I gilet gialli: legittimo movimento di protesta, infiltrato da tante vecchie conoscenze delle polizie di mezzo mondo

(di David Rossi)
12/12/18

Una rivolta popolare partita da trasportatori e automobilisti, sfociata in episodi di violenza urbana sotto gli occhi di un governo inerme… No, cari lettori, non è la cronaca di un sabato a Parigi e nelle grandi città francesi in questo autunno “surriscaldato”, ma è la storia dell’unico tentativo di rivoluzione “dal basso” e, per fortuna, non sfociato in terrorismo, della storia d’Italia: parliamo delle proteste dei “forconi” nel dicembre 2013.

Con la Russia alle prese con l’organizzazione delle Olimpiadi Invernali a Soci e angosciata dalle proteste in Ucraina, gli Americani disinteressati ai fatti d’Italia, con la “macchina delle rivoluzioni colorate” all’opera nell’ex URSS, a nessuno venne in mente di immaginare che i poveri (nel senso dei mezzi) forconi fossero eterodiretti. Anzi, non erano diretti affatto: per questo, prima dell’esplosione del Renzismo, persero l’occasione d’oro di abbattere dalla piazza il “regime”, che allora aveva la faccia niente affatto feroce di Enrico Letta e le buone maniere di Angiolino Alfano al Viminale.

Dietro i gilet gialli… c’è la stessa mancanza di direzione: nel senso di leadership politica, di obiettivi economico-politici, di organizzazione ecc. Un buon livello di coordinamento via web non può sostituire idee e aspirazioni comuni: basti pensare che la famosa “lista in 25 punti, molto radicale, e graficamente accattivante1 - un giubotto giallo con l’elenco delle rivendicazioni - ma non è certo la versione originale. Uno dei siti che per primi l’hanno lanciata, librepenseur.org, avverte chiaramente che si tratta delle "rivendicazioni che i gilets jaunes dovrebbero avere se volessero davvero cambiare le cose". Per capire come, sui gilet gialli, il più delle volte sono state messe in circolazione delle sciocchezze, a solo vantaggio di chi se ne faceva diffusore, basti pensare che i media nostrani avevano lanciato la “lista dei 25 punti” come “manifesto del movimento”.

Forse, si tratta davvero, come sostiene The Times2, di una manovra “social” di Mosca? O forse, come sostengono dalle parti del Cremlino, i Russi non c’entrano niente con i gilet gialli e i tentativi di attribuirglieli sono, essi stessi, azioni politico-mediatiche ostili?

La disinformazione è tanta e c’è caduto persino il giovane vicepremier Luigi Di Maio, secondo il quale i vari “manifesti” del movimento francese sono… nella legge di bilancio italiana. La quale, per adesso, è persino meno chiara delle intenzioni di questi protestatari transalpini…

Non potendoli interpretare per quello che realmente sono, al di là del presentarsi con tutte le debolezze dei “forconi”, ci dobbiamo soffermare proprio sulle cronache. Gli episodi di violenza osservati a Parigi (e nel resto della Francia oltre che in Belgio) e che hanno caratterizzato questo fenomeno, ottenendo alla fine un’attenzione superiore persino agli estesi blocchi stradali già visti coi “forconi” nostrani, sono in verità fenomeni estranei al movimento stesso, per quello che pare di capire. Sono, piuttosto, vecchie conoscenze: esplosioni di rabbia anarchica, violenza squadrista e “saccheggio proletario” già osservate, qui in Italia, per esempio, in occasione del G7/G8 di Genova nel luglio 2001, a Piazza del Popolo nel dicembre 2010 e a Milano, nella giornata inaugurale di Expo, nel maggio 2015. I fotogrammi, spesso riportano ai poliziotti, inutilmente sulle tracce dei responsabili, le stesse facce, magari invecchiate, in tutti e tre gli eventi. I medesimi volti della “internazionale del vandalismo e del saccheggio” che si rese protagonista, per esempio, in occasione dei G20 a Londra nell’aprile 2009 e a Toronto nel giugno 2010. Auto date alle fiamme, vetrine sfondate, negozi depredati e opere pubbliche danneggiate: sono, diciamolo, il marchio di fabbrica di vecchie e nuove conoscenze degli apparati di sicurezza di tutto il mondo, che ora indossano un giubbotto giallo solo perché le bandiere rosse non vanno più di moda.

In un certo senso, i gilet gialli hanno gettato l’esca a cui hanno abboccato tutte quelle migliaia di saccheggiatori, che i media etichettano come “black block” e che altro non sono che vedovi delle ideologie anarchico-socialiste e ora troppo innamorati del loro IPhone per ripartire con le lotte antiglobalizzazione.

Vale la pena di leggere una parte del commento trasmesso via Facebook da Alessandro Di Battista, leader grillino in volontario (e ben pagato) esilio3, prima di concludere: “Le richieste dei gilet gialli sono sacrosante, così come sacrosanta è la loro battaglia contro questa stramaledettissima globalizzazione”. Beato lui che ha capito tutto e ci vuol imbeccare come fare a capirlo anche noi. Noi, che modestamente stiamo ancora imparando, ci permettiamo di dire che per il momento il movimento dei gilet gialli non è né carne e né pesce. E non è detto lo sarà mai. E che l’unica cosa “diretta” per adesso non sono gli automobilisti “incazzati” (prendendo in prestito questa espressione dal grande comico Gioele Dix), ma le disinformazioni che media e esponenti politici stanno propinando all’opinione pubblica.

1Il Sole 24 Ore, 10 dicembre 2018.

2The Times, 9 dicembre 2018.

3Per non pestarsi i piedi con lo stesso Di Maio, non per altro.

(foto: Gendarmerie nationale)