Il sistema solare, la risorsa del futuro (4/4): considerazioni etico-psicologiche sull’esplorazione umana dello spazio

(di Carlo Campanile)
08/11/23

È ormai diffusa la consapevolezza che lo sviluppo degli esseri umani è destinato ad uscire dalla culla della Terra e che la continua espansione della civiltà comporta un crescente consumo di enormi risorse. Dopo la Luna, gli asteroidi sono diventati il principale obiettivo di sviluppo e di potenziale utilizzo delle risorse spaziali, che costituiranno necessariamente la fonte strategica per l’evoluzione dei futuri esseri umani.

L’esplorazione robotica, con particolare riguardo a quella lunare e verso gli asteroidi, costituirà nel prossimo futuro un’opportunità di arricchimento sia dal punto di vista della Space Economy sia dell’approvvigionamento di materiali.

Diverse sono le considerazioni afferenti all’esplorazione umana, in particolare verso Marte e per cui si rende necessaria una profonda riflessione preventiva di tipo etico. A tal fine è necessario ben ponderare le implicazioni che, a livello psicologico, implicano il viaggio, la permanenza - trascorrono 780 giorni, ovvero circa 2 anni e 2 mesi, fra due finestre di lancio di minima energia Terra-Marte-Terra - e l’eventuale rientro di personale da Marte.

Non meno importanti sono da considerare i rischi comportamentali legati alla vita a bordo delle navi generazionali ipotizzate per l’esplorazione e la colonizzazione di nuovi mondi.

Al momento, in base alle capacità tecnologiche disponibili, la durata media stimata del viaggio verso Marte è di circa 9 mesi, considerando i veicoli spaziali senza pilota lanciati fino ad oggi che hanno impiegato tra i 128 e i 333 giorni per raggiungere Marte. Per un viaggio di tale durata è evidente che, sulla base di indagini psicologiche condotte, nonché esperimenti sulla ISS in condizioni di microgravità, occorrerà prevedere opportuni ambienti in cui il personale possa prendersi cura del proprio stato psicologico.

Una delle tecniche più efficaci sperimentate finora riguarda la coltivazione delle piante. Questo ha un impatto positivo per più ordini di motivi: il primo, di carattere più pratico, per creare in loco cibo fresco e nutriente da consumare durante il corso delle missioni di media/lunga durata ed interplanetarie. Inoltre la fotosintesi, processo mediante il quale le piante convertono la luce in energia, potrà garantire all’equipaggio a bordo anche il beneficio di produrre ossigeno, principale sottoprodotto delle reazioni chimiche in gioco. In particolare, le sostanze nutritive necessarie allo sviluppo e sopravvivenza delle piante, principalmente azoto e acqua, potrebbero essere estratte tramite processi di riciclo e separazione dell’urina, di cui Uriniss è il progetto pilota.

Un render di una serra all’interno del StarLab Outpost, un secondo stadio di un razzo ricon- vertito in laboratorio spaziale. Credits: Nanoracks / Mack Crawford

Un secondo aspetto è correlato all’equilibrio psico-fisico dell’individuo, infatti, per un essere umano avere l’impegno quotidiano di prendersi cura di una forma di vita che cresce e si sviluppa, risulta un valido sostegno alla problematica intrinseca di affrontare la vita in un ambiente confinato, senza possibilità di evasione fisica e senza alcun contatto visivo con la Terra.

Fiore sbocciato sulla ISS

Una volta atterrati su Marte, sarà necessario affrontare problematiche di adattamento alle differenti caratteristiche del pianeta.

Fin dalle prime ore sulla nuova superficie, saranno cruciali le repentine variazioni del ritmo circadiano, ovvero del ritmo fisiologico umano sulla Terra, caratterizzato da un periodo di circa 24 ore. Esempi sono: ritmo veglia-sonno, di secrezione del cortisolo e di altre sostanze biologiche; la variazione della temperatura del corpo e di parametri legati al sistema cardiocircolatorio. A questi si devono aggiungere altri ritmi individuati e studiati: quelli circasettimanali, circamensili, circannuali.

Ritmi circadiani

Nel medio periodo saranno importanti gli adattamenti osseo-scheletrico e muscolari derivanti dalla differente gravità presente sul corpo celeste, mentre nel lungo periodo non sono da trascurare le mutazioni genetiche che il genoma umano potrebbe subire a causa della differente schermatura dalle radiazioni e particelle cosmiche ionizzanti del nuovo ambiente spaziale nonchè la presenza di virus, batteri e altre forme possibili di vita autoctona.

Gli esseri umani sono stati “progettati” da madre natura per vivere sul pianeta Terra. Un essere vivente e intelligente capace di vivere sulla superficie di un pianeta di dimensioni maggiori o minori della Terra, munito, per esempio, di un’atmosfera con meno azoto e più ossigeno, con un’insolazione giornaliera fortemente differente dalla quotidiana dose di radiazione ultravioletta (UV), oppure infrarossa (IR) ecc., deve specializzarsi per il nuovo ambiente, adottando drastiche mutazioni della morfologia, della biochimica interna, dei processi nutritivi e digestivi e chissà quanti altri adattamenti.

In altri termini, un essere umano trapiantato in un ambiente vivibile ma non identico a quello terrestre evolverebbe, nel volgere di un certo numero di generazioni, sia internamente che esternamente, per adattarsi al nuovo ambiente. È sufficiente pensare agli effetti macroscopici di adattamento del corpo di un astronauta dopo solo sei mesi di vita in un ambiente gravitativo drasticamente differente da quello terrestre: allungamento della spina dorsale, alleggerimento e decalcificazione dello scheletro, atrofia muscolare generalizzata.

Non sono disponibili misure sulle eventuali “mutazioni” positive del corpo di un astronauta: maggior senso dell’equilibrio, capacità di riposo al di fuori dei normali ritmi circadiani, capacità di concentrazione in situazione di altissimo stress fisiologico e psicologico.

Discorso a parte è quello relativo alle navi generazionali concepite per viaggi di ricerca e colonizzazione interplanetaria. Fino a quando non si comprenderà più a fondo come sfruttare la fisica nota in maniera innovativa, o si identificherà una nuova fisica che garantisca la possibilità di viaggiare nello spazio-tempo, rispetto al solo spostamento spaziale, per esplorare nuovi mondi serviranno veicoli spaziali capaci di viaggiare in autonomia per secoli.

Proxima Centauri che è la stella più vicina al Sistema Solare, dista dalla Terra 4.23 anni luce, una distanza tale che il più veloce velivolo spaziale oggi tecnicamente proponibile potrebbe coprire in due o tre secoli di viaggio. Da ciò si può facilmente intuire che nessun equipaggio sarebbe in grado di sopravvivere a una traversata cosmica di questa durata. Ecco spiegato il motivo per cui diversi scienziati stanno progettando navi spaziali generazionali per trasportare individui le cui generazioni avranno il compito di colonizzare il pianeta di destinazione.

Concept nave generazionale

Per la condotta di un mezzo spaziale simile, occorre esprimere alcune considerazioni sulla composizione dell’equipaggio: occorre avere sempre a bordo decine di figure professionali diverse, astronauti, medici, ingegneri, meccanici, programmatori, scienziati nonché avere anche insegnanti di ogni livello, dai maestri ai professori universitari. Pertanto ogni nato dovrebbe essere subito indirizzato verso una carriera ben definita carriera per le necessità della missione.

L’equipaggio minimo dovrebbe essere composto da almeno 170 persone, soglia minima garantire la varietà genetica necessaria al mantenimento di una popolazione sana, tuttavia, in qualsiasi caso, sarebbe necessario controllare le unioni tra gli esploratori. Tuttavia, sebbene l’ipotesi di navi generazionali, o di colonia su qualsiasi copro celeste, implichi necessariamente il concetto di riproduzione ed espansione, l’effetto dell’esposizione alle radiazioni sui processi riproduttivi umani resta un ambito sconosciuto. Per quanto possano essere previste schermature degli ambienti che ospiteranno l’equipaggio, o i coloni, esse non sono in grado di riprodurre lo stesso effetto prodotto dalla magnetosfera terrestre, limitandosi, pertanto, ad una semplice mitigazione del problema.

Altro aspetto fondamentale è quello relativo all’alimentazione. In primo luogo è cruciale fare riferimento all’acqua, che rappresenterebbe uno dei principali problemi pratici da affrontare. Secondo la WHO il fabbisogno idrico di un essere umano è pari ad almeno due litri di acqua al giorno, quasi ottocento all’anno. Ad oggi, l’unica via per ottenerla è il riciclo continuo: sull’ISS sono già implementati sistemi di recupero dell’acqua contenuta nell’urina degli astronauti.

Altro problema da considerare potrebbe essere quello della sterilità degli ambienti. Navi prive di batteri e la vita in ambienti completamente asettici, per anni o secoli, comprometterebbe il sistema immunitario della popolazione con gravi rischi per i discendenti.

Infine è necessario considerare la presenza di radiazioni cosmiche: l’arca dovrà proteggere gli occupanti dalla radioattività dello spazio profondo, molto più elevata rispetto a quella che investe la ISS o altri veicoli spaziali che operano non troppo lontano dalla Terra.

Come avviene in tutte le comunità, ci sono aspetti di natura comportamentale che non possono essere sottovalutati e che sono già stati ampiamente studiati relativamente ad ambienti ristretti e confinati quali possono essere i sommergibili e sottomarini. Infatti, l’equipaggio di un sottomarino deve possedere doti di equilibrio e di spirito di adattamento oltre ad esser loro richiesto di riuscire a vivere e collaborare a stretto contatto. Per questo, oltre le varie difficoltà relative alla pianificazione e gestione di una simile nave, non sono da trascurare anche possibili fenomeni di deriva comportamentale rilevati proprio in ambienti ove la comunità è al riparo da avversità con abbondanza illimitata di risorse, come cibo e acqua.

In base ai dati ottenuti dall’esperimento, il problema risiede nel fatto che i giovani entrano in competizione contro gli adulti nel tentativo di sostituirli nel loro posizionamento sociale, ma la lotta che ne scaturisce è così violenta da portare alla dissoluzione dell’intera organizzazione sociale.

In esperimenti svolti su cavie, le problematiche legate al sovrappopolamento non sono conseguenza effettiva della relativa scarsità di risorse, ma, piuttosto, di una mancanza di spazio e dell’eccessivo numero di interazioni sociali. L’elevato contatto, infatti, frammenta ulteriormente la coesione del gruppo, a causa del carattere stocastico delle interazioni sociali, che esigono, per massimizzarne la gratifica- zione, di intensità e durata ridotte, e soprattutto, di un ridotto bacino di partecipanti.

Esperimento Universo 25

Al fine di mitigare i rischi di una deriva comportamentale di una collettività costretta a convivere per lunghi periodi in un ambiente confinato, si è ipotizza di mettere l’equipaggio, o gran parte di esso, in stato di animazione sospesa – ovvero in ibernazione – utilizzando tecnologie non ancora disponibili. L’astronave sarebbe guidata automaticamente o da parte dell’equipaggio attivo in turnazioni.

Nel torpore infatti c’è il vantaggio di ridurre il consumo di cibo e risorse necessarie al sostentamento; le navicelle potrebbero essere più compatte e questo consentirebbe anche di ridurre il tempo di convivenza in spazi ridotti e isolati, aspetto che può comportare stress psicologico.

Tuttavia, il principale vantaggio dell’ibernazione è la protezione dai raggi cosmici grazie ad uno strato d’acqua che avvolgerebbe l’alloggiamento in cui è allocato l’individuo.

È importante sottolineare come tale condizione non abbia nulla a che vedere né con il sonno nè con la crioconservazione, il congelamento del corpo, con cui a volte viene confusa.

Infatti, l’ibernazione consiste in una sequenza di episodi in cui il metabolismo viene portato al minimo del fabbisogno energetico delle cellule e la produzione di calore, dunque la temperatura corporea decresce. Occorre poco ossigeno, il respiro e il battito del cuore rallentano; gli organi modificano il loro funzionamento; l’intestino si ferma, poichè non si mangia e non si producono rifiuti corporei. Nel cervello una parte delle sinapsi si ritira e l’attività cerebrale è di veglia lenta consumando poca energia.

In base a tali premesse, posto che il personale delle future missioni extra-terresti debba possedere un profilo di formazione elevato, c’è da domandarsi chi consapevolmente e liberamente possa ambire ad un percorso e ad un cambiamento così radicale di vita. Ci si domanda se l’equipaggio possa, come la storia insegna, essere reclutato unicamente all’interno di Nazioni o classi sociali specifiche. D’altronde, ribaltando la situazione ed ipotizzando la creazione di un’arca di evacuazione emergenziale, a causa di una possibile collisione catastrofica con i NEO1, ci sarebbe il problema opposto, ovvero la scelta dei predestinati al salvataggio. In definitiva, bisogna ancora riflettere molto sul fatto che le motivazioni di cercare nuovi ambienti per i dieci miliardi di individui previsti per il 2050, non sia il prologo per la nascita di futuri extra-terrestri che, possedendo il medesimo gene umano possano successivamente tornare per una guerra per la riappropriazione della terra, accusando i terrestri di averli forzatamente allontanati.

In conclusione, mentre l’esplorazione robotica si può verosimilmente ipotizzare porti beneficio all’umanità, per la colonizzazione umana di altri mondi, compreso Marte, anche se potrà essere oggetto di attività di terra-forming (con ricreazione artificiale di un campo magnetico intorno al pianeta protettivo rispetto alle radiazioni cosmiche), occorrerà una profonda e ponderata valutazione etica che passi tra l’altro anche dalla scelta di quali individui coinvolgere in tali iniziative che, nel lungo periodo potrebbero rilevarsi un boomerang per l’umanità terrestre. Una possibile soluzione sarebbe quella di continuare ad attuare il trasferimento tecnologico delle viarie tecnologie implementate sui sistemi spaziali al fine di realizzare sulla terra una rivoluzione che porti alla produzione di energia pulita, energia per tutti e tutela delle risorse idriche a naturali presenti sul meraviglioso pianeta blu.

Terra sorge sull’orizzonte lunare.

Ad oggi è evidente che sia impossibile considerare il superamento della complessità di implicazioni poste dall’ipotetica esplorazione umana su Marte. Tuttavia, non si può pensare che un tale limite possa definire l’arresto delle aspirazioni umane verso l’infinito ed oltre. L’uomo ha sempre trovato il modo di superare i propri limiti e continuerà a farlo, probabilmente però è arrivato il momento di spostare il focus dell’esplorazione umana a nuove visioni esplorative. Se si parla di raggiungere Marte, infatti, spesso si dà per scontato che coincida con il naturale prosieguo del programma Artemis, eppure questo è un grande errore. L’obiettivo resta di raggiungerne la superficie, ma l’evoluzione tecnologica attuale può offrire nuove opportunità sul come esplorare e sul come esperire il processo dell’esplorazione, attraverso la realtà virtuale e la digital twins technology.

D’altronde, le sonde robotiche che ispezionano Marte sono dotate di videocamere stereoscopiche estremamente sofisticate, capace di consentire la costruzione di immagini 3D e di fornire tutti i dati per poter ricreare il contesto marziano sulla Terra. La realtà virtuale, spesso associata a visioni distopiche, potrebbe dunque giocare un ruolo cruciale nella maggior comprensione dell’ambiente del Pianeta Rosso, diventando strumento indispensabile per il progresso scientifico, tecnologico, ed evolutivo in ambito spaziale.

A.I.

Basti pensare all’addestramento degli astronauti, che potrebbero testare le condizioni marziane come mai fatto prima d’ora, non solo visivamente, garantendo la possibilità di avviare la missione solo quando ogni particolare della permanenza sul Pianeta Rosso sarà stato compreso. Non solo, la realtà virtuale permetterà di poter controllare ed operare le sonde robotiche deputate a costruire l’ambiente che ospiterà gli astronauti in loco, con una precisione mai avuta fin ora, con il solo limite imputabile al trasporto dell’informazione.

Da non sottovalutare, inoltre, sarebbe anche l’impatto in ambito civile, non solo in termini commerciali, ma anche in termini ricreativi e ispirazionali. Da tempo, infatti, le maggiori agenzie spaziali mondiali hanno cercato di aprirsi maggiormente, finanziando programmi di divulgazione e di sensibilizzazione legati a tematiche spaziali. Di grande rilievo, inoltre, potrebbero essere le applicazioni nell’ambito della ricerca universitaria e della formazione in materie tecnico scientifiche di ogni or- dine e grado. Avendo a disposizione questi strumenti, o meglio questo nuovo approccio, si potrà affrontare la sfida dell’esplorazione marziana riducendo i rischi fisici, ma anche psicologici, per le nuove generazioni di esploratori.

►Leggi la prima parte "Il sistema solare, la risorsa del futuro (1/4): scienza e tecnologia nell'esplorazione spaziale"

►Leggi la seconda parte "Il sistema solare, la risorsa del futuro (2/4): l'esplorazione degli asteroidi"

►Leggi la terza parte "Il sistema solare, la risorsa del futuro (3/4): l'esplorazione lunare"

Fonti

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1 Near Earth Object

Immagini: OpenAI / NASA / web