed in che termini, applicabile il DIU, in siffatti contesti: in tale ottica, sembrerebbe risolutiva la pubblicazione, da parte delle Nazioni Unite, del Bollettino del Segretario Generale, in data 6 agosto 1999 (avente ad oggetto “L’osservanza da parte delle Forze sotto l’egida delle Nazioni Unite del DIU”), che, indica i principi fondamentali e le regole del diritto internazionale umanitario applicabili alle Forze delle Nazioni Unite impegnate, con compiti di combattimento, anche in operazioni di mantenimento della pace, con particolare riguardo alla protezione delle parti deboli del conflitto ed ai mezzi e metodi di combattimento.
Particolare enfasi è posta nell’analisi delle conseguenze che dovessero derivare in capo ai componenti della forza multinazionale da una eventuale violazione del DIU stesso: violazioni che verrebbero rimesse al vaglio dei singoli tribunali di appartenenza che giudicheranno “in vece e per conto” delle stesse Nazioni Unite (di qui, l’altra importante questione-di cui si parlerà altrove- riguardante l’applicazione, da parte del nostro Stato, del Diritto Penale Militare di Pace –DPMP- o di Guerra-DPMP- ai contingenti operanti all’estero).
Anche in ambito nazionale si è estesa l’applicazione del DIU a tutti i contingenti che operano fuori area, in operazioni di pace, sia sotto egida nazionale che multinazionale: questo, infatti, è quanto stabilito nella premessa al Manuale di Diritto Umanitario (SMD-G-014) in cui si afferma l’applicazione dello ius in bello a “qualunque operazione di forze militari di pace, autonoma o sotto l'egida delle organizzazioni internazionali, che coinvolga contingenti o aliquote di Forze Armate italiane in operazioni militari vere e proprie”.
In sintesi, dunque, l’osservanza dello spirito e dei principi del diritto dei conflitti armati (altra definizione del DIU) andrà comunque salvaguardata anche nell’ambito delle operazioni di supporto alla pace, ben potendosi trovare, un contingente impegnato in tal senso, ad essere coinvolto nelle ostilità con il grado e l’intensità propri di un conflitto armato. In tale contesto, infatti, il Comandante dovrà valutare la situazione sul campo, a prescindere dal mandato istituzionale o dalla natura dell’operazione militare.
Ciò sebbene, in senso contrario, vi sia certa dottrina (seppur minoritaria) che ritiene che i contingenti impegnati in operazioni di pace non siano legati al rispetto del DIU, in quanto non giuridicamente qualificabili come “parti in conflitto”.
Ad ogni buon conto, indipendentemente dalla natura giuridica del conflitto, dovranno essere riconosciuti, in qualsiasi contesto operativo, gli standard umanitari minimi previsti dall’art. 3, comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 (che, specie nei casi dubbi, può sicuramente fungere da norma di riferimento generale) e dalle norme internazionali a tutela dei diritti umani.
Marco Valerio Verni
(nella foto del 1994, un convoglio dei caschi blu olandesi in marcia in Bosnia-Erzegovina)
[L'autore, avvocato del Foro di Roma, è esperto in diritto penale, diritto penale militare e diritto internazionale umanitario. Ufficiale in congedo (Ruolo Commissari) del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana è anche membro del Settore Rapporti Internazionali dell’Ordine degli Avvocati di Roma.]