(Racconto di vita militare)
Servire in cavalleria è qualcosa di unico, qualcosa che supera la normale dimensione del servizio in armi.
Chi appartiene “all’arma nobile” col tempo matura una consapevolezza di se ed uno spirito di appartenenza più unico che raro realizzando giorno per giorno di essere figlio legittimo degli eroi del passato.
Nelle ore trascorse a cavallo, nelle intense giornate in operazione o in addestramento ci si chiede come possano essere vissuti i propri avi in armi, come questi fossero soliti trascorrere il proprio tempo, in fine come doveva essere una attività militare tattica in sella ad un fiero destriero.
Provando a socchiudere gli occhi potrebbe accadere il miracolo di percepire l’intensità degli odori nella campagna friulana, la terra butta in aria il profumo misto della nebbia e dell’erba macerata, mentre da pochi camini un fumo bianco e denso sbuffa lento e si mischia alla grigia coltre di un mattino di ottobre.
I reparti dopo aver risalito in silenzio l’onda rumorosa di fanti e salmeria della 2^ e 3^ Armata si attestano in un piccolo paese a pochi km da Udine, Pozzuolo del Friuli, i compiti sono confusi, in quattro giorni quella che doveva essere una difesa di posizione si è trasformata in una ritirata strategica prima e successivamente in vera e propria fuga.
Le avanguardie della Brigata irrompono nel paese praticamente deserto, l’eco dello scalpiccio di zoccoli rimbalza sulle pareti bianche e verdi di calce e muffa, molti paesani sono andati via a seguito dell’Esercito in ripiegamento affollando anch'essi i pochi ponti sul Tagliamento, profughi di una guerra strana di cui fino a quel momento solo il rombo del cannone in lontananza ed i morsi della fame avevano fornito una misura.
Le pattuglie constatano la presenza di diversi cortili ed una discreta visibilità in direzione nord-est, non resta che ritornare a riferire.
Ciò che dissero e fecero i comandanti è certamente scolpito nella storia e nei rapporti ufficiali, difficile è immaginare lo stato d’animo dei Dragoni e dei Lancieri, in attesa, fermi sul posto in sella ai propri cavalli.
Qualcuno bisbiglia di aver visto in lontananza il nucleo di ricognizione che fa rientro al trotto, in ciascuno un respiro di sollievo, niente nemici, Pozzuolo è ancora sgombra, a questo pensiero un rivolo freddo sferza le guance di tutti, forse un presagio, forse un ritorno alla realtà, se il paese è libero dai nemici, la battaglia vi infurierà presto.
Gli elmetti lentamente si chinarono come sotto il peso di una mano poderosa, mentre dalle froge dei destrieri un vapore caldo usciva e si mischiava alla nebbia che andava aumentando di densità.
Lo spostamento verso Pozzuolo fu ordinato e rapido, due plotoni davanti, il grosso al centro ed i fianchi ben coperti da squadroni di guardia, a chiudere la colonna in marcia le salmeria ed un sottile nucleo di sicurezza che potesse reagire ad eventuali accerchiamenti.
Entrati nel paese, ordini cadenzati vennero ripetuti per acquartierare cavalli e uomini nei vari cortili, andava organizzata la difesa.
I singoli non riuscivano a comprendere in maniera chiara le ragioni di quello schieramento che tuttavia venne realizzato in maniera logica e meticolosa.
Le forme spezzate dei fabbricati e la nebbia non consentivano di apprezzare la mezzaluna creata al fine di contenere l’imminente onda d’urto avversaria, tuttavia la fiducia verso i comandanti era piena e consapevole, così come consapevole era la convinzione che in tanti sarebbero morti.
Le incombenze del cavaliere aiutano a superare il magone che precede la battaglia, il cavallo va accudito, controllato e lo stesso vale per sella e finimenti, si passa poi alle armi, oliate sistemate e rese pronte all’efficace impiego.
Il buio della notte giunse all’improvviso, niente fuochi per scaldarsi, la coperta sulle spalle, un po’ di pane e quella maledetta brodaglia preparata già dal mattino, fredda e amara come quella giornata di attesa.
Una notte senza stelle si prospettò per quelli che saranno di li a poche ore gli eroi di Pozzuolo, una pioggerella fine si alternava ad un vento teso da sud, aria umida, miasmi di escrementi umani e di cavallo si andavano condensando assieme, forse sarebbe stato il caso di farla finita e andare allo scontro, la memoria delle trincee sul Carso era viva nella mente di ciascuno, quando si dovettero abbandonare i cavalli, dopo la presa di Gorizia, restando in linea al pari dei fanti, perdendo le proprie peculiarità operative, cancellando la propria dignità di cavalieri.
Mentre i pensieri si addensavano e scomparivano tra un turno di guardia ed un finto riposo si affacciò la nuova alba, la riflessione cedette il posto all’azione in un quotidiano gravido di attese e di cattivi presagi; erano corse le prime indiscrezioni, due divisioni o più avevano percorso le valli dello Judrio e del Natisone, giunte sul Torre si preparavano a travolgere la bassa pianura.
Qualche bestemmia lasciò il posto alla rassegnazione e mentre si mangiava un po’ di pane si cercava di governare i cavalli.
Il suono cadenzato dei primi zoccoli dava l’idea che i nuclei da ricognizione fossero pronti, vedendoli partire una strana voglia di combattere colpì tutti, era giunto il momento.
Pochi minuti, forse poche ore, il tempo era compresso e dilatato, il capitano ordina:” a cavallooo” ed il cornetta ripete l’ordine, come in un eco tutto sembra prendere vita allo stesso modo, quella mano invisibile che piegò il capo il giorno prima stava rimestando l’aria stagnante del villaggio di Pozzuolo, lo squadrone, montato e pronto, muove in direzione nord o almeno così dice il sergente, non si vede lo Stendardo, l’unica cosa che si sente, sempre più vicina, è la Chera di morte che canta assieme alla mitragliatrice austriaca, la paura ha ceduto il posto alla follia, anche questa volta, forse per l’ultima volta, i cavalli allungano il trotto, non si è sentita la cornetta e nemmeno l’ordine, ma progressivamente il trotto diviene galoppo, la lancia in resta, i polsi fanno male, il blocco di plotone si sgrana, freddo fango alzato da quelli avanti spruzza sulla faccia, non c’è tempo per toglierlo, il galoppo è poco controllato, li vediamo, sono li fermi come macigni, la lancia oscilla, occorre tenerla salda e pronta per l’urto, con cosa non si sa, arrivano le prime raffiche, cadono cavalli e cavalieri, ma l’urto è buono, le mitragliatrici tacciono alcuni secondi, dal fianco sopraggiunge un altro plotone che investe gli avversari, si combatte, la giornata sarà lunga e la morte prima o poi arriverà.