19/03/2015 - Le Forze Armate italiane sono impegnate nel sud del Libano sulla base di quanto sancito dalle risoluzioni n. 425 del 19 marzo 1978, n. 1701 del 11 agosto 2006 e la n. 1832 del 27 agosto 2006 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
L’Italia fa parte della forza multinazionale denominata UNIFIL dal 1978 ed opera lungo la linea “armistiziale”, che separa il Libano ed Israele, denominata “Blue Line”. Prima dello scoppio della crisi del luglio/agosto 2006 UNIFIL aveva il compito di verificare sia il ritiro delle truppe israeliane dal confine meridionale del Libano sia l’assistenza del governo a ristabilire la propria autorità nell’area.
Successivamente ai noti eventi del 2006, ai succitati compiti, si sono aggiunti il sostegno alle forze armate libanesi nel dispiegamento nel sud del paese, l’assistenza alla popolazione ed il monitoraggio della cessazione delle ostilità nell’area compresa tra la “Blue Line” ed il fiume Litani. In particolare, ai Caschi blu italiani gli è stato affidato il comando di uno dei settori di UNIFIL, il Settore Ovest con circa 1100 uomini e donne, insieme ai contingenti di altre 11 nazioni per un totale 3500 militari, formano un modello operativo multinazionale con la responsabilità di garantire la cessazione delle ostilità tra Libano ed Israele, assistere le forze armate libanesi al fine di consentire loro un adeguato ed efficace controllo del territorio volto a prevenire eventi che possano causare un riaccendersi delle ostilità nonché supportare la popolazione affinché possa ripartire una pace duratura.
Su decisione delle Nazioni Unite, l’Italia ha assunto il comando della missione UNIFIL per tre volte, il primo è stato il generale Claudio Graziano, dal 2007 al 2012, attuale Capo di Stato Maggiore della Difesa, il secondo il generale di Divisione Paolo Serra, dal 2012 al 2014 a cui è succeduto il 24 luglio 2014, il generale di Divisione Luciano Portolano. Tale alternanza di alti ufficiali generali italiani al comando della missione dal 2012 rappresenta un prestigioso attestato di stima e fiducia per il ruolo attivo svolto dall’Italia nel promuovere la stabilità e la sicurezza dell’Area Mediterranea e Mediorientale.
Alla missione UNIFIL partecipano oltre 10.000 soldati provenienti dai seguenti Paesi: Armenia, Austria, Bangladesh, Bielorussia, Belgio, Brasile, Brunei, Cambogia, Cina, Croazia, Cipro, El Salvador, Francia, Finlandia, Repubblica di Macedonia, Germania, Ghana, Grecia, Guatemala, Ungheria, India, Indonesia, Italia, Irlanda, Kenia, Malesia, Nepal, Nigeria, Qatar, Korea, Serbia, Sierra Leone, Slovenia, Spagna, Sri Lanka, Tanzania e Turchia, suddivisi in due settori, a guida spagnola a est mentre a guida italiana a ovest.Il comando della forza nazionale è stanziato presso la base dedicata al "Ten. Millevoi" in Shama (sede del Comando del Settore Ovest di UNIFIL), mentre l’unità di manovra, il braccio operativo, sono dislocati tra le basi di Al Mansouri e le basi operative avanzate lungo la “Blue Line”.
Attualmente la Joint Task Force – Lebanon Sector West UNIFIL, dal 13 ottobre 2014, è principalmente su base Brigata “Pinerolo” di Bari, con il comando affidato al generale di brigata Stefano Del Col, ufficiale generale dei bersaglieri impegnato già in Libano quando nel 2008 comandava l’8° Reggimento Bersaglieri.
Il Comando Multinazionale Sector West ha la responsabilità di gestire le unità di manovra e di supporto fornite da altre nazioni quali: Irlanda, Ghana, Korea, Finlandia, Brunei, Malesia, Slovenia, Tanzania oltre a militari della Serbia e dell’Armenia che hanno esclusivamente compiti di sicurezza delle basi.
Durante la realizzazione del nostro reportage abbiamo avuto l’opportunità di intervistare il comandante del Sector Ovest di UNIFIL, generale di brigata Stefano Del Col.
“La Blue Line, spesso erroneamente considerata da taluni una linea di confine, rappresenta la linea di ritiro delle Forze Armate israeliane del 2000 che si sovrappone, per una buona parte, a una linea che si chiamava green line esistente prima del conflitto.
Nel nostro settore è molto ben definita mentre, nel Settore Est a leadership spagnola, non sussiste la stessa situazione a causa della presenza di zone contese che sono oggetto di discussione nei meeting mensili del Tripartito, organizzato e gestito dal capo missione e comandante della forza, generale di Divisione Luciano Portolano.
Nella nostra area di responsabilità, dalla UN position 1-32 Alfa, dove si svolge il Tripartito, fino l’ultima postazione del settore a guida Finaldese-Irlandese, ci sono circa 55 km di “Blu Line”e, come dicevo poc’anzi, risulta essere molto ben definita, pertanto, non abbiamo preoccupazioni relative a zone contese. Tra le attività volte a verificare la cessazione delle ostilità, la gravitazione delle nostre unità è lungo la “Blue Line”. Anche gli israeliani, a sud di questa linea virtuale che collega tutti i blue pillars, effettuano lungo la rete stradale, nel proprio territori,o un controllo continuo della “Blue Line. In sintesi, la blue line non va considerata un confine politico-amministrativo perché non esiste un trattato di pace tra i due paesi. Siccome non esiste un trattato di pace, UNIFIL dovrà garantire quanto sancito dalla risoluzione 1701”.
Nell’area di responsabilità di UNIFIL ci sono dei campi profughi di siriani, questo potrebbe accrescere la tensione tra le parti?
“Capisco la preoccupazione che potrebbe ingenerare un numero così alto di profughi. Secondo le stime dell'UNHCR nel nostro settore vi sono circa 41 mila profughi siriani. Questi numeri variano di pochissimo rispetto a quanto comunicatoci dai sindaci anche se per noi fanno fede i numeri ufficiali riportati dell'agenzia delle Nazioni Unite. I siriani, fino ad oggi, non hanno dato nessuna preoccupazione. Sono controllati dai sindaci delle municipalità. Qualche mese fa abbiamo organizzato, di concerto con l'ambasciata italiana, una corsa che denominata “Vivicittà” alla quale hanno partecipato palestinesi, libanesi e anche siriani. Il percorso, di un paio di chilometri, è stato realizzato nella città di Tiro (Tyre). Abbiamo potuto testare con mano che c'è rispetto reciproco e sono abbastanza integrati, infatti, tanti vivono in case, soprattutto a Tiro, mentre in altre zone sono alloggiati in strutture organizzate dai sindaci e monitorate dalle Nazioni Unite. Per il momento devo dire che non abbiamo il sentore di un rischio maggiore dovuto alla presenza dei profughi siriani.
Sono controllati nominativamente dalle autorità locali, dalle forze armate libanesi e da altre organizzazioni libanesi deputate a tali attività”.
Per quanto riguarda invece i campi profughi palestinesi cosa ci può dire?
“Nel nostro settore insistono tre campi profughi palestinesi a cui è vietato l’accesso in ottemperanza di un accordo stipulato al Cairo tra Governo Libanese e l’Autorità Palestinese nel 1964, che nega alle forze armate libanesi, ai cittadini libanesi ed altri di entrare.
Un’agenzia delle Nazioni Unite si occupa di verificare e migliorare, ove possibile, la qualità della vita all'interno. Sono ben organizzati, hanno una struttura amministrativa, una struttura di controllo, la gran parte di loro esce la mattina per svolgere varie attività lavorative sul territorio rientrando la sera. Sono autorizzati dal Governo del Libano a svolgere solo certe tipologie di lavori. I campi del nostro settore non hanno dato grossi problemi mentre in altre zone, fuori dalla nostra zona di operazione, ci sono stati dei problemi. Ricordiamo, nel 2007, un caso molto famoso avvenuto nel nord del Libano, presso Nared Bareid, dove le forze armate libanesi entrarono nel campo perchè si era palesata una situazione di instabilità che potremmo definire esplosiva.
Come anzidetto sono dotati di una struttura di controllo interna ma è chiaro che, se dovesse verificarsi una situazione di particolare tensione all'interno del campo, le forze armate del Libano, deputate al controllo del territorio, sarebbero le uniche a potere intervenire”.
intensa o con scale di intensità diversa nel proprio territorio dato che su di esso insistono sia confessioni religiose diverse sia profughi provenienti dalla Palestina e dalla Siria”.
C'è la possibilità che nascano cellule jadiste che penetrino all'interno del Libano?
“La sfera di cristallo non ce l'ha nessuno. Noi rispondiamo sul controllo del territorio, senza entrare nei campi profughi in cui non abbiamo competenza, e la susseguente verifica di assenza di armi è fondamentale al fine di garantire la monitorizzazione della cessazione delle ostilità, uno dei compiti assegnati dalla risoluzione 1701”. La nostra area di operazione è ben delimitata da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU per cui non possiamo assolutamente fare nulla al di fuori di quest'area. Una delle evidenze di quello che accade al di fuori del sud del Libano è la presenza delle forze armate libanesi schierate a nord ed a est del paese. Nella nostra area di operazioni si effettuano sia attività operative congiunte con le LAF sia attività operative autonome che, spesso, risultano essere di numero nettamente superiore a quelle congiunte.
C'è paura di una eventuale avanzata in Libano dell'ISIS?
“Le autorità libanesi sono molto attente ed hanno posto in essere tutta una serie di attività per proteggere i confini al nord e a est del Libano. Questo si evince da quanto appreso dai colleghi libanesi con cui mi relaziono giornalmente”.
Qual'è il rapporto tra i militari italiani e la popolazione libanese?
“Ormai sono giunto all'undicesimo mese di permanenza complessiva in Libano dato che nel 2008 ho comandato ITALBATT, quando allora comandavo l’8° Reggimento Bersaglieri, ed eravamo due battle group italiani. ITALABATT era situato a Maraka, cittadina dell’entroterra, e li ho prestato servizio per circa sette mesi che si sommano alla permanenza attuale in Libano con la Brigata “Pinerolo”. La sintesi della mia attività mi porta a dire che c'è da parte della popolazione una naturale predisposizione positiva verso gli italiani per tutta una serie di motivi. E’ noto a tutti che l'Italia è conosciuta perché è stata presente in Libano, a Beirut, nei primi anni '80. Fra l'altro al termine di quella missione, l’Italia donò alla popolazione civile l'ospedale da campo che era stato portato a sud di Beirut. Anche la presenza dal 2006 ad oggi mi porta ad affermare che i libanesi vedono in maniera molto positiva noi italiani. Sicuramente questa attitudine positiva si è cementata grazie alle attività di cooperazione civile e militare (CIMIC) che svolgiamo per il tramite dei sindaci, i quali, ci rappresentano i bisogni delle loro municipalità, in particolare i settori di intervento più richiesti riguardano la sanità, il trasporto pubblico, le infrastrutture, che successivamente analizziamo ed inseriamo, in base alla priorità, in una pianificazione di intervento.Pertanto effettuiamo sia donazioni sia contribuiamo alla costruzione o al rifacimento di alcuni stabili di interesse della collettività: siamo molto attenti ai bisogni dei bambini, quindi ci concentriamo sulle scuole e sulla sanità, ma non solo e grazie alla cooperazione con la nostra l’Ambasciata italiana a Beirut, partecipiamo ad interventi importanti per lo sviluppo del turismo, un esempio è la ristrutturazione dell’antico castello di Shama, piccola cittadina che sulla sua territorialità ospita la base del Contingente Italiano. Questo progetto è un lavoro al quale contribuiamo per dare la possibilità di rivalutare nel migliore dei modi le bellezze storiche di questo paese. A Tiro, dove il Contingente Italiano qualche anno fa si è occupato di recintare gli scavi archeologici, vi sono luoghi densi di storia in cui si sovrappongono resti dell'epoca fenicia e di quella romana. Intensa è anche la collaborazione con le autorità religiose, infatti, personalmente incontro i rappresentanti delle confessioni sia musulmana sciita, sia sunnita, sia la chiesa cristiana maronita e la chiesa cristiano cattolica di rito melchita, pertanto, il dialogo è continuo sia con i vescovi che con i mufti. Questo Paese è multi confessionale e le autorità religiose ne rappresentano appieno la situazione e ci fanno comprendere le diverse sensibilità. La maggior parte della popolazione è sciita però vi sono anche cristiani e sunniti, pertanto, dobbiamo dialogare con tutti in modo imparziale e lo facciamo con grande volontà e dedizione. Nel mio settore operano undici nazioni, circa 3500 persone, su di un'area di operazione articolata in cinque unità di manovra. Questo tra l'altro è anche un motivo e una sfida che ho in qualità di comandante, perché mi trovo a gestire militari che rappresentano culture, dottrine e procedure militari diverse. Abbiamo un battle group (unità di manovra) sud coreano, uno malese, uno finnico-irlandese e uno italiano. L'azione di comandante è uguale nei confronti di tutti ovviamente ma deve essere adattato in base alle esigenze o alle sensibilità di ogni nazionalità”.
Quali sono esigenze che le rappresentano le autorità?
“La popolazione, qui nel sud del Libano, ha sofferto molto dal '48 in poi, quindi quello che loro rappresentano e un rimarcare la sofferenza. Moltissimi sono emigrati in Africa soprattutto o in Sud America, hanno fatto fortuna all'estero però sono molto orgogliosi di essere libanesi ed appena possibile rientrano, soprattutto nel periodo estivo, per vivere nel luogo dove sono nati, dove sono vissuti e che, magari, sono stati costretti ad abbandonare.
Chi è rimasto qui ha vissuto in maniera funzionale a quelle che sono stati gli eventi che hanno contraddistinto questa parte del Paese ma adesso, dal 2006, non ci sono nel sud del Libano tensioni grazie ad UNIFIL che con grande efficacia rappresenta e garantisce la stabilità della regione e la popolazione è grata ai peacekeeper delle Nazioni Unite”.
Abbiamo visto che la percezione della missione sia positiva dai bambini che salutano. Particolarità del soldato italiano? Come ci siamo riusciti? Uno dei punti di forza che abbiamo visto è il Market Walk...
“Noi effettuiamo una serie di attività operative sul territorio tra cui una che è quella del market walk, ovvero, nei villaggi che hanno un mercato abbiamo organizzato ed organizziamo una volta alla settimana, di concerto con gli amministratori locali e le forze armate libanesi, la presenza dei nostri soldati a piedi nei mercati per avere un contatto con la popolazione locale. Ha riscosso grande successo perché è una attività di dialogo, di confronto e di controllo dei villaggi non è propriamente intrusiva. E’ svolta a piedi, anche perché i villaggi sono molto piccoli, hanno strade molto strette e sarebbe impensabile entrare con i mezzi nella zona del mercato. Vivere la vita di una giornata di mercato, con i peacekeeper delle Nazioni Unite all'interno del villaggio che passano e dialogano con le persone, è percepito dalla popolazione locale in modo estremamente positivo. Per noi italiani il grado di accettazione è molto alto. Ci prepariamo molto per svolgere queste attività e lo facciamo attraverso una attività addestrativa specifica che si svolge in patria e che è frutto di un'articolata esperienza che porta il militare italiano, inteso come una risorsa del nostro paese. Il militare italiano ha davvero operato in molte zone del mondo, pertanto, l’esperienza maturata da decenni di attività svolta in svariati contesti geografici e di intensità diversa nel mondo costituiscono per noi un valore aggiunto. Abbiamo un’attitudine ed una naturale abitudine ad essere aperti e positivi, ad essere portatori di una tradizione italiana che qui è vista estremamente bene. Con questo non voglio dire che non ci sia la fermezza, ma essa va contestualizzata ed applicata con un atteggiamento di apertura. Noi svolgiamo i nostri compiti e li svolgiamo molto bene, e non perché lo dico io, ma perché lo dimostrano le attestazioni di stima ricevute dai vertici delle nazioni Uniti, dai colleghi delle forze armate libanesi, ma anche i risultati conseguiti. La fermezza ed la capacità di dialogo sono caratteristica di ogni militare di ogni genere e grado. La nostra preparazione spazia dalle regole d'ingaggio previste per questa missione, alla capacità di svolgere i compiti assegnati ad una conoscenza approfondita del tessuto sociale in cui si opera. Questo è percepito dalla popolazione ed io ho dei feedback estremamente positivi di questa attività che svolgono i nostri i nostri italiani sul territorio”.
“Volevo sottolineare inoltre una peculiarità della Brigata che comando, la “Pinerolo” di Bari, è una grande unità numerosa – aggiunge il generale Del Col - ricca di capacità. Una Brigata di 5.400 donne e uomini che ha l'85% di propri militari di origine pugliese, ed in Libano vi è una buona parte di loro. Questo è un motivo tra l'altro di efficacia e di efficienza perché io lavoro qui con persone che conosco molto bene e con cui sono abituato a lavorare in patria. Abbiamo svolto un lunghissimo periodo addestrativo che è stato articolato in attività dinamiche e in esercitazioni a fuoco nel poligono di Tor di Nebbia sulle Murge pugliesi. E' stato un processo complesso ed articolato, che ho vincolato alla conoscenza e l’uso della lingua inglese, basato sulla profonda conoscenze della cultura del mondo libanese e della sua struttura, quindi una conoscenza culturale di quello che è l'ambiente in cui si doveva operare. Non si può correre il rischio che il soldato giovane, il “caporale strategico”, possa commettere degli errori con conseguenze gravissime. Potete solo immaginare cosa potrebbe accadere nel momento in cui un militare italiano, privo di conoscenza culturale e dei valori del luogo dove va ad operare, dovesse commettere degli atti contrari agli usi e costumi con conseguenze che vengono percepite come una grave offesa.
Pertanto, oltre a quelle che sono la conoscenza dei propri compiti e propri doveri esclusivamente del militare, la conoscenza del territorio, dei suoi usi e costumi deve costituire bagaglio professionale di tutti i soldati. A questo si aggiunge la preparazione dei comandanti che si trovano poi a gestire determinate situazioni di mediazione o di dialogo con i leader locali del sud del Libano. Questo non significa che non si possano affrontare anche temi spinosi, ma bisogna farlo in un ambito di correttezza e soprattutto di imparzialità perché è alla base dei nostri rapporti di incontro e di dialogo con queste autorità”.
Attività addestrativa e formazione culturale?
“Abbiamo svolto un'attività complessa a fuoco presso il poligono di Tor di Nebbia, perché ovviamente i militari devono conoscere le armi, i mezzi e la strumentazione che hanno a disposizione. Su questo sono stato molto incisivo ed ho dedicato molto tempo a questa attività. Parallelamente c'è stata un'attività formativa che ci ha portato a rimanere molto fuori dalle nostre caserme. Abbiamo costruito delle basi logistiche su tende completamente autonome per verificare le capacità logistiche, in due periodi differenti, per un totale di due mesi, affrontando condizioni meteo al limite con tormente di neve e pericolosi temporali, più una serie di attività che venivano condotte in caserma. Abbiamo verificato il nostro livello di preparazione complessiva in una esercitazione condotta presso il Centro di Simulazione e Valutazione dell'Esercito Italiano (CESIVA), dove viene testata la capacità dei comandanti e degli staff di operare con simulazioni della realtà operativa del teatro libanese. Tutti i contingenti dell’Esercito Italiano si preparano alla stessa maniera, in modo da creare la giusta continuità tra un contingente e l'altro”.
Salvatore Pappalardo
(nella seconda foto il generale con il sindaco di Tibnin)