Barcellona è la tappa numero enne di un percorso lungo più di un decennio. Solita musica, solito ritornello. Tra qualche giorno sarà tutto finito e saremo di nuovo pronti per la prossima prodezza.
Due sono gli aspetti su cui facciamo melina, ponendo le basi per non risolvere mai nulla:
- 1. ostaggi del politicamente corretto, evitiamo di chiamare le cose con il loro nome. Il terrorismo che colpisce innocenti in giro per il mondo è islamico ed è la deriva di un gap macroscopico in termini di diritto e civiltà. Negarlo è ipocrisia;
- 2. lo Stato Islamico che rivendica le stragi lo abbiamo creato noi occidentali, o meglio quella componente soverchiante di poteri che nell'Occidente civile risponde a precisi obiettivi geopolitici e strategici. Questo secondo aspetto va sviscerato con trasparenza e schiettezza, evitando per quanto possibile luoghi comuni.
Lo Stato Islamico è il frutto di un disegno preciso, nato con la fine del potere sunnita in Iraq (Iraqi Freedom del 2003). La necessità di creare una piattaforma politica e militare che contrastasse un'espansione strutturale sciita in Medio Oriente (sostanzialmente Iran, Hezbollah, alawiti siriani e sciiti iracheni) si è trasformata però in un incubo fuori controllo, di cui migliaia di innocenti non solo occidentali continuano a pagare le conseguenze con la vita.
Perché indignarsi allora? Molti governi europei e almeno le tre ultime amministrazioni USA hanno creato le condizioni affinché tutto questo avvenisse, in combutta con le petromonarchie del Golfo e Israele. Se ancora oggi l'Isis resiste politicamente e militarmente mostrando al mondo capacità belliche e organizzative, in fondo, non è poi così difficile immaginare mani occulte che lavorano in contrasto con le dichiarazioni ufficiali di governi e istituzioni. Ne abbiamo già parlato molto su queste pagine. Ripetersi non serve.
Spunto di riflessione pragmatico, al di là di simpatie e pregiudizi, potrebbe venire però dal focus su un dato: l'Occidente oggi punta il dito e applica sanzioni alle uniche tre nazioni militarmente impegnate a tempo pieno contro lo Stato Islamico e più in generale contro la jihad internazionale sunnita: Siria, Iran e Russia. Prima di continuare con gli stornelli di indignazione ritriti, potremmo partire da questa curiosità e ragionare. In fondo, non abbiamo nulla da perdere.
I nostri tg raccontano di terrorismi generici e islamismi impersonali ma ignorano quotidianamente lo sforzo di migliaia di uomini che in Siria combattono concretamente per strappare terra e possibilità al radicalismo islamico. Continuiamo a raccontarci verità parziali e di comodo senza uscire dal cerchio che noi stessi abbiamo creato.
I nemici (reali) che ci siamo costruiti fuori e dentro casa in bilico fra necessità e strategie della tensione, solo noi possiamo distruggerli. Abbiamo cavalcato un ritardo di civiltà reale (il mondo islamico) per alimentare interessi, solo in parte rispondenti ai bisogni dell'Occidente profondo. Mettiamo nell'angolo Putin e Bashar Al Assad ma accettiamo la morte in casa oltre il limite del masochismo. Ci battiamo per i diritti umani e permettiamo scenari come quello libico.
Continuando così, in un clima di abulia retorica e buonismo a basso costo, dovremmo almeno avere il coraggio di accettare il prezzo da pagare senza più allarmi e allarmismi. La decenza del silenzio mediatico potrebbe lenire forse gli effetti di enormi contraddizioni.
Geopolitica e strategia dovrebbero seguire un manuale pratico, ma soprattutto l'Europa sembra sempre più vittima di un'ipnosi volontaria. Senza cambi di marcia, in un futuro così nero è difficile vedere luce.
(foto: web)