26/03/2015 - Finora lo Yemen e i suoi protagonisti politici sono sempre riusciti a tirare la corda quel tanto che bastava per evitare la catastrofe, si riuscivano a fermare esattamente prima che succedesse l'irreparabile.

Questa volta pare che la corda si sia spezzata e abbia tirato in ballo un numero piuttosto nutrito di paesi arabi con i rispettivi caccia bombardieri che hanno tutte le intenzioni di non rimanere inutilizzati.

Sullo stato di incertezza che si viveva in Yemen l'Arabia Saudita alla fine ha preso l'iniziativa e alla mezzanotte di oggi ha bombardato alcune roccaforti della minoranza sciita che minacciava la città aeroportuale di Aden sede miracolata del governo - o di quello che ne resta.

Lo Yemen, per ragioni geografiche e storico-culturali, è un punto di interesse strategico per la vicina Arabia Saudita - a maggioranza sunnita - il paese è intrinsecamente un nuovo stato cuscinetto che permette alla petromonarchia di trovarsi sempre al riparo da instabilità sociali salvaguardando al contempo gli interessi economici e, in seconda istanza, evitando che attori esterni al paese possano danneggiarla facendo pressioni sul governo.

Un piano politicamente perfetto ma come ogni piano perfetto ha un "tallone d'Achille": la primavera araba a cui lo Yemen ha partecipato nel 2011 e che lo vedeva marciare convinto verso una nuova era di democrazia ha lasciato una lunga scia di dissesto sociale e focolai di malcontento.

L'eventuale democrazia yemenita potrebbe rovinare i piani del governo saudita che teme per i suoi interessi economici e sopratutto per la stabilità del suo regno: un vicino forte e indipendente rappresenterebbe una minaccia.

La monarchia saudita non si scompone e mette sul tavolo della politica regionale i suoi strumenti di influenza, in primis il denaro necessario ad evitare che le istituzioni yemenite piombino in un baratro senza ritorno.

A fine 2013 l’Arabia Saudita ha annunciato il congelamento dell’assistenza finanziaria destinata al paese usando l'instabilità politica a giustificazione di tale decisione. Tuttavia un occhio più attento potrebbe facilmente comprendere che tale decisione prende più le sembianze di un ricatto in grande stile che non di una preoccupazione reale per l'instabilità del paese.

Riyadh - non avendo il governo di Sana'a potere contrattuale tale da potersi imporre con un livello credibile di sovranità nazionale - gestisce la politica del suo vicino come un'appendice non troppo importante della sua politica nazionale rimanendo infastidita quando, nel dialogo per il processo di costruzione del nuovo governo di unità nazionale, viene interpellata anche la fazione sciita che fa capo alla Repubblica Islamica dell'Iran.

L’Iran si contrappone con veemenza allo strapotere saudita con il movimento sciita Al-Houthi, suo principale strumento di influenza nella zona.

Il movimento dal 2004 ha trovato sempre maggior legittimazione nella popolazione locale, iniziando un processo molto simile a quello di Hezbollah in Libano che lo ha portato oggi ad essere rappresentato da un partito politico coinvolto nelle vicende del paese: Ansar Allah.

Tale legittimazione fa tremare le certezze solide degli altri gruppi di potere del paese tra cui anche le influenze saudite.

La monarchia si è dimostrata ultrasensibile a ogni tentativo iraniano di indebolire la propria influenza nella regione. Per questo, non appena il movimento sciita ha quasi varcato la soglia dell'importantissima città di Aden, si è scatenato quello che si presenta come il preludio di una guerra regionale per procura particolarmente accesa.

Ogni possibile reale tentativo di stabilizzare l'area dipenderà sopratutto dalla volontà dei due colossi regionali. L'ottimismo lascia oggi spazio alle preoccupazioni di analisti ed esperti che vedono nella guerra quasi certa un baratro da cui lo Yemen potrebbe non rialzarsi.

Mentre l'Europa tace sorniona gli Stati Uniti si sono affrettati a sostenere l'Arabia Saudita con la promessa di supporto logistico e di intelligence, l'Egitto ha già inviato un numero imprecisato di navi da guerra nel Golfo di Aden e ha promesso che se ve ne fosse necessità sarebbe pronto all'invio di truppe di terra; in ultima analisi la Turchia, oltre ad aver efficacemente sfruttato i suoi bombardieri, ha inviato truppe ben armate al confine saudita con lo Yemen dove si stanno schierando truppe di ogni nazionalità appartenenti al panorama politico musulmano.

Pare che la guerra sia iniziata, almeno a tavolino

La cronica instabilità, unita al governo centrale debole e alle perenni faide di tipo tribale, hanno nutrito voracemente organizzazioni terroristiche come Al-Qaeda della Penisola Araba ( AQAP ), mandante delle stragi del 9 gennaio in Francia, e sicuramente vi è sufficiente spazio per le bandiere nere dell'IS: una vetrina per il terrorismo ghiotta a molti e che trova terreno fertile in tutti quei soggetti che sono rimasti delusi dal governo yemenita e dalla sua politica fantasma.

Una guerra sicuramente non gioverebbe a nessuno, andando ad aggravare la già precaria situazione della popolazione che si è vista usare come scudo umano da una o dall'altra parte.

L'organizzazione internazionale Intersos, ricorda che la situazione per i civili era già molto critica prima che i sauditi decidessero di armare i caccia, il futuro non può certo migliorare.

Quella che si sta consumando in Yemen è anche una guerra per la leadership dell’universo jihadista in atto, su scala regionale, tra lo Stato islamico di Abu Bakr al-Baghdadi e le filiere qaediste legate ad Ayman al-Zawahiri.

Lo Stato islamico rivendica la responsabilità per gli attacchi suicidi nelle moschee frequentate da Houthi a Sana’a, mentre Al Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP) si è affrettata a negare qualsiasi coinvolgimento con gli attentati rimanendo fedele alle linee guida emanate dallo sceicco Al Zawahiri.

Tali orientamenti sconsigliano attacchi “alle moschee, mercati e luoghi pubblici per evitare morti di musulmani innocenti, e danno priorità agli interessi preminenti”, secondo la traduzione del messaggio di AQAP, lo Stato islamico e i suoi seguaci hanno respinto l’approccio di Zawahiri, e portano avanti attacchi indiscriminati contro i civili.

L’ascesa di Al-Qaeda è stata favorita dalla presenza di diversi imam sunniti simpatizzanti per Osama Bin Laden e dal fatto che lo Yemen presenta indiscussi vantaggi strategici e geografici.

La preoccupazione principale è quella di una somalizzazione dello Yemen

Come è noto la Somalia vive in uno stato di guerra civile praticamente dagli anni '70. Da allora intere generazioni non hanno visto con i loro occhi la pace. L'economia somala, da florida e ben avviata, si è ridotta ad un misero crocevia di contrabbandieri di ogni sorta. Chi non è diventato profugo in qualche campo allestito alla meglio è rimasto a fare da ostaggio ad una guerra che o si combatte oppure si perde.

La preoccupazione principale per lo Yemen è proprio quella di diventare una seconda Somalia, ma questa volta alla mercé non solo di terroristi e contrabbandieri ma anche di due stati a combattere una guerra da cui hanno solo da guadagnare. 

Per l'Occidente probabilmente lo Yemen sarà un nuovo “Stato fallito” nel cuore del sistema geopolitico delle petromonarchie del Golfo dove si annida una delle branche più pericolose di al Qaeda che giura di voler portare la jihad nel cuore dell'Europa. Per noi, che tra guerra e politica abbiamo fatto giornata, è una dei pochi conflitti che forse - con un po' di impegno - si potevamo caldamente evitare.

L'arrivo della primavere per il popolo yemenita profuma di ciliegi e guerra.

Denise Serangelo

(in apertura fotogramma CBS)