Una delle storie più belle (e meno conosciute) della seconda guerra mondiale vede protagonisti, alla fine dell’anno 1941, quattro sommergibili oceanici del Comando Forze subacquee italiane in Atlantico, la leggendaria BETASOM.

I battelli italiani sono chiamati a partecipare a un’operazione di salvataggio, in piena guerra, senza precedenti per dei sommergibili, in condizioni di particolare difficoltà e a una distanza enorme (oltre 5.000 miglia, tra andata e ritorno) dalla propria base.

È noto che la Marina tedesca aveva inviato negli oceani alcuni incrociatori corsari e le relative navi appoggio. Queste unità, confermatesi efficaci contro il traffico isolato, erano sottoposte, a loro volta, a un’intensa caccia da parte britannica. Alla fine anche il più famoso corsaro germanico, l’Atlantis, dopo più di un anno e mezzo di incursioni, è sorpreso il 22 novembre 1941, a circa 350 miglia a nord dell’Isola di Ascensione da un incrociatore inglese mentre stava rifornendo un U-Boote e si autoaffonda senza combattere. La nave britannica, temendo di essere attaccata dal sommergibile, subito immersosi, si allontana senza recuperare i naufraghi.

Il Comando navale tedesco in Francia invia in soccorso, a questo punto, la nave rifornitrice Python, la quale recupera, tre giorni dopo, quello sceltissimo equipaggio germanico.
Il 1 dicembre, però, un altro incrociatore inglese intercetta il secondo bastimento, anch’esso autoaffondatosi alla prima salva, mentre stava rifornendo due U-Boote. La scena si ripete: i britannici se ne vanno e i naufraghi sulle imbarcazioni e le zattere, in balia delle onde a dicembre in pieno Atlantico, sono adesso 414. Presi a rimorchio, nel giro di quattro giorni, da quattro sommergibili tedeschi affluiti in zona, affrontano condizioni meteo drammatiche. Non ci sono viveri né acqua per tutti e se tornassero gli inglesi sarebbe la fine.

BETASOM, interpellata, dispone l’immediato intervento di quattro battelli oceanici, il Luigi Torelli(comandante, il capitano di corvetta Antonio De Giacomo), l’Enrico Tazzoli (capitano di corvetta Carlo Fecia di Cossato), il Giuseppe Finzi (capitano di corvetta Ugo Giudice) e il Pietro Calvi (capitano di corvetta Emilio Olivieri).

Le unità vengono allestite a tempo di record per imbarcare ciascuna 70 naufraghi e prendono il mare con rotta sud, tra il 5 e il 7 dicembre 1941. 
Gli ordini prevedono la possibilità di attaccare il traffico avversario isolato durante la navigazione di andata, evitando viceversa qualunque operazione bellica dopo l’imbarco dei naufraghi.
L’incontro tra i sommergibili italiani e quelli tedeschi con le lance a rimorchio avviene al largo delle isole di Capo Verde tra il 14 ed il 18 dicembre, e il trasbordo di parte dei naufraghi – in totale 254 uomini, tutti sistemati sottocoperta – immediatamente assistiti, materialmente e moralmente (Ulrich Mohr, uno degli ufficiali dell’Atlantis e autore del più celebre libro mai scritto su quella nave, parla di “trattamento grande” a bordo del Tazzoli) – è compiuto felicemente, senza perdite, nonostante il mare forza 4-5. Durante la navigazione di ritorno il solo Torelli, avvistato un convoglio nella zona a levante delle Azzorre, è attaccato dalle unità avversarie ma riesce a eludere la caccia antisom britannica.

Le quattro unità italiane arrivano, infine, a Saint Nazaire e sbarcano i naufraghi, tutti sani e salvi, tra il 24 ed il 29 dicembre 1941. Anche i due battelli tedeschi che hanno imbarcato il resto degli equipaggi delle due navi affondate riescono a rientrare alla base. Una storia di mare e di guerra, a lieto fine, tra Natale e Capodanno.

Fonte: Marina Militare