L’anno elettorale americano entra nel vivo e la cosa ci riguarda da vicino. Il nostro interesse va oltre l’informazione. Più che come curiosi abitanti dello stesso pianeta, noi italiani, senza nemmeno saperlo, ci interessiamo alle presidenziali USA innanzitutto come cittadini di uno Stato a sovranità limitata. In quanto sorta di 51° pezzo di quell’Unione a cui abbiamo affidato la politica estera (quella economica e quella interna sono già a Bruxelles), veniamo attratti dal prossimo inquilino della Casa Bianca come da un richiamo ancestrale. Per un destino bizzarro non partecipiamo alla scelta, ma ne condividiamo le emozioni.
La sfida più probabile sembra Trump-Clinton, laddove Clinton non è il rubicondo Bill, ma la moglie Hillary, sua avente o dante causa a seconda dei casi.
Chi vincerà non lo sappiamo. Sappiamo però che è partito il conto alla rovescia per l’allineamento dei media sulla “Hillary globale”, fulcro del pensiero unico e del politicamente corretto universalmente dato per buono.
Dopo un Presidente nero, valido in sé al punto da meritare un Premio Nobel preventivo, niente di meglio di un Presidente donna, sintesi sublime di quel marketing imperiale pronto ad usare la moda del momento pur di lasciare le cose come stanno, senza escludere la possibilità di peggiorarle.
Ma proprio come per il Nobel all’afroamericano Obama, la canonizzazione della Clinton c’è da aspettarsela più in Italia che negli USA, dove qualora vincesse sarebbe comunque a fatica. C’è da scommettere infatti che l’ex first lady otterrà il favore dei suffragi virtuali italiani, ribadendo quell’incredibile 90% di simpatie avute da Obama alle elezioni del 2012. Lo svantaggio di non essere nera sarebbe ampiamente compensato da quello di essere donna, col giusto passato rosa femminista traslato nel frattempo al grigio istituzionale di Washington. La “Hillary de noantri” insomma, potrebbe arrivare anche all’en plein in una sorta di “comunque è meglio lei…” di solito sintomo principale di influenze mediatiche e comprendonio delegato.
Soprattutto se l’avversario fosse davvero Trump, la possibilità di fare il pieno tra i consensi degli italiani sarebbe quanto mai realistica. Più i presidenti repubblicani mostrano il bel sembiante dell’imprenditore miliardario, pistolero e stupido, più la convergenza al “democratico e buono” diventa probabile.
A favorire già in partenza la Clinton è senz’altro la cerchia di appartenenza. Dal secondo dopoguerra in poi, i presidenti democratici riscuotono più simpatie di quelli repubblicani ben oltre i meriti e i demeriti. Basti pensare a Truman, primo lanciatore di bombe atomiche passato indenne al giudizio della Storia o a Kennedy, ricordato più per Marilyn e Dallas che per aver portato l’America in Vietnam.
Più di tutti però vale come esempio il Clinton marito, simpatico a tutti perché suonava il sassofono e intratteneva le stagiste. Fra una ricreazione e l’altra fu tra i coautori dell’ascesa dei Talebani a Kabul, della nascita di Al Qaeda, dello sviluppo del fondamentalismo islamico tra Africa e Medio Oriente, del congelamento di Saddam, del ritorno della guerra santa nei Balcani dopo 400 anni (in queste ore se ne torna a parlare), del bombardamento nel ’99 di Belgrado, prima capitale europea ad averne l’onore dal 1945. Fu lui a gestire il mondo per 8 anni come Presidente di una Superpotenza solitaria, orfana della Guerra Fredda e di nuovi nemici. Il meraviglioso mondo di pace in cui viviamo oggi lo dobbiamo anche a lui, ma pare che la Storia ogni tanto dimentichi se stessa…
Se il cognome e la provenienza ideologica sono una garanzia, Hillary Clinton quindi ha davvero grosse possibilità di diventare il 45° Presidente degli Stati Uniti d’America. Che l’uomo più importante del mondo sia una donna, farebbe pendant coi tempi che corrono in fondo…
Simpatie inspiegabili a parte è bene ricordare però chi sia Hillary Clinton, donna di potere già ai tempi del rurale Arkansas.
Segretario di Stato nel primo mandato Obama (a cui contese la candidatura presidenziale) si è distinta tra il 2009 e il 2013 per una serie di colpi di genio. Fu lei ad insistere per la guerra in Libia e l’eliminazione di Gheddafi nonostante (incredibile a dirsi!) il parere contrario del Pentagono. Fu lei ad insabbiare l’attentato all’ambasciata americana a Tripoli del 2012 per non intaccare la campagna del secondo mandato di Obama. È stata lei ad aizzare la Casa Bianca per ripetere le prodezze libiche in Siria, prima di lasciare il Dipartimento nel 2013. Ha avuto in mano la politica estera americana per almeno un lustro, senza contare gli anni dietro le quinte del secondo Obama e soprattutto quelli del marito Bill.
Dietro la corteccia dei diritti umani (o civili, a seconda...), sempre pronti a balzare fuori quando gli argomenti ristagnano, si nasconde un mix di cinismo e incompetenza reso inattaccabile dal suo essere donna liberal.
La Clinton è la capofila degli esportatori di diritti e democrazia, sempre pronti a professare una superiorità etica inaccessibile a noi comuni mortali. È il veicolo pubblicitario ideale per un modello low profile di imposizione dall’alto. Così come fu per il cornificante marito, rappresenta il volto più pericoloso del potere, perché privo di quelle linee caricaturali in cui i repubblicani brillano da decenni. Al furbo Nixon, al cow boy Reagan, al petrol-vaccaro Bush non si sa perché ma è sempre preferibile quello che i giornali e le tv etico-rock decidono di preferire. I disastri mondiali però sono gli stessi.
Noi cittadini di un Paese che osserva, nel nostro piccolo, ci limitiamo ad abboccare partecipando col cuore.
Col nostro Francia o Spagna, purché se magna… siamo un’importante cartina da tornasole per capire come va il mondo. In quanto colonia a sovranità ridotta, siamo un ottimo esempio di gregge, pronto a incolonnarsi secondo i flussi globali di cui siamo vittime e promotori. Così accecati da una presunta libertà, finiamo per essere artefici delle nostre stesse amputazioni.
Aspettando la Clinton, ricordiamoci che il genio delle dittature più pericolose è proprio qui: far credere agli uomini di essere liberi.
(Foto: web)