Dalle bombe a grappolo a quelle nucleari tattiche il passo potrebbe non essere poi così lungo. Il diritto dice che...

(di Avv. Marco Valerio Verni)
10/07/23

Nei giorni scorsi, come ormai noto, gli Usa hanno dato il via libera all'invio di bombe a grappolo a Kiev, giustificando la decisione in esame con il fatto che la tanto proclamata controffensiva Ucraina, che avrebbe dovuto ricacciare l'esercito russo al di là dei propri confini nazionali, non starebbe invece avendo gli effetti sperati.

Peccato però che questo tipo di ordigni sia bandito da una convenzione internazionale, quella di Oslo del 2008, che vieta l'uso, la produzione, il trasferimento e lo stoccaggio di armi: e questo a causa degli effetti devastanti che tali armi possono avere, tanto nell'immediato presente, quanto nel futuro.

Le bombe a grappolo sono progettate ed utilizzate per colpire persone e veicoli, ma anche per distruggere piste di atterraggio, linee elettriche o, ancora, per liberare sostanze chimiche. Vengono sganciate, in genere, da velivoli (caccia, bombardieri o elicotteri) o, talvolta, lanciate per mezzo di artiglierie, razzi e missili guidati, e contengono un certo numero di submunizioni che vengono disperse in aria, secondo diverse modalità, esplodendo arrivate a contatto col suolo.

Il problema è che a volte, anzi "spesso", esse non detonano immediatamente: come denunciato da diversi organismi internazionali (tra cui il Comitato internazionale della Croce Rossa), il 40% delle bombe a grappolo rilasciate in alcuni recenti conflitti non sarebbero esplose, costituendo, come si può ben immaginare, un pericolo, al pari di vere e proprie mine, anche in un momento molto lontano dalla loro dispersione. Le conseguenze sono facilmente comprensibili: uccisione indiscriminata o mutilazioni.

Ora, se a livello normativo non si ritiene che ci possano essere particolari ripercussioni, per quanto riguarda la Nato nel suo insieme (gli Usa, tra l'altro, non hanno aderito alla Convenzione di Oslo, di cui sopra), a livello politico qualche reazione sarebbe doverosa: gli Usa starebbero consegnando delle armi bandite da gran parte della comunità internazionale e, in primis, dalle Nazioni Unite. Queste ultime, già all'inizio del conflitto russo-ucraino, ebbero a condannare il loro possibile utilizzo da parte della Federazione Russa ed oggi hanno già manifestato uguale disappunto per la decisione statunitense.

Certo, come dichiarato da alcuni esponenti dell'amministrazione Biden, verranno "selezionate attentamente" le munizioni a grappolo per l’Ucraina in modo che abbiano un tasso di errore limitato, riferendosi alla percentuale di sotto-munizioni trasportate da ogni proiettile che rimarrebbero inesplose. Ma è evidente che ciò non possa certo bastare a giustificare il ricorso ad un tal tipo di armi, anche se in risposta al loro presunto utilizzo da parte russa.

Gli attacchi indiscriminati, compresi quelli che utilizzano bombe a grappolo, sono vietati dal diritto internazionale umanitario, uno dei principi cardine di tale sistema normativo - è bene ricordarlo - è quello secondo cui se il nemico non dovesse rispettare quanto da esso stabilito, ciò non autorizzerebbe certo tutte le altre parti in causa a fare lo stesso.

L'Italia o la Francia, o la Germania, o la Spagna, come potrebbero giustificare politicamente una simile situazione?

E la stessa Ucraina, che giustamente ha denunciato numerose violazioni del diritto di guerra, soprattutto inerenti l'uccisione indiscriminata di civili, come potrebbe, con coerenza, utilizzare tal tipo di armi, per giunta sul proprio stesso territorio? Senza considerare il rischio di escalation che ne potrebbe conseguire, a fronte di quanto detto.

Venendo all'Italia,in particolare, essa è tra i 164 Paesi firmatari della Convenzione di cui sopra (viceversa, sono 36 i Paesi facenti parte dell'Onu che non hanno aderito alla suddetta, tra cui Usa, Ucraina e Russia-oltre ad Israele, Cina, India, Pakistan ed Arabia Saudita, tanto per citare altri Stati, pur di interesse, diretto o indiretto, nell'attuale scenario internazionale, anche in riferimento al teatro russo-ucraino).

In virtù di ciò, si dovrebbe escludere che l'Italia possa, in prima persona, un domani inviare armi di tal fatta, anche perché, dal punto di vista nazionale, il nostro Paese – che non è mai stato produttore di munizioni a grappolo – ha completato nel 2015 la distruzione delle dotazioni in possesso delle sue Forze Armate.
Ma non solo: negli anni passati,sempre l'Italia ha investito in modo rilevante in programmi di assistenza che si sono concentrati in particolare sulla bonifica di mine e ordigni inesplosi, tra cui le munizioni a grappolo, la distruzione di depositi esistenti e l’assistenza alle vittime (tra i Paesi che hanno beneficiato di questo sostegno vi sono l’Afghanistan, la Somalia, la Libia e la Striscia di Gaza).

La stessa Convenzione di cui sopra, peraltro, venne da noi ratificata nel 2011 quando era sottosegretario alla Difesa, quello che poi ne è diventato l'attuale ministro, ossia Guido Crosetto che, proprio in queste ore, ha tenuto a precisare la presa di distanza italiana da tal decisione americana. Confortato, a stretto giro, dalla stessa presidente del consiglio, Giorgia Meloni, la quale ha tenuto però a ribadire il pieno appoggio del nostro Paese all'Ucraina ed all'alleanza atlantica.

E Zelensky? Quest'ultimo, dal canto suo, avrebbe giustificato il futuro uso di tali armi dicendo che esso sarebbe limitato nei modi e nello spazio, intendendosi, con questa accezione, il solo territorio ucraino e non già quello russo: un utilizzo "difensivo", insomma, nella sua ottica, e non già "offensivo". Una motivazione che, anche in punto di diritto, non pare convincere.

Con questo ragionamento, che sarebbe pericoloso da seguire e da avallare, la domanda che ne può seguire - provocatoria certamente, ma di certo non proprio assurda - è se un domani non si possa arrivare a giustificare anche l'invio a Kiev - magari allo stremo delle forze ed in preda ad una sorta di sadomasochismo difensivo (absit iniuria verbis) - delle armi nucleari tattiche, con la motivazione di un loro utilizzo sempre sul territorio ucraino (magari volto a distruggere truppe, mezzi e logistica nemiche) e non su quello russo (d'altronde, che vi sia munizionamento all'uranio impoverito, è già fatto altrettanto noto, con tutto quello che, mutatis mutandis, ne può conseguire in termini di salute di persone ed ambiente).

Domani inizierà il vertice Nato a Vilnius: una buona occasione per mettere dei "paletti" e per iniziare a pretendere che anche altri Paesi della Nato, oltre che l'Italia, aderiscano finalmente ad importanti convenzioni internazionali, affinché la giustissima pretesa del rispetto del diritto internazionale non solo non sia a fasi ed a bersagli alterni, ma provenga da attori che per primi riconoscano l'importanza di certi principi, nella teoria e nei fatti.

Fotogramma: U.S Air Force