Con la sentenza 29 agosto 2018, n. 5068 il Consiglio di Stato ha clamorosamente invertito il proprio orientamento ormai consolidato e ha ritenuto che l’istituto di cui all’art. 42-bis del d.lgs n. 151/2001, in tema di assegnazione temporanea ad altra sede del dipendente pubblico con prole di età inferiore ad anni 3, non possa applicarsi ai militari ed al personale di polizia, ma soltanto ai dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici, o meglio ai dipendenti pubblici con rapporto di lavoro privatizzato ai sensi del d.lgs n. 165/2001 (e prima ancora del d.lgs n. 29/1993).
Lo stesso massimo organo della Giustizia amministrativa si era espresso in senso opposto ormai da anni, tra l’altro con le sentenze n. 1317/2016, n. 2426/2015 e n. 6016/2013.
Quale orientamento deve ritenersi allora prevalente? L’istituto dell’assegnazione temporanea può ritenersi effettivamente applicabile anche al personale militare e delle forze di polizia?
Si ritiene di sì e che il suddetto orientamento debba essere senz’altro censurato.
Vediamo perché.
L’istituto dell’assegnazione temporanea ad altra sede per motivi familiari
L’istituto dell’assegnazione temporanea del pubblico dipendente ad altra sede è previsto nell’ambito del d.lgs 26 marzo 2001, n. 151, Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53. In particolare, l’art. 42-bis del suddetto testo normativo prevede, al comma primo, che “Il genitore con figli minori fino a tre anni di età dipendente di amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, può essere assegnato, a richiesta, anche in modo frazionato e per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa, subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione. L’eventuale dissenso deve essere motivato e limitato a casi o esigenze eccezionali. L’assenso o il dissenso devono essere comunicati all’interessato entro trenta giorni dalla domanda”.
Pertanto, l’applicabilità al caso concreto della disposizione in oggetto si fonda sui seguenti presupposti:
- l’appartenenza del richiedente alle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, c. 2, del d.lgs n. 165/2011;
- la circostanza che l’istante sia genitore di un minore di età non superiore ad anni tre;
- la richiesta espressa in tal senso dell’interessato;
- la sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva;
- l’assenso delle amministrazioni di provenienza e di destinazione, tenendo presente che, come detto, “L’eventuale dissenso deve essere motivato e limitato a casi o esigenze eccezionali”.
Si tratta evidentemente di un’ipotesi di trasferimento temporaneo su base volontaria, posta a tutela della famiglia e della filiazione, e dunque direttamente radicata nel riferimento all’art. 29 della nostra Costituzione.
La giurisprudenza in materia: le due questioni interpretative rilevanti.
1. L’obbligo di motivazione specifica
Le questioni interpretative sin da subito emerse nella concreta applicazione della norma in esame sono state essenzialmente due: da un lato, si è posto il problema di definire l’ampiezza dell’obbligo di motivazione del dissenso eventualmente formulato dall’amministrazione con riguardo all’istanza; dall’altro (ed ancor prima), ci si è domandati appunto se tale disposizione potesse ritenersi riferibile anche al personale militare o più in generale al personale non contrattualizzato.
Procedendo con ordine, con riguardo al primo dei profili sopra citati deve evidenziarsi che la giurisprudenza compatta ha da sempre sostenuto – dandone reiteratamente conferma negli anni – che l’eventuale risposta negativa contrapposta dalla p.a. alla richiesta di assegnazione debba essere giustificata da una motivazione specifica. Il capoverso del comma primo sopra richiamato (aggiunto in novella dall’art. 14, c. 7, della legge n. 124/2015), che circoscrive a “casi o esigenze eccezionali” la possibilità di impedire questa forma di trasferimento, è stato dunque giustamente inteso in senso stretto, onerando la parte pubblica datoriale di un obbligo di motivazione assai stringente.
Ciò si è tradotto nella più volte affermata necessità da parte dell’Amministrazione di giustificare l’eventuale provvedimento di rigetto con riferimenti puntuali e circostanziati al militare richiedente e alla sua specifica professionalità, che sia tale da renderlo insostituibile nell’ambito della pianta organica di provenienza.
Si sono perciò costantemente ritenuti illegittimi i dinieghi formulati sul presupposto di motivazioni tendenti esclusivamente ad evidenziare generiche situazioni di difficoltà della struttura di riferimento globalmente considerata ed ai suoi compiti nel territorio di competenza. Quanto detto infatti non riveste in alcun modo carattere di eccezionalità, ma si riferisce semplicemente alle ordinarie esigenze di servizio dell’ente.
Pertanto, ciò posto, è evidente che nella stragrande maggioranza dei casi sarà ben difficile per la p.a. opporre un valido rigetto all’istanza dell’interessato che richieda di essere assegnato ad altra sede in forza della disposizione in esame.
In tal senso si segnalano, nella giurisprudenza più recente, ex multis, Cons. Stato, Sez. III, 1 aprile 2016, n. 1317; Cons. Stato, Sez. IV, 14 ottobre 2016, n. 4257; T.A.R. Lombardia - Milano, Sez. III, 25 maggio 2017, n. 1171; T.A.R. Toscana, Sez. I, 24 ottobre 2017, n. 1279.
2. L’applicabilità dell’istituto ai militari
L’orientamento negativo
La seconda questione che si è posta riguarda appunto e prima ancora la stessa applicabilità dell’istituto dell’assegnazione temporanea per motivi familiari, oltre che al personale civile, anche ai pubblici dipendenti appartenenti ai corpi militari (oltre che di polizia).
La giurisprudenza ha costantemente offerto una risposta positiva al suddetto interrogativo, salvi sporadici ripensamenti, tra i quali si viene a collocare la sentenza in commento.
Nella suddetta, il Consiglio di Stato ha ritenuto infatti che ad un Vigile del Fuoco, in quanto soggetto “inserito nel novero del personale con rapporto di lavoro di diritto pubblico, non risulta applicabile la normativa di cui all’art. 42 bis del d.lgs n. 151/2001”.
Il principio di diritto in questione rileva evidentemente anche in confronto dei militari, in quanto anche questi, come i Vigili del Fuoco e tra gli altri i magistrati e gli avvocati dello Stato, nonché le forze di polizia ed il personale delle carriere diplomatica e prefettizia, risultano compresi, in ragione dell’art. 3 del d.lgs n. 165/2001, nelle categorie di dipendenti della p.a. per le quali non si è fatto luogo alla c.d. privatizzazione o contrattualizzazione del rapporto di lavoro, rimasto come tale assoggettato, non alle disposizioni comuni del codice civile, ma ad un regime speciale di fonte appunto pubblicistica.
Argomenta sul punto il massimo Giudice amministrativo, nella sopra richiamata sentenza 29 agosto 2018, n. 5068, che “l’inapplicabilità del beneficio del trasferimento temporaneo al personale amministrativo dei VV.FF. trova fondamento [proprio] nel particolare stato giuridico di quel personale, le cui specifiche funzioni giustificano un regime differenziato, che, per questa ragione, non incorre in vizi di illegittimità costituzionale per violazione del principio di eguaglianza ed irragionevole disparità di trattamento”.
Su queste basi, come detto, si ritiene che l’istituto in questione non possa trovare applicazione con riguardo al caso di specie e più in generale con riferimento ai pubblici dipendenti in regime di diritto pubblico, tra i quali rientrano come detto i militari. Pertanto, le richieste di assegnazione temporanea ex art. 42-bis del d.lgs n. 151/2001 da questi formulate non potrebbero trovare in alcun modo accoglimento.
Le ragioni per cui deve ritenersi che l’istituto debba applicarsi anche ai militari. L’orientamento positivo
La soluzione interpretativa adottata dal Consiglio di Stato nella pronuncia succitata appare senz’altro errata e da censurarsi.
Lo stesso organo giudicante, del resto, ha costantemente sostenuto l’esatto contrario in numerose occasioni e continua tuttora (anche successivamente, dunque, alla sentenza di cui sopra) a pronunciarsi in senso opposto, sostenendo che l’art. 42 bis possa ben trovare applicazione anche con riferimento ai militari (ed alle forze di polizia), e più in generale con riguardo a tutto il personale dipendente delle pubbliche amministrazioni, ivi comprese dunque le categorie rimaste assoggettate dopo il 2001 (o meglio dopo il d.lgs n. 29/1993) a regimi speciali pubblicistici, non rientrando nella c.d. privatizzazione.
Si è osservato al riguardo, infatti, che “l’art. 42 bis in questione (rubricato “Assegnazione temporanea dei lavoratori dipendenti alle amministrazioni pubbliche”) non può che essere letto (quanto alla delimitazione del suo ambito di applicazione) in uno con l’art. 1 dello stesso decreto, che afferma che per “lavoratrice” o “lavoratore”, qualora non sia altrimenti specificato, debbano intendersi (ai fini della disciplina dal decreto stesso recata) tutti “i dipendenti, compresi quelli con contratto di apprendistato, di amministrazioni pubbliche (…), né può letteralmente e logicamente intendersi che un regime differenziato per il personale, di cui trattasi nella presente controversia, sia stato introdotto dalla indicazione, contenuta nel citato art. 42 bis, “dipendente di amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”, giacché tale “specificazione” non risulta certo chiaramente idonea ad escludere dall’ambito di applicazione della norma le categorie di personale, di cui all’art. 3 dello stesso D.Lgs. n. 165/2001, che ne prevede semplicemente l’esclusione dalla “privatizzazione” e dalla “contrattualizzazione”, di cui ai commi 2 e 3 del precedente art. 2”. In tal senso, ex multis, Cons. Stato, n. 6016/2013, nonché le pronunce n. 2426/2015 e n. 1317/2016.
In buona sostanza, dunque, l’inciso contenuto nell’art. 42-bis, riferito al “personale dipendente di amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”, non intende in alcun modo escludere il personale rimasto in regime di diritto pubblico, di cui all’art. 3 del suddetto testo normativo, mirando invece genericamente e globalmente ad indicare ed a comprendere i dipendenti pubblici complessivamente intesi.
Al contrario di quanto sostenuto nella sentenza in commento, infatti, ritenere diversamente (e dunque escludere l’applicabilità di tale istituto con riguardo ai militari e agli altri lavoratori pubblici subordinati) finirebbe con l’introdurre un’indebita discriminazione di questi ultimi rispetto al trattamento assicurato agli altri dipendenti, in aperto contrasto con i valori costituzionalmente garantiti che fondano come detto l’istituto in oggetto.
Conclusioni e rimedi esperibili
Giunti al termine delle nostre considerazioni, non si può che ribadire che l’assegnazione temporanea per motivi familiari di cui all’art. 42-bis del d.lgs n. 151/2001 debba ritenersi senz’altro applicabile anche ai militari ed alle forze di polizia. I provvedimenti di diniego che traggano la propria motivazione dalla pretesa esclusione del personale in regime di diritto pubblico (come appunto i militari) dai soggetti destinatari della norma succitata dovranno pertanto ritenersi illegittimi. Lo stesso dicasi per le ipotesi di rigetto non motivate specificamente con riferimento alla situazione del singolo richiedente.
Gli e gli altri, quanto ai rimedi esperibili, potranno essere contestati con ricorso gerarchico entro 30 giorni dalla notifica, oppure direttamente con ricorso al T.A.R. territorialmente competente entro 60 giorni dalla notifica, e ancora (in modo alternativo rispetto a quanto sopra) con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica entro 120 giorni dal medesimo termine iniziale.
Avv. Francesco Fameli
esperto di diritto amministrativo militare
(foto: U.S. DoD)