Armi: in vigore dal 14 settembre il nuovo decreto. Nessun “Far West”, i controlli aumentano

25/09/18

Sono entrate in vigore lo scorso 14 settembre 2018 le nuove regole in materia di armi dettate dal d.lgs 10 agosto 2018, n. 104, che ha attuato nel nostro ordinamento giuridico (tra i primi ad adeguarsi) la direttiva europea 2017/853/UE, approvata congiuntamente dal Parlamento e dal Consiglio europeo il 17 maggio 2017. Si è così modificata sensibilmente la normativa previgente in materia, ed in particolare il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (T.U.L.P.S.) r.d. 18 giugno 1931, n. 773, la legge n. 110 del 1975 e soprattutto il d.lgs 30 dicembre 1992, n. 527, che aveva a sua volta dato attuazione alla direttiva 1991/477/CEE.

Le disposizioni appena emanate hanno suscitato un’ampia eco sui mass media, anche generalisti. In molti, in questo contesto, hanno ritenuto di poter individuare nella riforma – peraltro come detto attuativa di norme europee – il via libera all’uso delle armi da fuoco nel nostro Paese, se non quasi un passo deciso verso l’adozione del vituperato “modello americano”.

Esaminiamo dunque i dati essenziali dello ius novum, così da poter esprimere il nostro parere al riguardo.

I dati essenziali della riforma: ambito di applicazione, ratio di armonizzazione e novità

L’ambito di applicazione delle nuove disposizioni non si estende alle armi detenute da forze armate e di polizia, da enti governativi e territoriali, né ai materiali di armamento di cui alla legge 9 luglio 1990, n. 185, e neppure alle armi storiche (ma restano escluse solo quelle ad avancarica a colpo singolo, mentre sono comprese le armi da collezione in genere).

Le nuove regole sono state dettate con l'intento di armonizzare la disciplina vigente nei vari Paesi dell'Unione Europea in materia di circolazione e detenzione delle armi da fuoco.

Si sono previsti a tale riguardo:

  • controlli più incisivi per l'acquisto e la detenzione delle armi;

  • la ridefinizione delle categorie delle armi in 3 classi (A, B e C), con la predisposizione di criteri e requisiti di acquisizione e di detenzione distinti (fermi restando i requisiti già previsti);

  • la marcatura delle armi in circolazione all'interno dei Paesi dell'Unione;

  • la creazione di una piattaforma informatica, così da permettere alle competenti autorità degli Stati membri di scambiarsi informazioni;

  • l'uniformazione della durata delle autorizzazioni e delle licenze.

Tra le novità più importanti si segnalano:

  • l'obbligo della tenuta di registri per fabbricanti ed operatori;

  • l'aumento della quantità delle armi che possono legittimamente essere detenute (da 6 a 12 per quelle sportive) e delle munizioni (da 15 a 20, per le armi corte, e da 5 a 10, per quelle lunghe);

  • la riduzione (da 6 a 5 anni) della durata della licenze per caccia e tiro a volo;

  • l’obbligo di sottoporsi a visita medica ogni 5 (e non più ogni 6) anni per i detentori di armi comuni. Sono esonerati i possessori di licenza di collezione di armi antiche, ed i soggetti di cui all’art. 73 del regolamento T.U.L.P.S.;

  • l'introduzione di nuove modalità di denuncia di detenzione e di avviso di trasporto alla pubblica autorità (ora possibili anche via posta elettronica certificata, tramite uno specifico portale dedicato);

  • l'abrogazione dell'obbligo di comunicazione della detenzione ai conviventi (ancorché da specificare con i successivi regolamenti attuativi);

  • l'estensione della categoria dei "tiratori sportivi" (non più soltanto i tesserati Coni, ma anche i poligoni privati);

  • il divieto di detenere ed utilizzare armi camuffate, vale a dire armi originariamente fabbricate o successivamente trasformate in modo tale da acquisire le sembianze di un altro oggetto (ad es. la penna-pistola od i bastoni-fucile);

  • l'introduzione della compravendita a distanza (ma solo a scopo industriale o commerciale).

Brevi note a commento delle novità più significative

L’analisi delle principali novità introdotte dal decreto conduce a ritenere infondate le voci relative ad un’eccessiva liberalizzazione delle regole relative alla circolazione, alla detenzione ed all’uso delle armi. Vediamo perché.

1. I controlli: il sistema informatico per la tracciabilità e la (nuova) marcatura delle armi

La riforma ha intensificato i controlli già previsti, istituendo presso il Dipartimento di Pubblica Sicurezza un sistema informatico per la tracciabilità delle armi.

Un sistema analogo è istituito presso le relative autorità degli altri Stati membri, così da consentire a questi di scambiarsi ogni informazione rilevante sulla circolazione delle armi e delle munizioni in ambito europeo, nonché di disporre di standard di controllo uniformi.

Il suddetto sistema informatico comprendeI:

  • per le armi da fuoco: il tipo, la marca, il modello, il calibro, il numero di catalogo, la classificazione secondo la normativa europea, il numero di matricola e la marcatura apposta sul telaio o sul fusto, nonché il numero di matricola o la marcatura unica applicata alle loro parti, nel caso in cui questa differisca dalla marcatura apposta sul telaio o sul fusto;

  • i dati identificativi dei fornitori, degli acquirenti e dei detentori dell’arma;

  • l’indicazione delle operazioni aventi ad oggetto ogni arma e la data in cui sono state effettuate (c.d. tracciabilità), il relativo prezzo, nonché gli estremi del titolo abilitativo all’acquisto e, nel caso di persona fisica diversa dall’imprenditore, il luogo di residenza;

  • i dati relativi a qualsiasi operazione consistente in una trasformazione o modifica irreversibile dell’arma da fuoco, che determini un cambiamento della categoria o della sottocategoria di cui all'allegato I alla direttiva 91/477/CEE del Consiglio, del 18 giugno 1991, incluse la disattivazione o la distruzione certificate, e la data in cui sono avvenute tali operazioni;

  • specifiche indicazioni per le munizioni, le armi diverse da quelle da fuoco e quelle dotate di modesta capacità offensiva.

I controlli, oltre che sul suddetto sistema informatico, fanno perno poi sull’imposizione di un più incisivo obbligo di marcatura delle armi. L’art. 5 del decreto in questione ha in proposito modificato il primo comma dell’art. 11 della legge n. 110/1975, stabilendo che “sulle armi prodotte, assemblate o introdotte nello Stato, deve essere impressa, senza ritardo, a cura del fabbricante, dell'assemblatore o dell'importatore una marcatura unica, chiara e permanente, dopo la fabbricazione, l'assemblaggio, o l'importazione”. Tale regola generale è poi minuziosamente specificata nei capoversi successivi della medesima disposizione.

Ancora, la tracciabilità delle operazioni è facilitata dall’ampliamento (per durata ed oggetto) dell’archivio di cui al d.lgs 25 gennaio 2010, n. 8, in cui si prevede ora che siano conservati per 30 anni dalla data di distruzione, per ogni tipo di arma da fuoco, tutte le possibili informazioni (tipo, marca, modello, calibro, numero di matricola, marcatura, e via dicendo, inclusi i dati identificativi del fornitore, dell’acquirente o del detentore).

La combinazione delle suddette novità produce un sistema di controllo articolato e penetrante, capace di garantire un monitoraggio senza precedenti nel nostro Paese e più in generale in ambito europeo.

2. Gli elementi di “flessibilità” introdotti dalla riforma

Certo, è pur vero che, di contro, il decreto appena entrato in vigore ha introdotto degli elementi di maggiore “flessibilità” rispetto alla normativa previgente, tra i quali si segnalano:

  • l’aumento del numero di armi sportive che possono legittimamente detenersi e delle relative munizioni;

  • la dilatazione della categoria dei “tiratori sportivi”;

  • la maggiore facilità delle comunicazioni in materia di detenzione e trasporto (tramite l’introduzione della possibilità di procedervi via pec);

  • l’introduzione della compravendita a distanza.

Tra i suddetti elementi, l’unico che potrebbe semmai fondare in astratto prese di posizione allarmistiche è il primo. Le nuove modalità di comunicazione hanno il crisma della legalità in tutto l’ordinamento giuridico e rispondono ad un dato di modernità, e la compravendita a distanza riguarda a rigore solo i produttori ed i fornitori, e non gli utenti, in quanto è consentita solo a scopo industriale o commerciale.

Detto questo, l’aumento del numero delle armi che il singolo può legittimamente detenere può davvero far pensare ad un’eccessiva liberalizzazione?

Si ritiene di no. E per più motivi, ormai noti da tempo:

1. non aumentano i soggetti legittimati all’uso delle armi, ma il numero di armi che ciascuno di questi può detenere. Ragionando per assurdo, davvero si pensa che un soggetto che deteneva sei armi (il numero massimo precedentemente consentito) non potesse ritenersi sufficientemente “equipaggiato” per compiere un qualsiasi delitto che implichi l’utilizzo di un’arma da fuoco, e che tutto cambi se il numero di armi passa a dodici? Ciò che conta è che non siano cambiati (come in effetti non sono cambiati) i requisiti richiesti per la concessione del porto d’armi e per il rilascio ed il rinnovo delle licenze. Anzi, la durata delle licenze è stata come detto ridotta da 6 a 5 anni, e si è aumentata la frequenza dei controlli relativi all’accertamento dell’idoneità psico-fisica (anche in questo caso, si è passati da 6 a 5 anni). Più controlli, insomma, anche da questo punto di vista. Ed i requisiti sono stati per di più specificati (senza alcuna flessione) raggruppando come detto le armi in tre categorie;

2. soprattutto, non vi è alcuna prova dell’esistenza di una correlazione necessaria, di un rapporto di proporzionalità diretta, tra il numero delle armi in circolazione ed il numero dei delitti compiuti attraverso il loro impiego. In particolare, se più armi significasse più morti, e meno armi significasse meno morti, ne dovrebbe seguire che: a) le aree geografiche con un livello più alto di possessori d’armi dovrebbero avere più omicidi di quelle con meno possessori d’armi; b) i gruppi demografici con più possessori d’armi dovrebbero essere più inclini all’omicidio di quelli con meno possessori d’armi; c) i periodi storici nei quali sono aumentati i possessori d’armi dovrebbero avere un numero più alto d’omicidi rispetto a quelli in cui le armi si sono diffuse di meno.

Gli studi di KatesII, nonché i risultati di un recente report condotto per conto delle stesse istituzioni europeeIII, oltre che di un ancor più recente studio dell’Università di LiegiIV, dimostrano che l’assunto di cui sopra non trova riscontro alcuno nella realtà dei fatti.

Gli esempi più eclatanti sono quelli della Svizzera (nel 2008, 20 omicidi con arma da fuoco, a fronte di oltre 2,3 milioni di armi in legittimamente denunciate) e, all’opposto, della Russia (con un tasso di omicidi pari a venti volte quello della Francia, del Belgio, della Norvegia e della Finlandia, ed oltre 10 volte quello medio europeo, nonostante una legislazione assai più restrittiva).

Ciò che rileva allora non è il numero di armi, ma il controllo che lo Stato riesce ad esercitare sulla circolazione (attraverso adeguati sistemi di tracciabilità), la detenzione e l’utilizzo delle stesse (per il tramite di rigorosi requisiti per la concessione del porto d’armi), oltre che prima ancora sui fattori sociali, ambientali ed economici che possono condizionare gli individui e portarli a comportamenti pericolosi.

In conclusione

A fronte di quanto sopra, un sistema di controllo così analitico ed articolato, come quello che le nuove disposizioni sembrano in grado di garantire, davvero fa apparire prive di fondamento le voci – pure levatisi in coro, e da più fronti, al momento dell’approvazione del decreto – di un’eccessiva liberalizzazione delle regole relative alla circolazione, alla detenzione ed all’utilizzo delle armi da fuoco nel nostro ordinamento, e più in generale nell’ambito dell’Unione Europea.

È vero semmai il contrario: gli strumenti introdotti (il sistema informatico per la tracciabilità delle armi e lo scambio di informazioni tra Stati, la nuova disciplina della marcatura delle armi ed il regime di tracciabilità delle operazioni, fermi restando i requisiti già previsti in precedenza per la concessione della licenza) assicurano alle autorità competenti la possibilità di procedere ad un monitoraggio costante e capillare in relazione a qualsivoglia profilo ed attività che abbia il benché minimo rilievo in materia di armi da fuoco. E lo fanno, per giunta, in un modo ed in una misura tali da non poter essere neppure paragonati a quanto accadeva in passato.

Avv. Francesco Fameli

esperto di diritto amministrativo militare

  

I L’elenco completo è dettato dall’art. 11 del d.lgs n. 104/2018.

II Il riferimento è a Don Bernard Kates Jr., Armed: New Perspectives on Gun Control, 2001. Dello stesso autore si segnala anche il precedente Firearms and Violence: Issues of Public Policy, del 1984.

III Si richiama il Final Report of Project FIRE – Fighting Illicit firearms trafficking Routes and actors at European level, concluso nel 2013 grazie all’apporto dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e co-finanziato dal Programma Europeo di Lotta alla Criminalità, ed alla base della direttiva europea recentemente adottata. Può consultarsi al sito http://fireproject.eu/wp-content/uploads/2017/03/FIREFinalReport.pdf.

IV Ci si riferisce qui allo studio presentato a Norimberga dalla Facoltà di Scienze Politiche e Crimonologiche dell’Università di Liegi in occasione del World Forum on Shooting Activities (W.F.S.A.), nel 2015, con il titolo Factors influencing the rate of homicides by firearms e disponibile al sito https://docs.wixstatic.com/ugd/3fd127_86f3aa1fb00145e7a6d45d0fe79dcc23.pdf.

(foto: web)