21/02/2014 - "Fino alla fine" è il motto che troneggia sotto lo stemma del 32esimo reggimento genio guastatori di Torino ed è proprio così che portano avanti la loro missione, "fino alla fine".
Con l'avvento di scenari operativi sempre più complessi caratterizzati da un livello di asimmetricità e conflittualità molto elevato, il reggimento guastatori della città del capoluogo piemontese si è trovato a dover fronteggiare una minaccia come quella degli ordigni esplosivi che ben conoscevano ma che stava cambiando forma e si stava evolvendo in artifizi complessi, privi di schemi fissi e fuori da qualsiasi forma convenzionale fino a quel momento conosciuta, questa nuova minaccia verrà tristemente resa nota alle cronache con l'acronimo di IED - ordigni esplosivi improvvisati.
Sul tema IED, incontro proprio il comandante del 32esimo reggimento guastatori - il colonnello Ovidio Esposito - nel suo ufficio a Torino presso la Caserma Cavour che si presta volentieri a rispondere ad alcune domande: in primo luogo su come questi ordigni siano diventati uno dei punti focali del loro lavoro fuori area e perno centrale dell'addestramento in Patria.
L'Arma del Genio del nostro Esercito combatte contro gli IED fin dagli esordi, ne ha studiato in modo attento la preparazione e gli utilizzi e "ogni giorno i nostri uomini si trovano davanti a impieghi sempre nuovi di questi ordigni di circostanza" - specifica il colonnello - "il nostro è un lavoro in continua evoluzione, da anni studiamo l'uso e l'impiego degli IED e ogni anno ne troviamo delle novità, delle evoluzioni.
Il nostro ruolo in teatro è cambiato considerevolmente, veniamo impiegati per permettere la mobilità delle nostre truppe e per garantire loro la dovuta protezione da questi agenti esplosivi, alla base di tutto vi è una grande preparazione teorica ma sopratutto penso che un ruolo importante rivesta l'Esperienza dei Team Leader dei vari gruppi EOD e di tutto il personale che ne fa parte."
E' proprio l'esperienza a fare del 32esimo guastatori un reggimento di punta dell'Esercito per il Counter-IED, il comandante ci tiene a spiegarmi che "l'esperienza è un aspetto fondamentale della preparazione e dell'approntamento. Senza l'esperienza fronteggeremmo i moderni scenari in modo statico mentre quello di cui abbiamo bisogno è la versatilità e la flessibilità, se gli IED sono ordigni versatili e di facile impiego noi dobbiamo adattarci al loro uso e dobbiamo adattarci alla situazione, questo non vuol dire che sul campo si improvvisino azioni di bonifica, tutt'altro vuol dire poter permettere alle nostre capacità convenzionali di adattarsi a scenari sempre nuovi e in continuo cambiamento."
E' importante ricordare che uno degli effetti maggiormente sottovalutati dai "non addetti ai lavori" in ambito C-IED è l'effetto psicologico, l'incognita della minaccia e l'assenza di un nemico visibile e identificabile rende lo stress uno dei principali compagni di viaggio di questi nuclei d'eccellenza, chiedo al comandante come si relazionano in addestramento e sul campo con questo aspetto del loro lavoro e la risposta è per me una sorpresa "certamente non è facile convivere con questo aspetto del nostro lavoro, la formazione mentale e la gestione dello stress è tenuta in ampia considerazione ma quello che molti ignorano è che i nuclei EOD (Explosive Ordnance Disposal, ndr) sono pochi e altrettanto pochi sono quelli che ne fanno parte. Sono come una famiglia, nei vari team ci si conosce e ci si relaziona quotidianamente. L'avere intorno persone che possono darti il sostegno che chiedi e che possono appoggiarti nei momenti di difficoltà è fondamentale quasi quanto l'addestramento e l'esperienza"
Non è quindi solo la preparazione dovuta agli addestramenti su territorio nazionale che formano questi uomini ma è anche e sopratutto il concetto di buddy company, “compagnia di amici”. Il supporto dei compagni consente di limitare l'innalzarsi dei livelli di stress, un sostegno silenzioso e sempre presente di cui spesso si trascurano i benefici.
Per il momento, non esistono, strumenti validi a rendere completamente inefficaci questi ordigni, la continua evoluzione e l'imprevedibilità d'impiego e di costruzione li rende artifizi complessi da contrastare per questo chiedo al comandante se ritiene corretto chiamarli "l'arma perfetta" come molti li hanno soprannominati.
"Penso che la parola perfetta sia quantomeno sopravvalutata, l'arma perfetta a mio parere non può essere contrastata, mentre gli IED sono un fenomeno arginabile e gestibile anche se non nella loro totalità. Le procedure e gli addestramenti, lo studio e le ricerche sono tutte volte a limitarne gli effetti, se ciò non sortisse alcun tipo di conseguenza allora potremmo anche iniziare a parlare di arma perfetta"
Sottolineo al comandante che l'unico limite all'uso di IED è la fantasia umana, mentre i mezzi e le protezioni in dotazione ai nostri uomini hanno il limite insormontabile delle leggi fisiche naturali, un mezzo capace di resistere ad un ordigno caricato con centinaia di chilogrammi di esplosivo non avrà sicuramente caratteristiche di mobilità tali da essere impiegato a fini militari.
Il comandante sottolinea come "nella maggior parte dei casi si valuta solo un aspetto e cioè che su un IED il mezzo deve necessariamente esplodere. Il nostro lavoro è sopratutto improntato ad evitare che quel mezzo sopra lo IED ci finisca, prevenzione e ricerca solo alla base di tutto in teatro. Operare su livelli che non sono solo quelli della difesa del mezzo è importante quanto la difesa del mezzo stesso, quella è solo un surplus - a cui io personalmente non rinuncerei mai - la fase finale di un processo lungo di bonifica e di ricerca sul campo. Pensare agli eventuali danni è giusto, ma diamo una possibilità anche alla prevenzione"
Ritengo tuttavia che proprio in virtù del fatto che questi siano artifizi non convenzionali di circostanza, si potrebbe facilmente incappare in stratagemmi non ancora scoperti, dunque prevenzione sì, ma la prevenzione deriva da una conoscenza della minaccia talvolta sconosciuta.
Non dimentichiamo che l'evoluzione - anche tecnologica - degli IED si muove nel mondo anarchico di internet dove ormai la globalizzazione ha investito anche il settore del "Terrorismo internazionale" di qualsiasi matrice. Molti ordigni utilizzati contro le truppe NATO in Afghanistan sono stati mutuati in Mali contro le truppe francesi o in Somalia contro il contingente della missione europea di SSR (riforma del settore sicurezza) in corso nel paese. In rete si trova qualsiasi notizia per costruire ordigni, esistono siti persino siti minuziosamente dettagliati in cui è piuttosto facile imbattersi.
Mi chiedo se non sia il caso di arginare la libera circolazione delle fonti - la così detta open-source - per impedire che l'aspetto globalizzato delle moderne matrici terroristiche crei uno scambio di informazioni di portata globale.
Esposte queste mie perplessità il colonnello mi risponde che "nella realtà non penso che sia possibile arginare il fenomeno delle open source in questo mondo così globalizzato, i siti internet - ammesso che possano essere chiusi senza incorrere nell'accusa di censura di qualche tipo - sono solo una goccia nel mare. Piuttosto dovremmo iniziare a pensare di utilizzare gli stessi mezzi per combattere l'espandersi delle nozioni di costruzione, internet è uno strumento utile anche a noi che siamo dall'altra parte della barricata, lo scambio di informazioni è essenziale.
Poi ragionando, anche qualora un soggetto male intenzionato avesse realmente intenzione di costruire e utilizzare queste bombe e prendesse spunto da internet non è detto che abbia poi le capacità pratiche e materiali per impiegare quell'ordigno o addirittura per costruirlo. Tutto deve essere caldamente riportato alla realtà, in via ipotetica tutto è possibile."
Riprendendo la frase del comandante "in via ipotetica tutto è possibile" chiedo opinione sull'addestramento delle Forze di Sicurezza Afghane in relazione al C-IED: molti analisti ritengono che in una paese ancora instabile come l'Afghanistan sia dal punto di vista politico che sociale, svelare gli aspetti del C-IED potrebbe essere controproducente e addirittura pericoloso per le forze di coalizione che operano e continueranno ad operare nel paese. Conoscere le tecniche utilizzate dagli alleati potrebbe conseguentemente intensificare i lavori degli insurgents per modificare e migliorare gli ordigni.
"Obbiettivamente parlando l'Afghanistan è un paese molto complesso e con ancora molte piaghe da arginare e potrebbe esserci il caso in cui una nostra tecnica sia ritorta contro gli alleati. Tuttavia bisogna tenere conto degli impegni inderogabili che l'occidente si è preso l'onere di mantenere con il governo afghano, primo tra tutti quello di addestrare le forze armate afghane a gestire in totale autonomia la questione sicurezza interna. Gli IED sono l'arma più diffusa e la principale minaccia al nostro contingente e alla sicurezza del paese, se non addestrassimo questi uomini a disinnescare un ordigno o a non adottare le giuste procedure nel momento in cui se ne trovano uno sul campo, verremmo meno al nostro impegno e sopratutto non permetteremmo mai al paese di rendersi autonomo. Il beneficio che traiamo dall'addestrare le truppe afghane è di gran lunga maggiore rispetto a qualsiasi risvolto negativo.
Mi preme sottolineare un aspetto che molti non conoscono del training che facciamo in Afghanistan alle future truppe del paese e che ci ha portato moltissime volte a uno scontro aperto tra la mentalità occidentale e la loro. Gli uomini afghani hanno questa indole guerriera, non mostrare paura e affrontare il pericolo con le loro conseguenze è fondamentale per loro al fine di continuare a mantenere quell'aurea di importanza che rivestono nella società. Se sanno che un ordigno si trova sotto una sedia loro vanno incontro alla morte perché è il volere di Allah. Il nostro compito principale è stato quello di innestare la "paura della minaccia" e di conseguenza studiarla e arginarla. Ci sono voluti anni per ottenere dei risultati concreti ma oggi chi torna nel paese a distanza di tempo trova delle truppe professionali e addestrate che contribuiscono attivamente al mantenimento della sicurezza interna. Penso sia uno dei risultati migliori che abbiamo ottenuto."
L'Afghanistan per anni è stato al centro di una zona geopolitica caldissima e ricca di nuovi attori in lotta tra di loro per la conquista del potere, un'area in continua evoluzione che ormai da decenni cerca la pace. Sullo scenario politico internazionale si sono affacciati nuove crisi e nuove richieste di aiuto; i così detti “paesi della Primavera Araba” utilizzano tecniche di resistenza civile che spaziano dagli scioperi ai cortei e si intersecano spesso con l'uso massiccio della violenza, dove gli IED trovano un posto privilegiato.
Non solo paesi arabi ma anche città come Kiev e lo stesso Venezuela potrebbero essere coinvolti nell'utilizzo di IED contro la popolazione nella degerazione delle rivolte popolari.
L'uso di IED ad alto potenziale in stretta collaborazione con quelle che sono le caratteristiche principali di questi ordigni utilizzati in ambiente urbano avrebbe una grandissima ripercussione sia in termini di vittime che di danni alle infrastrutture per non parlare dell'impatto mediatico.
Chiedo al comandante se esistono metodologie specifiche per arginare il problema dell'uso di questi ordigni in aree urbane e densamente popolate
"Per iniziare dobbiamo distingure due situazioni : la prima è la presenza di ordigni esplosivi non convenzionali su territorio nazionale che non è di competenza dell'Esercito ma dei nuclei artificieri di Polizia e Carabinieri - addestrati al Centro di Eccellenza per il C-IED di Roma alla Cecchignola. All'estero nei teatri operativi l'approccio all'ambiente urbano è sempre più complesso ma alla fine le procedure sono le stesse vi è solo una maggiore attenzione a preservare le infrastrutture e un'attenzione particolare all'evacuazione dell'area. La tutela del personale civile è sempre il primo aspetto a cui pensare oltre che la messa in sicurezza del contingente che opera. Non vi è dubbio che l'uso di questi artifizi in ambiente urbano sia decisamente pericoloso e di difficile gestione ma anche qui entra in gioco l'esperienza di cui parlavamo prima, la flessibilità di impiego permette agli uomini di arginare la minaccia o quantomeno i danni se ci trovassimo in un quadro d'insieme statico non vi sarebbe modo di operare correttamente"
Nel momento storico in cui ci troviamo, possiamo sicuramente definire gli IED la grande rivoluzione o evoluzione nel mondo militare che si è affacciata al nuovo millennio con una rinnovata presenza ma con le stesse devastanti conseguenze.
Sistema d'arma versatile ed economico, sempre pronto ad adattarsi alle circostanze e agli scenari più impervi.
Non è errato pensare che la minaccia fino ad ora descritta è una minaccia reale e che nel tempo continuerà ad essere protagonista delle lotte armate asimmetriche nei diversi teatri d'operazione. La globalizzazione non gioca a favore dei paesi occidentali, internet e la possibilità di movimento più facile rispetto ai decenni passati permette alle reti capillari delle milizie terroristiche di scambiarsi informazioni e know-how appresi negli anni.
Nulla lascia prevedere che gli IED saranno accantonati, anzi è presumibile un aumento massiccio del loro impiego in zone non necessariamente disagiate come l'Afghanistan o instabili come Egitto e Siria.
Ogni caratteristica di questi ordigni è un punto a favore degli insurgents, in un mondo che cambia e si evolve continuamente è scontato che anche terroristi e sistemi d'arma si tengano al passo con i tempi.
Denise Serangelo
(nelle immagini sopra: un "IED d'epoca" conservato al museo delle mine OMAR di Kabul)