13/01/2014 - Quando scriviamo il termine "Iraq" su un qualsiasi motore di ricerca o un quotidiano online, gli articoli ed i commenti che appaiono sono a dir poco drammatici e sconfortanti.

Con l'avvio della pubblicazione di Difesa Online mi sono ripromesso di approfondire il perché, a distanza di oltre due lustri dalla caduta di Saddam, quel paese apparisse come un failed state, uno "stato fallito".

La celere risposta dell'ambasciata irachena di Roma mi permette oggi di pubblicare la prima delle tante interviste che il giornale farà in campi in cui, di norma, ci si limita a ricopiare le agenzie o a rielaborare tesi di chi in un certo paese non c'è mai stato.

Dal momento che l'ambasciatore Saywan Sabir Mustafa Barzani in Iraq c'è nato e vissuto, le sorprese sono state per me tante.

La prima? Il semplice fatto che le "Nassiriya" quotidiane che l'Iraq sconta sulla propria pelle non sarebbero un simbolo di fallimento bensì l'effetto di una democrazia compiuta in un'area in cui tale realtà è inaccettabile e pericolosa per le troppe nazioni autoritarie di contorno. Come ha sottolineato durante l'incontro, piazzare 25 autobomba non è un'iniziativa che può derivare dal malcontento: solo i governi possono spendere milioni di dollari per simili atti violenti.

Nella lunga intervista che ci ha concesso l'ambasciatore ripercorre la storia del suo paese e del Kurdistan, la sua regione d'origine, fino ai nostri giorni. Spiegando inoltre quello che definirei un "karma" dei paesi confinanti in guerra, come la Siria, o in pace (almeno con i curdi...) come la Turchia.

Certo un ambasciatore sarà sempre una fonte di parte, ma gli ambasciatori hanno (solitamente...) una grande cultura ed intelligenza quando si parla di geopolitica. L'ambasciatore iracheno, a mio avviso, va sicuramente annoverato tra questi.

Buona visione!

Andrea Cucco