23/03/2015 - L’assenza di una politica europea di cooperazione e di assistenza a seguito delle c.d. “primavere arabe”, l’incapacità di gestire gli effetti del dopo Gheddafi in Libia, riguardo al blocco delle partenze dei migranti via mare, attualmente gestite in gran parte dall’ISIS e dalla criminalità organizzata transnazionale, il dramma del genocidio in Iraq ed in Siria da parte dell’ISIS, stanno avviando nel nostro Paese un numero sempre crescente di persone in fuga da guerre e povertà.

Nel 2008 sono arrivati sulle coste italiane 36.951 migranti. Successivamente nel 2011, anno delle c.d. “primavere arabe” sono sbarcati 65.000 clandestini. L’Operazione Mare Nostrum nel 2014 ha registato 170.000 arrivi. Quest’anno al 18 marzo sono arrivati oltre 9.277 migranti, quasi il doppio rispetto allo stesso periodo del 2014. L’emergenza migratoria, quindi, sta assumendo dimensioni di straordinaria portata: l’Italia non è più in grado da sola di sostenere i costi (9 milioni al mese) dell’Operazione Mare Nostrum che ha soccorso le imbarcazioni fin nelle acque territoriali libiche. L’operarazione Triton (sotto l’egida della Agenzia europea Frontex) avrà una missione di semplice sorveglianza delle frontiere e non si spingerà oltre le 30 miglia marine. Rimane l’obbligo di soccorso nelle ipotesi di pericolo di vite umane, come sancito dalla normativa vigente. L’arrivo via mare in Italia di clandestini non costituisce solo una minaccia all’ordine pubblico, nei casi di rifiuto di farsi identificare, ma costituisce anche una concreta possibilità che possano infiltrarsi terroristi addestrati a compiere attentati, i c.d. foreign fighters.

Al fine di analizzare tali aspetti dal punto di vista giuridico, la prof. Elda Turco Bulgheriniordinario di diritto della navigazione università di Roma Tor Vergata nonché presidente della sezione romana dell’AIDIM, Associazione Italiana di Diritto Marittimo, ha organizzato un incontro svoltosi il 20 marzo presso la sede Confitarma, tra rappresentanti di enti pubblici e privati che sono coinvolti a vario titolo nelle cosiddette Operazioni SAR (Search and Rescue) nel Mediterraneo. La prof. Turco Bulgherini ha illustrato il quadro normativo facendo riferimento alle norme di diritto interno: il codice della navigazione che prevede l’obbligo del soccorso nei limiti in cui non si metta a repentaglio la sicurezza della nave soccorritrice; le convenzioni internazionali: la Solas di Londra del 1974 sulla salvaguardia della vita umana in mare, la Sar di Amburgo del 1979 sulla ricerca ed il salvataggio, la Convenzione di Montego Bay del 1982 sul diritto internazionale del mare, la Salvage di Londra del 1989, nonché, per ultimo, il reg. (UE) 656/2014 che stabilisce le norme per la sorveglianza delle frontiere marittime esterne. Viene ricordato il contenzioso con Malta che rivendica una zona SAR che si sovrappone in parte a quella italiana e lambisce quella tunisina.

Il prof. Umberto Leanza, consulente per il servizio del contenzioso del Ministero degli Affari Esteri, ha svolto un breve excursus sulle normative internazionali che regolano la salvaguardia della vita umana in mare, codificate in 4 Convenzioni internazionali, che fissano per gli Stati due obblighi fondamentali: prestare assistenza in mare e ricerca e salvataggio. Sono obblighi di diligenza e non di risultato. In ogni caso, occorre utilizzare sempre risorse pubbliche e ricorrere a quelle private in casi di evidente carenza di mezzi dello Stato.

L’ammiraglio Giuseppe De Giorgicapo di Stato Maggiore della Marina Militare, ha ricordato che i compiti istituzionali della Marina Militare sono quelli della vigilanza in mare e in alto mare assieme a quelli della prevenzione. La realtà operativa ha dimostrato che l’efficace risposta alle emergenze contingenti deve essere ricercata in un approccio trasversale-intersettoriale (il c.d. cross sectoral approach) basato sulla suddivisione degli spazi marittimi in un’ottica di coordinamento e sinergia di tutti gli assetti operanti in mare. Di fatto, oggi il soccorso in mare è diventato un soccorso di massa a cui si aggiungono i gravi pericoli rappresentati dalle organizzazioni criminali che gestiscono questi viaggi della disperazione. Ha inoltre evidenziato la complementarietà operativa tra le due componenti: la Capitaneria di Porto rivolta verso il soccorso e la vigilanza nelle attività marittime costiere e la Marina Militare che è la parte armata, con settori di competenza che spaziano dalla salvaguardia dalle minacce di spazi marittimi internazionali, compreso il contrasto alla pirateria “una delle poche leve che abbiamo per contrastare il fenomeno della migrazione e della reazione armata di uomini su imbarcazioni civili”, al concorso al contrasto del traffico di sostanze stupefacenti, al servizio di rifornimento idrico nelle isole minori, a quello di vigilanza sulle attività marittime ed economiche, compresa quella di pesca.

L’ammiraglio (CP) Felicio Angrisanocomandante ispettore capo del corpo delle Capitanerie di Porto, ha ricordato che dal 1991 ad oggi, la Guardia costiera ha soccorso e tratto in salvo oltre 470.000 migranti in fuga da condizioni di vita inaccettabili, tanto da essere disposte ad affrontare il mare su imbarcazioni fatiscenti, mettendo a rischio la propria vita e quella dei propri familiari. Tale funzione viene assolta in ossequio agli obblighi internazionali che pone in capo all’Autorità nazionale SAR la responsabilità della salvaguardia della vita umana in mare in un’aerea estesa per oltre 500.000 km/q, all’interno della quale il Corpo delle Capitanerie di Porto assolve alla funzione di coordinamento tecnico-operativo dell’organizzazione nazionale preposta alla ricerca ed al soccorso. Tale funzione può anche essere esercitata in aree geografiche lontane attraverso la Centrale operativa di Roma del Comando Generale delle Capitanerie di Porto.

Il generale di brigata Stefano ScrepantiCapo III Reparto Operazioni Comando Generale della Guardia di Finanza, ha ricordato che la tutela della vita umana in mare è la priorità anche nelle azioni di contrasto ai traffici illeciti svolte nel mare territoriale, nella zona contigua e nelle acque internazionali dalla Guardia di Finanza, sottolineando come “la stessa operazione di polizia, quando assume profili di pericolosità, diventa un operazione di soccorso”. In presenza di pericolo per il natante e per le persone a bordo, l’attività di polizia cessa e partono immediatamente le operazioni di soccorso, come ad esempio quando un peschereccio con trenta tonnellate di hashish a bordo è stato dato alle fiamme dall’equipaggio stesso e i finanzieri hanno tratto in salvataggio gli uomini dell’equipaggio che si erano buttati a mare, trasformando cosi la loro operazione da contrasto allo spaccio di sostanze stupefacenti a operazione di Search and Rescue. Anche nelle operazioni di contrasto all’immigrazione clandestina la salvaguardia della vita è un obiettivo centrale, come prescritto dal Regolamento europeo 656 del 15 maggio 2014 che disciplina la cooperazione per la sorveglianza della frontiera marittima svolta sotto l’egida di Frontex, sia dal piano operativo dell’operazione “Triton”, che ha, nella sede della Guardia di Finanza di Pratica di Mare, il proprio Centro di Coordinamento Internazionale. In questo scenario, è necessario mettere in atto ogni soluzione operativa che, durante le azioni in mare, possa supportare, senza interferire sulle prioritarie attività di recupero e soccorso dei migranti, l’acquisizione di elementi utili per avviare tempestivi approfondimenti investigativi e d’intelligence, per risalire ai sostenitori del traffico, alle basi logistiche, ai canali di approvvigionamento dei mezzi strumentali impiegati dai trafficanti di esseri umani. Per queste finalità, la Guardia di Finanza fonda la propria azione sulla massima integrazione fra dispositivo aeronavale e organizzazione operativa ed investigativa sul territorio, che consente il tempestivo raccordo con le Autorità Giudiziarie competenti ed il rapido avvio delle indagini necessarie, nonché la celere attivazione dei canali di cooperazione internazionale di polizia.

Il ministro plenipotenziario Marco Del Panta, direttore centrale per le politiche migratorie Ministero degli Affari Esteri, ha sottolineato che il ministero svolge un ruolo politico e diplomatico con accordi internazionali o bilaterali anche nel campo della migrazione. A proposito della Libia, ha ricordato che purtroppo oggi è impossibile intavolare qualsiasi dialogo sui problemi della migrazione, perché manca un reale interlocutore. In questo contesto e nell’impossibilità di operare respingimenti sulla sponda libica, il Governo italiano, durante il semestre di presidenza dell’UE, ha lanciato con la Commissione UE e in sinergia con l’Unione Africana, una conferenza regionale che mira a rafforzare le relazioni tra Stati UE e gli Stati del Corno d’Africa, nonché i principali Stati di transito del Mediterraneo (Libia ed Egitto) in tema di traffico di esseri umani. Questa iniziativa denominata “Processo di Khartoum”, che riguarda l’area dell’Africa Orientale, si completa con il “Processo di Rabat” avviato con i paesi dell’Africa Occidentale e finalizzato alla gestione del flussi migratori nel rispetto dei diritti umani. Scopo primario è potenziare i partenariati con i paesi africani di origine e di transito e su questo c’è il pieno consenso degli Stati dell’UE e di quelli africani, pur nella consapevolezza della fragilità dei sistemi politici di tali paesi. Tali strumenti di relazioni diplomatiche, condivisi con il Ministero dell’Interno, hanno segnato una svolta nelle politiche migratorie della UE.

Il dott. Giovanni Pinto, direttore reggente della direzione centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere - dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, ha focalizzato il suo intervento spiegando l’Operazione Triton, sottolineando che “non aveva mai avuto l’intenzione di risolvere l’immigrazione clandestina, ma che ha rappresentato semplicemente un tentativo di coinvolgere l’Europa che non partecipava più ad alcun tipo di operazione”. Il dott. Pinto ha poi illustrato lo scenario in cui opera il Ministero dell’Interno, e quali sono stati gli obiettivi raggiunti, come ad esempio con i flussi provenienti dalla Turchia e dall’Egitto, che al momento si sono fermati grazie a sinergie e dialoghi con quegli stati. Ha poi spiegato che Triton “è una cosa ben diversa da un’operazione di un’istituzione nazionale. Mare Nostrum era la Marina Militare, mentre Triton è un’operazione di Frontex, che è l’agenzia per il coordinamento operativo dei controlli alle frontiere esterne all’Unione Europea, che non ha nessuna finalità di Serch and Rescue” sottolineando che “stiamo affrontando un tema epocale con strumenti ordinari. Non è più possibile gestire situazioni di questo genere con lo strumentario giuridico, normativo, relazionale e organizzativo a nostra disposizione. Occorre fare un passo avanti per trovare nuove soluzioni”.

Anche il prefetto Carmine Valente, direttore centrale dei servizi civili per l’immigrazione e l’asilo, ha sottolineato le gravi difficoltà che il nostro Paese deve affrontare per gestire l’accoglienza di così tanti profughi, molti dei quali richiedono il riconoscimento del diritto d’asilo attraverso procedure che risentono di lentezze di tipo burocratico e giudiziario, con la conseguenza che si allungano molto i tempi della loro permanenza in Italia, a carico delle strutture di accoglienza.

Mario Mattioli, membro del Consiglio di Confitarma, ha ricordato che la Confederazione ha fatto presente ai più alti livelli istituzionali (Presidenza del Consiglio dei Ministri, tutti i Ministeri interessati, COCIIST e CISM) che, in assenza di un chiaro coordinamento istituzionale, l’emergenza Libia non può essere gestita attraverso la continua e, quindi, non straordinaria, chiamata delle navi mercantili presenti nell’area: nel corso del 2014, quasi 900 navi mercantili sono state chiamate in soccorso dei migranti. Di queste, più di 250 unità hanno imbarcato circa 42.000 migranti su un totale di 170.000 salvati.

A testimonianza della difficile situazione degli armatori che operano nelle acque del Mediterraneo, Mario Mattioli ha messo in evidenza come la sua compagnia nel solo anno 2014 è stata chiamata a compiere 59 viaggi di salvataggio di migranti con evidenti ripercussioni sulle condizioni igienico-sanitarie ed evidenti problemi di stress degli equipaggi. Basti pensare agli oltre 1.050 profughi imbarcati su un unico supply vessel, dotato di un equipaggio di sole 10 persone. Il dottor Mattioli ha spiegato la situazione di grande disagio commerciale ed economico in cui spesso si trova la sua flotta, le sue navi, imbarcazioni civili, nelle operazioni di salvataggio. Spesso equipaggi di dodici uomini si trovano ad assistere fino a 1300 migranti, con pericolo per l’equipaggio stesso, in quanto non sono attrezzati per situazioni del genere. Spesso la loro rotta è stata deviata verso altra destinazione da quella prevista, sono stati addirittura chiamati per andare a soccorrere fino a 4 miglia dalla costa libica, il che ha comportato ritardo nella consegna della merce e disagio per l’equipaggio, non sono navi attrezzate per dare un’adeguata assistenza ai migranti, che spesso si trovano a stare a bordo fino a tre giorni, senza un medico, senza coperte, senza acqua. Problematiche di aspetto economico e di sicurezza, anche per gli equipaggi delle piattaforme petrolifere a cui loro devono garantire assistenza, rimarcando che “il problema che noi abbiamo riscontrato nel trasferire quanto più vicino alla costa libica i “confini territoriali italiani” ha creato delle complicazioni e un aumento dei flussi, e - ha aggiunto il dott. Mattioli – non è pensabile che una struttura civile possa fronteggiare un disastro di queste dimensioni”.

Una tavola rotonda quindi che ha dato un vasto panorama di opinioni e delucidazioni sulle operazioni in corso e su quali sono le esigenze nei vari settori.