Militari e Forze di Polizia: è possibile dedicarsi ad un secondo lavoro?

(di Avv. Francesco Fameli)
04/12/19

Capita spesso che i nostri assistiti ci richiedano se un pubblico dipendente (ed in particolare un appartenente alle Forze Armate o alle Forze dell’Ordine) possa o meno legittimamente svolgere un “secondo lavoro”, vale a dire un’attività lavorativa (magari retribuita) ulteriore a quella istituzionale, prestata a favore dello Stato.

Per dare risposta a questo quesito è necessario anzitutto definire il contesto normativo di riferimento, per poi individuare nell’ambito del suddetto la regola generale applicabile in materia e le condizioni in presenza delle quali soltanto quella regola patisce delle eccezioni.

Procediamo con ordine.

1. Il contesto normativo di riferimento e la regola generale applicabile in materia

La norma di riferimento per tutti i dipendenti pubblici va identificata nell’art. 53 del d.lgs 30 marzo 2001, n. 165, che a sua volta rimanda alla disciplina in tema di incompatibilità dettata dagli artt. 60 e seguenti del Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3. L’art. 60, in particolare, stabilisce che “L’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del ministro competente”.

La suddetta disposizione, dunque, individua in tutta evidenza la regola generale applicabile in materia: il pubblico dipendente (ed in particolare, per ciò che più ci interessa, il militare) non può esercitare un’attività lavorativa autonoma o subordinata alle dipendenze di soggetti privati, a meno che non ricorrano particolari condizioni stabilite dalla legge e subordinatamente al rilascio di un’apposita autorizzazione da parte dell’amministrazione di appartenenza.

Ciò è pienamente conforme, del resto, al dettato costituzionale. L’art. 98, 1° comma, della Costituzione, infatti, dispone che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”.

Con riferimento specifico al personale dipendente del Ministero della Difesa, poi, deve farsi menzione delle due circolari con le quali il Dicastero è intervenuto sul punto, dedicate rispettivamente al personale ad ordinamento militare (circ. n. prot. M-D GMIL_04_0396572 della Direzione Generale per il Personale Militare, del 31 luglio 2008) ed al personale ad ordinamento civile (circ. n . prot. 0011932 della Direzione Generale per il Personale Civile, del 14 febbraio 2006).

2. Le eccezioni alla regola generale suddetta: quali attività extra-istituzionali possono svolgersi ed a quali condizioni?

Definito il quadro normativo di riferimento ed individuati gli atti amministrativi di indirizzo che ne fanno applicazione, si è dunque identificata la regola generale del divieto per i pubblici dipendenti (e per i militari in particolare) di dedicarsi al cosiddetto “secondo lavoro”.

Come si accennava inizialmente, tuttavia, l’ordinamento consente eccezioni a quanto sopra, in presenza di specifiche condizioni.

Le attività extra-istituzionali, anzitutto, per essere compatibili con lo status di militare (o di appartenente alle Forze dell’Ordine), devono caratterizzarsi come attività:

- compatibili con la dignità del grado e con i doveri d’ufficio;

- svolte fuori dell’orario di servizio;

- effettuate senza carattere di continuità e assiduità;

- isolate, o comunque occasionali e saltuarie, che si risolvano in prestazioni ben individuate e circoscritte nel tempo.

Pertanto, per quanto riguarda le attività lavorative, ferma ogni più specifica considerazione (si consideri tra l’altro l’incompatibilità dello status di militare con l’iscrizione in specifici albi professionali e quindi con l’esercizio delle relative professioni: ad esempio, rispetto alla professione di avvocato, geometra, attuario e perito industriale), è evidente che le suddette dovranno in buona sostanza inquadrarsi nell’ambito del cosiddetto lavoro occasionale, con la conseguenza che la remunerazione percepita non potrà eccedere i cinquemila euro annui ed i giorni di impiego non potranno superare i trenta all’anno.

Qualora ricorrano le suddette condizioni, nei casi espressamente individuati dalle norme speciali applicabili, l’interessato potrà dedicarsi alle suddette attività extra ordinem, ma soltanto purché a ciò specificamente ed espressamente autorizzato dai propri superiori gerarchici, che dovranno in ogni caso applicare le circolari e le determinazioni della Direzione Generale per il Personale Militare.

Vi sono poi attività che non necessitano della suddetta preventiva autorizzazione, pur dovendo comunque essere comunicate al Comandante di Corpo e risultare compatibili con la dignità del grado e con i doveri d’ufficio. Possono rientrare nel novero di tali attività:

- le attività a titolo gratuito;

- gli incarichi di collaborazione (anche retribuiti, fermo quanto sopra) con riviste, giornali ed enciclopedie;

- i casi di utilizzazione economica di opere dell’ingegno e di invenzioni industriali;

- la partecipazione ad eventi e seminari;

- le attività dirette alla formazione diretta a dipendenti pubblici;

- le attività sportive dilettantistiche svolte a titolo gratuito (fermo il diritto a premi e rimborsi spese);

- le attività artistiche, culturali e ricreative.

3. Un caso particolare: la partecipazione del militare a società con scopo di lucro

Considerate dunque tanto la regola generale, quanto le eccezioni che la contraddistinguono, un caso di certo particolare è quello della partecipazione del militare (o comunque del pubblico dipendente) a società aventi scopo di lucro.

Di per sé, anche a tale riguardo, non può escludersi a priori in modo assoluto che un simile scenario possa legittimamente configurarsi, molto dipendendo, evidentemente, dalla forma di società in gioco, dal ruolo che l’interessato dovrebbe svolgere al suo interno e di conseguenza dall’attività che sarebbe destinato a prestare e dal relativo regime di responsabilità patrimoniale (limitato al patrimonio sociale oppure esteso a quello personale del socio).

Anzitutto, in diretta e pacifica applicazione dei criteri sopra tratteggiati, è evidente che la suddetta partecipazione non potrà comunque declinarsi nei termini dell’apporto di lavoro: va esclusa insomma l’ammissibilità del militare socio-lavoratore. Di certo, va pure esclusa la possibilità che lo stesso assuma la veste del socio-amministratore (od anche solo dell’amministratore) di società.

Inoltre, per le ragioni anzidette, neppure è configurabile la partecipazione del militare a società di persone, visto anche il carattere illimitato della responsabilità per le obbligazioni sociali che ne deriverebbe (e pertanto, per la stessa ragione, pare non potersi escludere l’ammissibilità della partecipazione al capitale di società in accomandita di semplice, con la qualifica di socio accomandante, non amministratore). Quanto alle società di capitali, la partecipazione del militare sembra ammissibile, purché nel rispetto di quanto già si è detto a proposito dell’esclusione dei ruoli tanto di socio-lavoratore, quanto di amministratore unico (o comunque di membro del consiglio di amministrazione).

4. Le sanzioni in caso di attività extra-istituzionale incompatibile con lo status di militare, svolta in assenza di autorizzazione

Tanto considerato, resta da dire a proposito delle conseguenze sanzionatorie che possono determinarsi in caso di svolgimento da parte del militare di un “doppio lavoro”, o per meglio dire di un’attività extra-istituzionale in assenza della dovuta autorizzazione.

Nelle ipotesi in questione può ben configurarsi una responsabilità del soggetto interessato sia sul piano disciplinare, sia su quello amministrativo, nonché – in presenza di specifiche circostanze di carattere oggettivo e soggettivo – anche una responsabilità penale.

Sul piano disciplinare, in primo luogo, il militare resosi responsabile di una condotta di tal fatta sarà ben passibile – sia pure dovendosi tenere in debito conto le specifiche circostanze del singolo caso concreto – della sanzione disciplinare di stato della sospensione dall’impiego, ai sensi dell’art. 885 del Codice dell’Ordinamento Militare, d.lgs n. 66/2010, e nei casi più gravi della sanzione della perdita del grado, di cui all’art. 923, lettera i), del medesimo Codice.

È chiaro poi, sul fronte della responsabilità amministrativa, che l’indebito svolgimento di un secondo lavoro possa aver sottratto tempo ed energie all’impiego militare, cagionando per ciò stesso un danno erariale all’Amministrazione militare, che legittimerà quest’ultima, una volta scoperto l’illecito perpetrato in suo pregiudizio, a ripetere le somme già versate al militare a titolo di retribuzione ed a qualsivoglia altro titolo.

Buon ultimo, è pure evidente che possa configurarsi in queste ipotesi anche una responsabilità penale dell’interessato. Si pensi ad esempio ai casi – purtroppo tristemente frequenti, secondo la cronaca – in cui il soggetto coinvolto abbia utilizzato dei permessi di per sé finalizzati all’assistenza a familiari disabili (si pensi a quelli fruiti in base all’art. 33 della legge n. 104/1992) per recarsi invece a lavorare altrove. L’imputazione in questi casi sarà per il delitto di truffa, previsto e punito dall’art. 640 c.p.

Conclusioni

Questa breve disamina del tema del cosiddetto “secondo lavoro” dei militari ci ha permesso di evidenziare, in definitiva ed in conclusione, come la possibilità di dedicarsi ad un’attività extra-istituzionale debba escludersi soltanto come regola generale, ben potendo configurarsi ipotesi eccezionali, in presenza di condizioni specificamente individuate sulla base delle norme speciali applicabili, in cui ciò risulta del tutto ammissibile.

Il criterio di fondo cui deve attenersi sul punto il militare è sempre e comunque quello del rispetto – oltre che delle disposizioni vigenti – del comune criterio di prudenza. Così, fermo restando l’obbligo di richiedere preventivamente la dovuta autorizzazione ai propri superiori gerarchici, anche nei limitati casi in cui l’ordinamento consenta – nei limiti succitati – di prescinderne, è ben consigliabile comunicare sempre e comunque il proprio intendimento alla propria linea gerarchica.

Del resto, le conseguenze altrimenti destinate a prodursi (su ogni piano: disciplinare, amministrativo e se del caso anche penale) sono così rilevanti, da non poter essere di certo ragionevolmente sottovalutate.

Foto: U.S. Air Force / ministero della Difesa / U.S. Marines