03/11/2014 - E' difficile scrivere ancora della vicenda dei due fucilieri di marina dopo 1000 giorni da quando lo Stato li ha ceduti "a mani ostili" senza pretendere che fossero rispettati i loro diritti. Quasi tre anni trascorsi da quel 22 marzo 2013 quando sono stati consegnati alla giustizia indiana applicando un’estradizione passiva, nonostante che nei loro confronti non fossero prodotte prove di accusa.
Ma non può essere sottaciuto il disagio di assistere ancora ad una "telenovela" portata avanti all'infinito senza nemmeno variare il copione, piuttosto ripetendo sempre una trama ormai stucchevole.
Dopo Monti, ministro degli esteri per un mese, si sono succeduti ben tre ministri: la Bonino, la Mogherini e, da ieri, Gentiloni. Anche due governi: quello Letta e l'attuale presieduto da Renzi.
In un Paese normale ci si sarebbe aspettati una serie di provvedimenti in successione e secondo una linea di politica estera caratterizzata da un trend in crescita in termini di successi. Invece nulla di tutto ciò. Il caso è ancora gestito dall'India e l'unica continuità è quella rappresentata da una serie ininterrotta di parole, solo parole, come se tutti si riferissero ad un'unica nota di linguaggio concordata tre anni orsono fra Palazzo Chigi ed i due dicasteri della difesa e degli esteri.
Non possiamo, quindi, sottacere gli atti principali di questo "melodramma" dell'Italia moderna, ricordando le dichiarazioni ufficiali dei responsabili istituzionali. Uno sforzo per cercare di proporre una triste realtà che dovrebbe far pensare.
Settembre 2013, la Ministro Bonino: "Il governo Letta ha ereditato un dossier di grande complessità" sulla vicenda dei due marò italiani trattenuti in India, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. "Il nostro impegno è portare a casa i marò".
Ottobre 2013, ancora la titolare della Farnesina: "Ma noi non abbiamo tanta credibilità da spendere all'estero". "...Confido e sono speranzosa di riuscire, posso dare la garanzia del nostro impegno massimo".
Poi silenzio assoluto rotto da richiami ad essere riservati e da considerazioni sulla non innocenza provata dei due marò, molto opinabili per un ministro di uno Stato di diritto.
22 febbraio 2014, il giorno dell'insediamento dell'attuale governo il premier Renzi lanciava un twitter: "Ho appena parlato al telefono con Massimiliano Latorre e Salvatore Girone”. Ed ancora il 25 febbraio alla Camera il premier ribadiva "Il governo farà di tutto per "risolvere rapidamente la vicenda". Con un unico obiettivo: "riportare in Italia .....i due fucilieri.... ". E poi " ..... "Vanno giudicati in Italia”.
Dichiarazioni rimaste tali in quanto ad oggi i risultati ancora non si vedono ed il romanzo continua.
Il 13 marzo la ministro della difesa, onorevole Pinotti da Delhi ci spiegava che "il motivo di questa visita era soprattutto incontrare e parlare direttamente con Massimiliano e Salvatore" e che "c'è una linea univoca del governo, concordata con il presidente del consiglio", anche "se io e il ministro degli esteri Mogherini siamo quelli che più da vicino la seguiamo".
Il 16 marzo sempre la titolare della difesa in un'intervista a Sky TG24 ammetteva che "di errori ne sono stati fatti tanti, dalle regole di ingaggio, alla mancanza di una chiara strategia…”. "I nostri militari non possono essere giudicati in India, perchè questo metterebbe a repentaglio tutto lo status dei militari italiani che partecipano a missioni. Per questo noi vogliamo internazionalizzare questa vicenda".
Una posizione condivisa dalla ministro degli esteri on. Mogherini che il 25 marzo dichiarava dopo aver incontrato il proprio omologo indiano: "Abbiamo ribadito la nostra determinazione ad esplorare tutte le azioni politiche e legali per vedere riconosciuti i nostri diritti ad esercitare la giurisdizione sul caso marò". "La giurisdizione deve essere italiana, non riconosciamo quella indiana. In caso di conflitto la strada è quella dell'internazionalizzazione".
Concetto ribadito dopo 2 giorni, il 18 marzo, quando la titolare della Farnesina informava le commissioni esteri della camera e del senato che sul caso marò "abbiamo mandato l'ultima nota verbale la settima scorsa" a New Delhi, "il prossimo passaggio può essere l'avvio di un arbitrato internazionale: ne discuteremo con loro e con i loro avvocati". Precisava inoltre "Il raccordo dei ministeri degli esteri e della difesa con la presidenza del consiglio, strumento essenziale per affrontare in modo più coordinato e più unito di quanto fatto in passato". Aggiungeva "avere una voce unica: la forza del nostro messaggio è nell'univocità del messaggio che facciamo arrivare a Delhi".
Il 24 aprile l'on. Pinotti, infatti, affermava, "Siamo usciti dall'alveo bilaterale, per innalzare il contenzioso a livello internazionale: siamo ancora aperti a discutere con gli indiani", ma "non abbiamo altra via che ricorrere all'arbitrato internazionale". Ed ancora, "Non accettiamo un processo indiano di cui non riconosciamo la validità". Parole non seguite da atti concreti.
Il 29 aprile il premier Renzi in una trasmissione pubblica: "chiedo rispetto per l'Italia, per due persone sotto accusa ma non considerate colpevoli da nessuno". C'è un luogo, il tribunale naturale, nel quale devono essere giudicati i marò. Non c'è altra strada all'internazionalizzazione della vicenda... la detenzione in India è inaccettabile".
Il 5 giugno a Radio Anch'io sempre la ministro della difesa ricordava che il governo "ha intrapreso la strada dell'arbitrato che ha tempi tecnici che si stanno concludendo". "Oggi siamo nell'ultima fase prima del momento vero e proprio in cui parte l'arbitrato, …proveremo a trovare un'intesa con il nuovo governo sul punto che non devono essere giudicati in India, altrimenti siamo pronti a partire con l'arbitrato. Non c'è nessun rallentamento". Il triller non si esaurisce e le parole rimangono tali. La conclusione è sempre più lontana e si passa alla fase riservata, quella della "secret diplomacy", applicata un anno prima dalla ministro Bonino ed il romanzo continua quando ieri, 2 novembre, nel corso di un'intervista informa, "Aperta interlocuzione con governo indiano, speriamo porti ottimi frutti''. Ed ancora "Stiamo lavorando con molta attenzione e con riservatezza: il caso marò è una questione di cui non è importante parlare ma su cui è importante lavorare". " Siamo consapevoli che c''è una scadenza, che è quella di gennaio, e non ce ne dimentichiamo".
Dichiarazioni di auspicio che si aggiungono alle parole del neo ministro degli esteri, on. Gentiloni che dichiara poco dopo l’investitura sulle "prime telefonate" che ha fatto "sono state a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone", perché il "dossier" è prioritario anche per il neo titolare della Farnesina resta il destino dei due marò". Frasi già pronunciate il 22 febbraio scorso dal premier Renzi ed ancora prima all'insediamento del governo Letta.
Il ministro è al MAE (ministero affari esteri, ndr) da soli 2 giorni, non si può pretendere che abbia la bacchetta magica e risolva immediatamente un problema che si trascina da 1000 giorni.
Annunciarsi però allo stesso modo di due suoi predecessori lascia perplessi ed induce a pensare che forse la "telenovela" continuerà ancora per molto.
Ci si augura solo che l’on. Gentiloni non dimentichi l’importanza degli atti della diplomazia attraverso i quali uno Stato afferma la sua valenza in ambito internazionale e ricordi che negli ultimi 20 anni uno dei punti di forza dell'Italia è rappresentato dalla fiducia che si è guadagnata nelle missioni militari internazionali di peace keeping.
Non difendere, quindi, i diritti dei propri militari impiegati in missioni internazionali - ed i marò lo erano nel quadro del contrasto alla pirateria svolto sotto egida ONU - rappresenterebbe una sconfitta della diplomazia italiana che non può arrendersi e rinunciare a quanto a fatica è stato guadagnato in termini di visibilità e sacrificando decine di vite umane.
Ministro, non si limiti, quindi, a telefonare dimostrando solo l’umana vicinanza ai nostri militari, ma abbandoni la strategia delle parole e metta fine a questa telenovela infinita.
Fernando Termentini