"La ricetta del maitre"

(di gen. Lenzini Villi)
11/06/14

L’attività addestrativa era molto intensa ma nonostante ciò raggiungere i 150 giorni di sacco a pelo nell’anno solare (discriminante burocratica inventata per distinguere gli aventi diritto all’indennità operativa dagli altri) non era poi così facile: furono così inventati i Campi d’Arma.

Si trattava di trascorrere 2 o 3 settimane in una località idonea al programma da svolgere, normalmente un poligono, accampati in modo stabile e confortevole (per il possibile) dove poter svolgere in modo intensivo addestramento di fanteria e di specialità, marce d’irradiamento, attività alpinistiche od altro senza il sovrappeso della routine di caserma; se il periodo era invernale, appoggiandosi ad una delle basi qua e là presenti allora lungo l’arco alpino e sviluppare le capacità di sopravvivenza negli igloo,nelle trune o nelle tane di volpe.

Si potevano condurre i corsi sci di massa per perfezionare le capacità di movimento su terreno innevato o migliorare l’addestramento della truppa in ambiente particolarmente rigido o la preparazione specifica per i Ca.STA. - i campionati sciistici delle truppe alpine - a cui allora tutti, e dico tutti, dovevano partecipare in forma individuale o al comando di un plotone.

Fu proprio durante uno di questi Campi d’Arma a Ponticello di Braies (BZ) che si svolsero i fatti simpaticamente ricordati da queste righe.

Il sole di un mezzodì di fine agosto batteva implacabile sulle tende dell’accampamento e sui sassi bianchi del rio che, raccolti i rivoli dalla Croda del Becco da un lato e Prato Piazza dall’altro, attraverso la valle di Braies porta le sue acque nel torrente Rienza e poi giù giù sino ad incontrare l’Isarco a Fortezza, vicino a Bressanone.

Un luogo idilliaco da sempre per gli appassionati delle Dolomiti come lo fu, ad esempio, per il Kaiser Francesco Giuseppe che, protetto da un reggimento di Kaiserjager di stanza a Innichen (attuale San Candido), si fece costruire una villa di caccia proprio nelle vicinanze, a Ferrara di Braies, oggi trasformato in uno splendido resort per amanti del silenzio e della tranquillità.

Gli alpini, terminata l’attività antimeridiana attendevano, gavetta alla mano, la distribuzione del rancio quando il silenzio fu rotto dal rumore di un grosso fuoristrada targato Napoli.. carico di turisti, provenienti proprio dall’albergo di Ferrara di Braies allora ai primi albori della sua notorietà.

Erano queste due famiglie in vacanza: mariti, mogli e alcuni figli, tutti stipati in un grosso Range Rover che da solo, indicava trattarsi di persone benestanti o di alto livello, alla vana ricerca di un luogo da pic nic.

Il piantone li fermò all’ingresso dell’accampamento, pregandoli di non insistere: il passaggio era interdetto.

Interdetto da chi?

disse il guidatore (poi riconosciuto per un professore di matematica dell’Università partenopea)

Nui simme turisti e vulimme fa u picche-nicche

continuò una signora di mezza età truccatissima e ingioiellata come dovesse andare alla Scala.

Attendete, chiedo al Capitano cosa si può fare

rispose il piantone.

Fu così che me li trovai tutti davanti alla tenda perché, scesi dalla macchina avevano seguito il povero alpino incuranti delle sue proteste.

Signori ma non si può… aspettate… signori per cortesia… entrare in un accampamento militare è vietato… mi puniranno..

No, no che non ti puniranno - disse il secondo uomo, anch’egli professore ma di fisica, della stessa Università e cognato del primo - Ci parlo io con il Capitano, io ho fatto il caporale al 59°reggimento fanteria “Napoli” e adesso glielo dico!!

No, No!! - ribatté l’alpino - Altrimenti mi punisce due volte; una perché vi ho fatto passare e la seconda perché ho fatto entrare uno di fanteria ‘’buffa’’!!!

Ora erano tutti li, davanti a me, il piantone balbettante:

Signor Capitano, io non volevo ma questi signori desidererebbero …

La seconda signora in uno slancio di coraggio ed in equilibrio precario sui tacchi di un paio di scarpe buone solo per una passeggiata in Piazza del Plebiscito..

Signor Capitano volevamo solo fare un pic nic in riva al fiume, sa è una così bella giornata…

Non sapevo se ridere o stare serio, scelsi istintivamente, per educazione, questa seconda soluzione.

Signori, mi permetto di sottolineare che vestiti così, qui non si va da nessuna parte, rischiate di farvi del male solo a camminare sul greto del fiume; non siete i primi che dobbiamo soccorrere perché imprudentemente affrontano la montagna con leggerezza.

Il mio tono era deciso e intransigente quanto bastò perché la comitiva abbozzasse un saluto di commiato.

Arrivederla... peccato ci tenevamo tanto a mangiare all’aria aperta… sa a Napoli lo smog ci assilla, poi mia moglie aveva portato da casa per l’occasione una bella pastiera.

sottolineò il professore di matematica.

Sono sempre stato un golosone e la parola “pastiera” ebbe su di me un effetto quasi miorilassante.

Aspettate - dissi - se vi va posso invitarvi qui sotto la tenda; ci si accontenta di quello che c’è… ma è quasi un pic nic, poi magari ci mangiamo la pastiera…

Un coro di ‘’sì, sì, sì’’ accolse le mie parole e ci trovammo così attorno al tavolo della tenda mensa in perfetta allegria.

Il menù era il solito: pastasciutta al sugo, bistecca e come contorno melanzane che il cuoco, in uno slancio di generosità, aveva fatto “alla parmigiana” (o così almeno diceva lui che non se ne intendeva).

No, non è un errore tipografico; non se ne intendeva proprio perché di cuochi, o presunti tali, in compagnia non ne avevo e Stefano, il sergente maggiore comandante del plotone comando, si era arrangiato alla meglio scegliendo un meccanico che aveva la mamma cuoca in un albergo trentino.

Alle sue rimostranze la risposta fu: ‘’La cucina campale a gasolio ha bisogno, per funzionare, di un meccanico e tu sei meccanico; quando la cucina funziona bene, tu fai come avrai sentito dire dalla mamma: scaldi l’acqua, metti il sale, butti la pasta e il gioco è fatto. Per il resto domani ti mando in cucina truppa per un corso accelerato di due giorni e poi si parte’’.

E così fu. I rigatoni arrivarono fumanti sul tavolo, per le signore, mentre, i mariti, i figli ed io, ci mettemmo in fila come d’uso tra gli alpini, per ultimi, poi ci sedemmo. La pasta era buona ma non eccellente; non dissi nulla mentre versavo nei gavettini il vino nero della ditta che forniva l’Esercito di un beverone scuro, sempre lo stesso da anni ma a cui cambiava trimestralmente l’etichetta con nomi assurdi che non tradivano la provenienza chimica del prodotto (quel giorno servii ”Lambrusco del Trentino” me lo ricordo benissimo).

Le signore, a cui l’aria frizzantina della valle aveva di sicuro stuzzicato l’appetito, si avventarono sui rigatoni e con mia grande sorpresa iniziarono una lunga sequela di lodi sulla qualità e la cottura perfetta dei “maccaruni” ma, soprattutto, sulla squisitezza del sugo per loro di livello assolutamente superiore per gusto e sapore, profumo eccellente degno sicuramente di uno chef della cucina italiana; migliore certamente di quello dell’albergo; tanto buono che”nemmeno mamma mia lo fa accussì’’ - disse la prima - ‘’No! Non lo fa accussì buono nemmeno Peppino o’ pastaro giù a Posillipo’’ aggiunse la seconda pulendo accuratamente il piatto del bis con la mollica del pane.

Le lodi continuarono anche quando arrivarono le melanzane: ‘’sublimi’’ per il gusto dei miei commensali. Io pensavo al mio pseudo cuoco, là dietro alle tende, alle prese con la cucina campale.

Comandante – dissero le signore - lei ci deve assolutamente fornire la ricetta ma, soprattutto, vogliamo parlare con il cuoco per conoscere il segreto di questo saporino assolutamente squisito del sugo e della parmigiana; un tocco irripetibile di grande cucina.

La mia preoccupazione aumentava; tergiversai un po’ ma alle due signore si aggiunsero le insistenze dei mariti coinvolti loro malgrado nella diatriba.

Su Gennarì, diglielo anche tu al Capitano che vulimme parlà o’ chef

disse la super truccata.

Uè, Totò spiegalo al Capitano che poi a Napule facimme un figurone co’ la pasta degli Alpini

ribatteva la seconda sempre in equilibrio precario sui tacchi.

Cedetti alle insistenze guardando i volti dei due mariti da cui traspariva una silenziosa richiesta di pietà e aiuto, una sorta di mutuo soccorso fra maschi affinché la tortura finisse.

Venite - dissi - ma preparatevi a qualunque sorpresa; siete pronti?

Sì, sì, sì - esclamarono felici la signore animate da rinnovato ardore culinario - Andiamo dal cuoco e torneremo dalle nostre amiche a Napoli con un segreto imbattibile. Vero Capitano che il cuoco ce lo dice il segreto?

Mah… vedremo, penso di sì, credo di saperlo anch’io il segreto che la pasta la mangio ormai da settimane!

Avevamo raggiunto la cucina campale sistemata sotto un telone, dietro ad un ACM 52 il mezzo standard, per oltre un ventennio, delle attività logistiche degli alpini. La scena è comprensibile a pieno solo da chi ha fatto il soldato in quegli anni.

Accanto alla campale unta e bisunta dagli spruzzi del gasolio malamente trattenuto dalle guarnizioni sempre più vecchie ed inefficienti, un ragazzotto con la tuta blu da meccanico (perché tale era) evidenziava la sua ‘’valenza’’ come cuoco attraverso numerosissime ‘’decorazioni’’ di sugo su un grembiule, un volta bianco, ma che ora - utilizzato troppo spesso come pulisci-asciuga- mani - aveva perso tutto il suo candore in favore di un grigio rossastro che sapeva di concentrato di pomodoro San Marzano, olio da cucina, dado da brodo e, per non farsi mancare nulla, anche di gasolio (elemento onnipresente intorno alle cucine campali sino all’avvento dei bruciatori a gas ed avviamento elettrico attualmente in uso). In testa il berretto norvegese - o ”stupida” per gli addetti ai lavori - aveva perso, sul davanti, il colore verde oliva e l’aquila si confondeva con il nero proveniente dalla fuliggine che il camino emanava copiosamente.

Più in là, lungo il fiume, alcuni alpini evidentemente in punizione, stavano già lavando le pentole passando sul fondo la sabbia del torrente; ottimo detergente in assenza dei più titolati detersivi per stoviglie che venivano forniti con il contagocce ed usati solo per le occasioni speciali.

Ecco signore. - dissi - Se volete prendere appunti, questo è il momento buono; vi detterò la ricetta della pasta ‘’all’alpina’’ che vi è piaciuta tanto. Prendete una pentola di alluminio piuttosto grande, non importa se pulita bene basta una sciacquata, così rimane un po’ di grasso del giorno prima che non guasta.

Le signore ed i mariti mi guardavano perplessi; ‘’forse è uno scherzo’’ si leggeva nei loro occhi…

Poi - continuai - Mettete a bollire l’acqua, quella del fiume, ma va bene anche quella del rubinetto di Napoli…. A parte, con olio e aglio, in una teglia fate soffriggere carote, sedano e cipolle in quantità a caso, come viene, oppure quanto ce n’è in casa…… Mi raccomando nulla da frigorifero: è bene che le verdure siano appassite sul cassone del camion o sotto la tenda e vecchie di 2 o 3 giorni (la frequenza dei rifornimenti dal battaglione); per voi basta che le teniate sul balcone di casa, così risultano ben ‘’frollate’’ come la carne macinata che aggiungerete quando sentite un po’ di puzza di bruciato…. Non vi preoccupate sono le cipolle le prime a dar segni di cottura…

Le aspiranti cuoche erano ormai stralunate: la bocca semi aperta emetteva piccoli suoni comprensibili solo ai mariti che, abbracciatele sulle spalle le consolavano:

Dai Ninuccia, il Capitano scherza, vero capitano?

Mai stato più serio in vita mia - risposi - avete chiesto la ricetta e io la ricetta vi do; compresi i segreti di cucina che vedremo più avanti - e continuai.

Sfumate il tutto con del vino, ma non vino buono, compratelo al supermercato, quello che costa meno e fatto con le polverine, vedrete come sfuma subito è tutto alcool… Bene buttate 2 o 3 scatole di pelati e strizzate il tubo della conserva, lasciate andare il sugo mescolandolo con un rametto di qualche cosa, sceglietelo in casa tra il rosmarino o l‘ulivo non benedetto avanzato l’anno prima. Nel nostro caso, come vedete, il cuoco ha scelto per comodità, poiché cresce vicino alla tenda, un ramo di salice ma va bene tutto, credete, anche un bel cucchiaio da cucina che però qui non c’è: è rimasto in caserma o si è perso nel fiume; ma fidatevi, con il bollore, tutto rilascia sempre un buon sapore.

Le signore erano sedute sulle pietre ormai prive di parole: si facevano aria con due ventagli, provvido acquisto forse della loro ultima vacanza in Spagna. Il professore di fisica, più a suo agio con gli esperimenti, cercava di consolarle ricordando come tutto ciò che bolle o comunque supera gli 80 gradi, può considerarsi sterilizzato e quindi commestibile: parola di professore! La lavanda gastrica era quindi scongiurata. Il professore di matematica in rinforzo sottolineava:

Carmelina, ma guarda questi alpini come sono belli, rosei e pimpanti; se mangiassero male……

Attenzione>> - dissi con voce stentorea - Fin qui nulla di strano, ora vi rivelerò i due segreti che fanno della nostra pastasciutta la pasta più buona del mondo.

Avevo catturato la loro attenzione e questo mi bastava.

Come sanno benissimo le nostre signore il sugo merita qualche sapore in più e l’alloro è la morte sua. Ma l’alloro non ce lo danno mai quindi, al mattino, mandiamo un piantone nel primo villaggio vicino all’accampamento. Meta: il monumento ai Caduti. Tutti i paesi hanno un monumento ai Caduti e sotto ad appassire al sole c’è sempre una bella corona di alloro tacita insegna dell’ultima cerimonia. Bene ecco la miniera di alloro per la nostra cucina: un rametto ogni mattina ed il gioco è fatto!!. Questo è il primo segreto.

Mai silenzio fu più tombale quanto significativo.

Ma adesso viene il bello signori e signore; il secondo e ultimo segreto riguarda quel ‘’saporino’’ tra il dolce e l’ amarognolo, tra il salato e il piccante, quell’indecifrabile non so che, che fa della nostra pastasciutta la più buona del mondo, come le signore hanno avuto modo di degustare. Ebbene la nostra spezia nascosta ed esclusiva, eccola qua - ed indicai il pentolone pieno d’acqua con cui si doveva fare il minestrone della sera.

Vedete, guardate bene cosa galleggia sull’acqua! Quei puntini neri qua e là, un po’ iridescenti; quello è il nostro vero segreto. Come avrete visto nessuna delle nostre pentole ha il coperchio, guai a mettere il coperchio il sapore sarebbe diverso - uguale a tutti gli altri – ma senza coperchio… - e indicai il camino della campale che emanava un fumo nero densissimo e ricco di caligine che, uscita dal tubo, si depositava nelle pentole… - sopra il sugo, nell’acqua della minestra e stasera anche nel minestrone e sulle bistecche. Il quartetto partenopeo guardava il meccanico-cuoco abbarbicato sulla cucina che stava gettando nell’acqua tiepida le verdure per il minestrone rimestandole con un grosso ramo scortecciato, gli occhi sbarrati, il fiato sospeso, la gola arsa..

Capitano..ma capitano, non può essere vero quello che dice!!

In quel preciso istante un colpo di vento fece cadere ‘’la stupida’’ unta del cuoco nell’acqua del minestrone e lui, imperterrito, la raccolse, la strizzò sul pentolone, se la rimise in testa e proseguì versando nella ‘’preparazione’’ una grande manciata di sale.

Tutto vero, tutto vero. Se non ci credete venite anche stasera alle 18.00 e sentirete che minestrone: da far resuscitare i morti - commentai - Andiamo che forse è pronto un po’ di caffè, magari corretto.

Le signore a questo punto con un guizzo d’orgoglio dissero all’unisono

U cafè no, u cafè lo facimme nuialtre che tenimme la moka e la miscela portata da Napule

E fecero il caffè: il caffè più buono della mia vita; lo ricordo ancora, come ricordo con piacere tutte le loro visite successive all’accampamento. Comperavano le melanzane al mercato e si presentavano al mattino dal piantone consegnando la cassetta della verdura.

Dite al capitano che oggi ci siamo anche noi e mi raccomando la parmigiana per tutti e doppia razione di pasta!!!

(Racconto, gentilmente concesso dall'autore, tratto dal libro "49 sfumature in grigioverde" edito da Aviani & Aviani)