29/05/2014 - Il concetto di guerra asimmetrica, che oramai da tempo si è fatta strada nel lessico comune, può essere spiegata così: se in uno scenario di guerra convenzionale, si scontrassero due forze numericamente alla pari, molto probabilmente vincerebbe quella con la migliore tecnologia a disposizione.
L’ago della bilancia, quindi, penderebbe per quella forza sul campo che ha un assetto strategico tattico migliore ed un supporto logistico di prim’ordine.
Facciamo un esempio. Se le forze talebane, avessero soldati di professione e se questi ultimi venissero schierati in campo aperto, non avrebbero scampo contro le forze americane. Gli Stati Uniti, essendo i dominatori dell’aria con elicotteri d’assalto, caccia, droni armati ed incontrastati padroni del terreno con carri armati Abrams e blindati leggeri, sbaraglierebbero le truppe talebane, senza problemi.
Fin qui il contesto ideale. Ma i conflitti, ormai, non si basano più sulla capacità di una singola fazione di schierare la migliore tecnologia a disposizione nella speranza che quest’ultima possa prevalere su quella avversaria, ma sulla nuova concezione di “guerra” tramutata in guerriglia. I talebani, infatti, non colpiscono gli americani in modo convenzionale, ma con ordigni improvvisati fatti in casa (che hanno portato alla riprogettazione dei veicoli da trasporto blindati, ormai in buona parte realizzati con lo scafo a V, per deflettere l’onda d’urto dell’esplosione) collocati nei posti più impensabili, con improvvisati kamikaze carichi di esplosivo, con veri e propri attentati elaborati da menti di prim’ordine per situazioni, fino ad oggi, mai previste o immaginate.
Di fatto, la fazione che adotta la guerriglia, non lascia obiettivi sensibili al nemico. Quest’ultimo, dotato di armi discriminanti e superiori, infatti, non riuscirebbe a concentrarle contro nessun target. In questo modo, il vantaggio tecnologico è annullato, trasformando la forza in debolezza.
Facciamo un altro esempio. Durante l’invasione russa dell’Afghanistan, i sovietici schierarono un imponente contingente per un totale di 130 mila uomini (nei dieci anni d’invasione si alternarono circa 600 mila uomini). I sovietici, misero sul campo la migliore tecnologia a disposizione con tre divisioni motorizzate, cinque brigate (tra cui una formata da Spetsnaz) e quattro reggimenti autonomi, oltre a sei mila tra carri armati e veicoli blindati d’appoggio.
I russi, poi, erano signori del cielo (il dominio del cielo è una prerogativa per la vittoria sul campo in uno scenario convenzionale) con caccia Mig-27, cacciabombardieri Su-25 oltre a bombardieri tattici come i Tu-16. Infine, le truppe d’assalto sovietiche, erano schierate sul campo dagli elicotteri da trasporto, il più famoso dei quali era ed è l’Hind (mil Mi-24), chiamato anche la “carretta del diavolo”. Un bestione che contrariamente al suo contemporaneo dell’epoca l’Ah-1 Cobra, leggero e maneggevole, rifletteva in piano l’idea russa di potenza di fuoco e blindatura pesante. Ma i mujaheddin scatenarono una guerriglia non convenzionale che trovò del tutto impreparati i russi. Combattere questi ultimi in campo aperto, infatti, si dimostrò essere un suicidio (così come avvenne durante le prima fasi della guerra). Affrontarli in terreni più congeniali, invece, significò cambiare le sorti della guerra.
Combattendo tra le montagne, con rapide azioni di guerriglia (lancio di missili Stinger americani per abbattere gli elicotteri o gli aerei da trasporto, mitragliamento e fuga) i russi iniziarono a subire pesanti perdite. Gli stessi Hind, prima ritenuti invincibili dai combattenti a cavallo, durante la fase di schieramento delle truppe sulle impervie montagne afghane, divennero facili bersagli. L’ennesimo esempio di quanto il divario tecnologico, sebbene fosse incolmabile tra le parti, non conti nulla in una guerra asimmetrica. Lo capirono i russi ed i loro spetsnaz, i migliori guerrieri dell’Urss: sebbene addestrati anch’essi ad una guerra non convenzionale, presero una dura lezione dai pastori che conoscevano a memoria le montagne del loro paese natio, colpendo e scappando, praticando la tecnica del “mordi e fuggi” e non lasciando di fatto obiettivi da colpire. Una lezione che gli americani appresero in Vietnam, al costo di migliaia e migliaia di morti. Ma la storia, è piena di questi esempi.
Celebre quello di Publio Quintilio Varo, generale romano e governatore della Germania, comandante delle legioni romane XVII, XVIII e XIX, circa 20 mila uomini compresi gli ausiliari. Fu annientato, nel settembre del nove d.C., nella foresta di Teutoburgo. I barbari, grazie alla loro ottima conoscenza dei sentieri ed equipaggiati in modo più leggero rispetto ai romani, annientarono le legioni in tre giorni, compiendo azioni di guerriglia. Se quegli stessi barbari comandati da Arminio (immagine a sx), avessero incontrato i romani in capo aperto e se si fossero scontrati contro le linee delle legioni, non avrebbero avuto scampo. Ma tra i boschi, quelle stesse corazze che in un contesto normale, avrebbero sancito la vittoria per i romani, in uno scenario non convenzionale, divennero dei pesanti pezzi di ferro che rallentarono i movimenti dei legionari.
La “guerra asimmetrica”, quindi, reinventa il concetto stesso di scontro armato. La storia insegna che il divario tecnologico e numerico, sebbene possa essere incolmabile tra le parti, non sempre sancisce la vittoria della compagine più forte. Anzi, proprio la consapevolezza di essere “più forti”, a volte, impedisce di ipotizzare controffensive efficaci o difese da possibili sortite, elaborate in un modo del tutto inaspettato, ma ugualmente letali.
Franco Iacch
(foto DoD Fed russa, Entjesbe)