19/08/2014 - La calura estiva, seppure non soffocante, ha aiutato a distogliere l’attenzione degli italiani sulla vicenda di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone abbandonati dall'Italia all'indebito giudizio di uno Stato terzo.

Una storia senza fine che ha del farsesco. Nulla di concreto viene avviato nonostante le “roboanti” dichiarazioni a livello istituzionale. Un presidente del consiglio che telefona con palese scarso successo al presidente indiano Modi, un ministro degli esteri impegnato a farsi conoscere in Europa per conquistare una poltrona altrimenti negata anche per motivi sostanziali sul piano diplomatico, come le sue espressioni di vicinanza a Putin ed ad Hamas. Una giovane Ministro che forse ha mutuato l’approccio diplomatico di un suo predecessore, Massimo D’Alema quando passeggiava il 15 agosto del 2006 a braccetto con il leader Hezbollah per le vie della capitale libanese bombardata, evidenziando una posizione sbilanciata a favore dei miliziani libanesi, sicuramente non propria per un ministro degli esteri.

Una ministro della difesa che come l’ex inviato speciale de Mistura continua ad andare in India per esprimere solidarietà ai due marò, ma nulla fa per portare avanti gli atti di quell'internazionalizzazione annunciata da tempo.

Un silenzio rotto, invece, da gossip riportato da molti canali di informazione sul rimborso che sembrerebbe sia stato chiesto al MAE dall'ambasciatore Mancini per i danni subiti alla recinzione della propria residenza a Delhi, rovinata dalla scolatura di acqua di panni messi ad asciugare da Massimiliano e Salvatore. Qualcosa che se confermato (non risulta, comunque, per quanto dato da sapere che la Farnesina l’abbia smentita) avrebbe del farsesco a fronte della tragedia che i due fucilieri di marina stanno vivendo da due anni e mezzo lontani dalle loro famiglie, per una decisione italiana la cui correttezza andrebbe attentamente valutata. Una richiesta di indennizzo, sembra di 400 Euro , circa 1/3 del reddito annuale di un operaio indiano per dipingere una porzione di recinzione.

Oltre a queste amenità, solo una notizia significativa ma avvilente per il nostro Paese. Un’agenzia, infatti, ci dice che la Corte Suprema indiana ha autorizzato il rinnovo della cauzione per trattenere in "libertà condizionata" in India Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Un’altra umiliazione all'Italia ed alle forze armate in quanto evidenzia l’atto di accettazione italiano di un provvedimento assolutamente illegale quale quello di un fermo giudiziario senza che siano stati ufficializzati atti di accusa. Un’abitudine di accettazione di colpevolezza quella italiana non nuova. Già evidenziata, infatti, dall’ex ministro della difesa Di Paola quando a maggio del 2012 pagò i danni alle famiglie dei poveri pescatori morti ed al proprietario del peschereccio Saint Antony accompagnata dalle dichiarazioni del dott. de Mistura alla televisione indiana che attribuivano ad un increscioso evento colposo tutta la vicenda.

Oltre a questo solo parole che si sommano alle tantissime dichiarazioni di intenti istituzionali rimaste tali. Il 7 agosto da un’agenzia sappiamo che il premier Renzi abbia detto, "Stimo molto il nuovo premier indiano e credo che l'India e l'Italia insieme abbiamo il dovere e il diritto di riconoscersi partner e lavorare insieme". Frase riportata in un intervista pubblicata dal Messaggero nella parte in cui Matteo Renzi commenta la trattativa per la liberazione dei marò. Cosa però intenda fare sul piano concreto e giudiziario internazionale non ce lo dice.

Un solo annuncio importante, quello dell’11 agosto, quando gli italiani vengono informati che il premier italiano ha chiamato “finalmente” Modi per aprire un "canale comunicazione".

Anche in questa occasione, però, rileggiamo ancora una volta gli stessi concetti del passato. Una soluzione "rapida e positiva" al lungo e complicato caso che vede al centro i due fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ci dice un’agenzia, informandoci che questo è “l'auspicio espresso oggi dal premier Matteo Renzi al primo ministro indiano Narendra Modi nel corso di una telefonata che al di là dei contenuti, su cui non trapela molto, è un altro passo in direzione di quel canale di comunicazione tra Roma e New Delhi.., un altro affondo diplomatico premendo sull'esecutivo indiano perché affronti la vicenda dei due militari italiani, bloccati in India dal febbraio del 2012...”

La “pressione” sull'esecutivo di Delhi è però tale che lo stesso giorno il premier Modi precisa, che "la giustizia indiana è libera, giusta e indipendente" e "considererà tutti gli aspetti" del caso, ricordando che la questione relativa all'incidente al largo del Kerala del 15 febbraio 2015 in cui sono morti due pescatori " è sub judice" davanti alla Corte Suprema che esamina ricorsi presentati dai due marè. "Noi siamo convinti" - ha concluso - "che essa considererà tutti gli aspetti nel giudicare il caso".

Una risposta molto simile a quella data dall'allora presidente Singh al senatore Monti dopo che costui aveva deciso di rimandare i marò in India considerando esclusa l’applicazione della pena di morte sulla base di un irrilevante documento indiano che affermava <According to well settled Indian jurisprudence this case wouldn’t fall in the category of matters which attract the death penalty, that is to say the rarest of rare cases. Therefore there need not be any apprehension in this regard>. Tradotto <Secondo una giurisprudenza indiana ampiamente consolidata, questo caso non ricadrebbe nella categoria di fattispecie che comportano la pena di morte, cioè i più rari tra i casi rari. Di conseguenza, non si deve avere alcuna preoccupazione a questo riguardo>. (dal settimanale Panorama 14 aprile 2013).

Singh, infatti, si preoccupò di dire a Monti “…in vista delle indagini in corso, sarebbe prematuro esprimere un parere su aspetti specifici" - E questo, dicono le fonti, era riferito ai timori italiani sulla richiesta di pena di morte per i marines… (http://www.thehindu.com/news/national/italian-pm-calls-manmohan-singh-over-marines-issue/article4598823.ece?homepage=true)

Sono trascorsi due anni e mezzo, le parole ci sommergono come i temporali di questi giorni, ma non dicono nulla. Nessun atto è stato compiuto per attivare le tanto declamate iniziative di internazionalizzazione della vicenda, primo fra tutti l’arbitrato internazionale.

Il giovane premier Renzi ci dice di stimare il vecchio politico indiano Modi che tuttavia risponde, in buona sostanza e con saggia diplomazia orientale, di non farsi illusioni su soluzioni diverse da quelle giudiziarie.

Intanto il tempo trascorre ed i nostri marò restano alla mercé delle “bizze” indiane anche con l’incertezza di dover far riferimento ad un Ambasciatore che attribuisce alla loro modesta esperienza di massaie danni subiti alla recinzione della propria residenza per “panni appesi a sciorinare al sole”.

Non credo che questa sia l’Italia che ci aspettiamo.

Fernando Termentini