Erdogan: genio spregiudicato o folle avventuriero? In ogni caso va temuto

(di David Rossi)
12/10/19

Il miglior commento sull’incontro tra l’ambasciatore turco e il nostro giovane ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, convocato alla Farnesina per dirgli quanto sia “inaccettabile” l’operazione “Primavera di pace” contro lo Stato autonomo curdo in Siria e che l’Italia avrebbe sostenuto azioni europee, l’ho sentito a un bar poco fuori Firenze: “Deve essere stato come il meeting fra un’educanda e Pacciani”. No, l’avventore toscano ha torto, non perché il leader politico dei Cinque Stelle non abbia l’ingenuità un po’ folle e autolesionista, per gli interessi dell’Italia, dell’educanda, quanto piuttosto perché la leadership turca non è rappresentata da un bruto squartatore ma da una mente pensante.

È una leadership, per dirla con Machiavelli, che sa alternare la volpe e il leone, ma che ha ben chiaro un concetto: per un “principe” è meglio essere temuto che amato. E non fa niente per nasconderlo.

Cominciamo col dire che mai mi sarei aspettato di vedere all’opera - sia pure in forma meno truculenta - delle purghe in Europa durante la mia vita: invece, Erdogan negli ultimi quindici anni - prima da capo dell’esecutivo, poi da presidente della repubblica - è riuscito a “purgare” per ben due volte le Forze armate e, in generale, l’intellighenzia della Porta.

La prima volta lo ha fatto con la benedizione di Bruxelles, con la scusa di democratizzare il Paese: ha così tolto di mezzo i vertici militari e soprattutto ha eliminato la tutela secolare “kemalista” degli uomini con le stellette sulla leadership di quel Paese. Come l’Europa, per rendere più politicamente corretto il sistema Turchia, sia riuscita a facilitare la presa del potere di Erdogan sarà oggetto di studio per i decenni a venire: le vie dell’inferno sono lastricate di buonissime intenzioni…

La seconda volta lo ha fatto dopo il fallimento del misterioso colpo di stato del luglio 2016. Se è scampato a un vero golpe e ha ribaltato così facilmente la situazione, il personaggio merita tanto di cappello. Se pensiamo al modo in cui Gorbačëv era scampato al colpo di stato dell’agosto 1991, appare ancora più evidente come Erdogan ne abbia tratto forza, non delegittimazione.

Se, come dicono senza prove i maligni, il coup d’etat non si è mai verificato ed è stato solo un diversivo per liquidare potenziali oppositori, allora siamo di fronte a un gigante della politica del XXI secolo, perché c’è da dubitare che un qualunque leader di tendenze autoritarie, pur con un ottimo controllo sul Paese, avrebbe rischiato di “fingersi morto” anche se per riemergere più forte di prima…

Aggiungiamo che dopo aver visto il miserabile fallimento della Grande Serbia, della Grande Croazia, della Grande Albania, del nuovo Impero russo ecc., mai mi sarei aspettato di osservare i passi di un nuovo Impero ottomano, sia pure sotto spoglie più adatte ai tempi.

Intendiamoci: se Renzi, Di Maio o Salvini venissero a dirci che intendono giocare nel Mediterraneo secondo le regole del Mare Nostrum e di un nuovo Impero Romano, se del caso mettendo i piedi in faccia a chi si frapponesse, come minimo noi stessi li prenderemmo a pernacchie, accusandoli di aver preso troppi grappini.

La Turchia non ha riso di Erdogan e del suo disegno neo-ottomano, anche perché lui stesso lo ha saputo adattare alle circostanze con grande flessibilità: da semplici rapporti privilegiati con i Paesi di cultura turanica, si è passati al sostegno di gruppi radical-separatisti nei Paesi limitrofi, fino a proiettare le Forze armate turche in modo stabile nei territori circostanti. Alla fine, ha cominciato a muovere le truppe della Porta direttamente fuori dai confini, occupando stabilmente una porzione di territorio siriano e poi, in questi giorni, attaccando a fondo Rojava.

No, non ci piace e non lo riteniamo conforme alla Legalità internazionale, ma indubbiamente siamo di fronte a un disegno politico perseguito con intelligenza tattica non comune.

Non avrei, soprattutto, mai immaginato di trovarmi di fronte a un Paese membro della NATO che avrebbe potuto invocare l’articolo 5 del Trattato, quando un suo F16 abbatteva un Sukhoi Su-24 russo, nel famoso incidente del 24 novembre 2015, per poi giocare una partita ambigua con gli Stati uniti del presidente Trump, arrestandone una “spia”, ricevendone sanzioni, facendo pace con Mosca e acquistando il sistema antimissile S400 dai Russi.

Il tutto restando a pieno titolo un membro della NATO, neppure sottoposto a limitazioni al suo ruolo di Paese di primo piano dell’Alleanza. Che ai Turchi sia andata bene tante volte, certamente, non vuol dire che andrà sempre bene. Tuttavia, il fatto che Trump abbandoni a parole al loro destino i Curdi è più di un indizio del fatto che gli Stati uniti non si oppongano al disegno di Erdogan, anzi…

Le manovre militari iraniane e le proteste di Damasco sono indizi del fatto che Ankara non persegua solo i propri interessi. Sono pronto a dichiarare di aver colto male la situazione, se l’Alleanza atlantica sospenderà la Turchia, invece che imporre semplici sanzioni. Ma vedrete che non accadrà. Almeno, non nel breve termine.

Difficilmente mi sarei aspettato di trovarmi davanti a un Paese che gestisce la bellezza - si fa per dire… - di 3.614.108 profughi siriani registrati, pari al 4,4% della popolazione turca. Come già Muhammar Gheddafi con i migranti in Libia, Erdogan ne fa un uso politico molto spregiudicato, volto a ottenere vantaggi economici e politici. Su questo punto, vorrei invitare i lettori a una riflessione personale: i richiedenti asilo alla prima domanda nell’intera UE nel 2018 sono stati 580.000 e nel 2015 al picco sono stati 1.256.000. Insomma, un terzo della Turchia, la quale a ben vedere dispone di un’arma di pressione fortissima.

Inoltre, l’azione turca coglie di mezzo in modo del tutto inatteso le teorie complottistiche che vedono Israele - sponsorizzato da Washington - come il dominus dietro a tutte le crisi del Medio Oriente. Signore e signori, Gerusalemme stavolta è stata spiazzata da Washington, tra l’altro nel pieno di un terremoto politico interno allo Stato ebraico, e si è vista sfilare da sotto il naso il suo prezioso alleato curdo. Tutto questo a opera di quella Turchia che per decenni era stata l’amica più fedele di Israele.

Infine, Ankara ha dato prova di saper muovere le proprie Forze armate, pur dopo una purga importante. Il ché fa sorgere il sospetto che i nostri uomini in divisa siano sottoposti, in Italia, nel recente passato e anche nel presente, a purghe di uomini, mezzi e organizzazione ben più devastanti.

Altro che i cinque fucili negati dal premier Conte (v.video) per dare una borsa di studio: Ankara ha un buon budget militare, in perfetta media NATO (2,5%), due volte più grande di quello italiano (1,3% - meno dell'1% senza Arma dei Carabinieri..., ndd). Certamente, siamo lontano dall’8,8% di spese militari dell’Arabia saudita: ma in Turchia mancano, per così dire, i petroldollari che ha la Casa al Saud.

Che conclusioni possiamo trarne? Che conviene stare alla finestra, eventualmente vendendo sistemi d’arma e armi sia ai Turchi - a meno che l’Occidente non prenda in considerazione un bando generalizzato, coinvolgendo anche la Russia - sia a Rojava, che può pagarli in virtù delle risorse gassifere e petrolifere presenti nel territorio e che può difendersi agevolmente in forza di un terreno in gran parte montuoso e soprattutto di capacità tattiche dimostrate in otto anni di conflitti in Siria.

È assolutamente da evitare, sia per i nostri interessi sia per la nostra obiettiva debolezza politico-strategica, un’eccessiva visibilità di azioni unilaterali e scoordinate contrarie alla Turchia, dato che la leadership turca è intelligente e abile, come abbiamo visto, ma anche estremamente vendicativa.

Intendiamoci, non alzerebbero un dito contro un giovane ministro, ma potrebbero far molto male a centinaia di imprese piccole, medie e grandi che hanno investito e contro migliaia di connazionali che vivono, lavorano e fanno business in Turchia. Insomma, calma e gesso. E se volte aiutare i Curdi come meritano, lasciate che vengano armati anche loro: imporre un bando generalizzato al commercio di armi sarebbe un regalo a una delle parti.

Foto: presidency of the republic of Turkey / Twitter