Vi siete chiesti quanto interessino agli Italiani la sicurezza e la continuità dei flussi di idrocarburi dai nostri fornitori al territorio nazionale? Poco o niente: a parte i casi, come la TAP in Puglia, dove “scatta” la logica del NIMBY (acronimo inglese che potremmo tradurre come “non nel mio orticello”), in realtà i nostri concittadini non si interessano a una importazione che “pesa” in media due punti di PIL e che ha enormi implicazioni geopolitiche. Per capirsi, su ventimila euro di stipendio annuo, l’Azerbaijan ne incassa all’incirca 80, la Russia, l’Iraq e l’Iran circa 40-45 a testa, l’Arabia Saudita 40, la Libia una trentina e il Kuwait circa 25. Ogni anno lavoriamo almeno una intera settimana per mantenere questi signori, ma non ci importa, perché in fondo già buttiamo via tanti soldi tra tasse dirette e indirette, contributi pensionistici e tanti servizi di cui a volte nemmeno percepiamo gli effetti. Sarà per questo - perché ci curiamo poco di ogni singolo spreco dal momento che gettiamo via tanta ricchezza - che l’idea di perdere il nostro “tesoretto” in Libia non ci spaventa più di tanto. Ci preoccupano di più i flussi incontrollati di centinaia o persino migliaia di individui dai lineamenti poco familiari che i flussi finanziari, di materie prime ecc. Questo, mi si passi il termine, lo sanno quelli che hanno una mente raffinata1 e tanta ricchezza: ogni giorno, come recita un proverbio, il furbo e lo stupido si destano allo stesso modo, ma si fanno buoni affari solo quando si incontrano. E noi, poco accorti sulle questioni geopolitiche, geostrategiche e geofinanziarie, siamo quelli con l’anello al naso che i “furbi” ricchissimi incontrano volentieri, perché ci compiacciamo per poco, ci accontentiamo dell’uovo oggi, abbiamo una visione di breve periodo. Gli altri, in fondo, non sono neppure menti molto raffinate: sono solo avveduti e scaltri, “astuti come serpenti” avrebbe detto Qualcuno.
Per compiacere i sempliciotti non serve molto: di solito, sono talmente prevedibili che basta preparare poche perline e specchietti (per le allodole) per farli gioire come bambini (scemi). Basta dire che non ci sono seimila immigrati pronti a partire ma "800.000!!!" Ed ecco che la stampa Main Stream e quella “popolar-populista” abboccano all’amo. Ottocentomila “abbronzati”, come avrebbe detto un ex presidente del consiglio, o “poveri cristi”, come preferisce dire lo scrivente.
Li hanno contati male i servizi di intelligence italiani? Gli sono scappati due zeri a causa del correttore automatico? O semplicemente quei seimila sono presenti visibilmente in giro per i porti, alla ricerca di un’occupazione migliore dopo alcuni anni a servizio dei middleclasser e dei signorotti libici, gente che non ci va alla leggera con i “servi” sub-sahariani e che non ha scrupoli politicamente corretti nel trattarli come schiavi?
Da dove vengono gli ottocentomila? Sono, più o meno, tutti gli occupati di colore presenti nella Tripolitania gestita dal governo Sarraj. Gente senza i quali i Libici non avrebbero agricoltura, trasporti, pulizia delle case… Insomma, gente che si terranno stretta fino all’ultimo, perché nordafricani e arabi coltivano ancora l’“otium” come una virtù.
Non sono in partenza? No. Forse, quei quattro quinti di milione di “expat” non se ne andranno nemmeno se Haftar occuperà Piazza dei Martiri a Tripoli, perché… anche se scappi, il “filippino” te lo porti dietro.
Ma vallo a spiegare agli Italiani, così non curanti. Questa settimana sono arrivati in due a raccontarci questa storia il sempre sorridente Ahmed Maiteeq, uno che conosce l’Italia, per averci studiato due decenni fa prima di andare a approfondire gli studi a Londra, e Mohammed al Thani, ministro degli esteri del Qatar, uno che si è laureato a 232 anni sotto casa e a 25 anni era già direttore dell’agenzia che gestisce gli affari della famiglia dell’emiro (la sua). Si tratta di due vecchi amici, che si conoscono e si apprezzano anche in privato.
Ecco, lo spettacolo di burattini per il pubblico (gli Italiani) ha avuto inizio: peccato che i fili si vedano benissimo. Il “puparo” qatariano non si è nemmeno preoccupato di nasconderlo. D’altronde, l’Italia - nel senso del governo con la politica estera a trazione grillina - gioca a carte fin troppo scoperte, offrendo una sponda, che vale ancora di più in quanto membro dell’Unione europea, ma soprattutto che ha un costo - in termini di relazioni internazionali - che ancora stentiamo a quantificare.
Quanto è disposta a pagare Doha per questo “aiutino”? Gli appena 2,6 miliardi di interscambio non raccontano una storia di investimenti tali da giustificare tanta ostentazione dei fili da parte del puparo. A meno che l’ostentazione del “burattinaio” non serva essa stessa a imbonire gli spettatori. Già, perché osservatori superficiali come gli Italiani a vedere negli occhi lo “sceicco” pensano non già agli abili manipolatori dell’opinione pubblica con la TV Al Jazeera e agli sponsor dell’Islam politico con Ikhwan, la Fratellanza Musulmana, ma al massimo coltivano una certa invidia per gli investimenti di Doha nel calcio.
Al ministro e vicepremier Matteo Salvini piace ragionare secondo la pancia degli italiani. Per questo, si è lasciato andare a dichiarazioni affrettate: “Stiamo lavorando perché non ci sia guerra, speriamo che il peggio sia passato, il blitz di Haftar è fallito e noi siamo al lavoro perché si fermino i missili”. Già, così la intendono, media e cittafini: come se Haftar avesse dimenticato la lezione di Gheddafi del 2011, cioè che Tripoli è impossibile da tenere e poco conveniente da prendere. La vera partita se la deve giocare con Misurata: prendere la capitale sarebbe un inutile spreco di risorse. O forse dovremmo dire, per farsi intendere dagli Italiani, come la vittoria 4-3 contro la Germania nel 1970: bellissima, ma buona solo a presentarci sfiniti al confronto decisivo, la finale col Brasile.
1Termine caro al compianto Giovanni Falcone…
2Non si ingannino i lettori italiani: laurearsi a 23 anni in un sistema di stampo anglosassone equivale a andare fuori corso da noi…
Foto: presidenza del consiglio dei ministri