Si è parlato di Trump, della sua politica estera e di molto altro, all’incontro organizzato nei giorni scorsi a Bologna per presentare il nuovo libro di Germano Dottori.
“La visione di Trump – Obiettivi e strategie della nuova America” per le edizioni Salerno è l’ultima fatica del docente romano di studi strategici della LUISS, apprezzato autore di numerosi libri sulle politiche di sicurezza internazionali.
Organizzato dal Centro Studi Militari, l’incontro, moderato da Antonio Li Gobbi, ha consentito all’autore di illustrare ai tanti intervenuti tra i quali Romano Prodi, le linee guida del suo nuovo lavoro, discutendone con il generale Giuseppe Cucchi, già capo del dipartimento informazioni e sicurezza (DIS) nonché consigliere del capo del governo (governi Prodi e D’Alema) e del ministro della Difesa (Parisi); e con il direttore di Analisi Difesa, Gianandrea Gaiani, analista sagace di politica estera e di difesa.
Tanti i temi toccati nel corso dell’incontro, resi ancor più attuali dalla visita a Roma, negli stessi giorni, del Segretario di Stato USA, Mike Pompeo.
A partire da quella che per Cucchi costituisce la diversità della leadership di Trump rispetto ai suoi predecessori, soprattutto in riferimento al linguaggio di rottura e all’assertività delle sue posizioni anche interne, “che tendono ad allontanarlo dall’establishment di Washington”.
Per il generale, il numero di dimissionari e dimissionati della attuale amministrazione dimostra infatti in maniera incontrovertibile le tensioni e le resistenze presenti in seno anche alla cerchia ristretta del presidente.
Uno degli obiettivi di Trump, secondo Cucchi, è "sostituire il multilateralismo, affermatosi dopo la guerra fredda, con un approccio bilaterale che permetta agli USA di meglio affermare i propri interessi (così come riesce a fare la Cina)”.
Trump, d’altronde, ha spiegato Dottori, appare come un leader quanto mai “restio a combattere, soprattutto perché così pretende la sua base elettorale, che lo ha eletto per ritirare i soldati americani dai teatri di guerra in giro per il mondo”.
Questo spiega il motivo per cui non ha colpito l’Iran, ma anche il suo atteggiamento verso la crisi libica subito delegata agli europei (a dimostrarlo: l’endorsement fatto all’Italia quale paese leader per la soluzione del conflitto libico e il timido bombardamento in Siria, a pochi mesi dal suo insediamento, del tutto privo di quella letalità che avrebbe potuto esprimere se solo ci fosse stata la volontà politica di fare veramente male ad Assad).
Per contro, secondo il docente LUISS, questo aspetto della presidenza Trump “offre una grande opportunità a tutti gli altri paesi e una responsabilità non da poco: la libertà di perseguire da soli i propri interessi nazionali, sempre che questi non vadano in contrasto con quelli USA”.
L’aumento della spesa militare americana è allora da ricondurre più alle esigenze dell’industria nazionale che alla volontà di proiettare la potenza militare; così come il repentino cambio di opinione sulla NATO, considerata all’inizio del mandato un apparato inutile, è da considerarsi in chiave mercantile in relazione alla vendita di armi e equipaggiamenti agli alleati, e in chiave geopolitica, nella misura in cui impedisce l’emergere di una realtà politica europea a trazione franco tedesca.
Per Gaiani, il libro è “una analisi condotta finalmente in modo laico, senza pregiudizi nei riguardi di una presidenza, che si pone in contrapposizione, per lo meno formale, con quella di Obama”.
Di solito, infatti, si tende a giudicare Trump con schemi classici “destra-sinistra”, senza tenere conto che lui fa semplicemente gli interessi del suo Paese.
Gaiani ci invita allora a prendere atto che gli interessi USA non coincidono più con quelli europei, come la crisi libica e quella ucraina hanno di recente dimostrato.
Trump declina la politica estera pensando essenzialmente alla bilancia commerciale statunitense, ossia alla necessità di tutelare nel mondo i prodotti americani (si pensi solo alla politica dei dazi).
Anche gli stretti rapporti con il principe Bin Salman dell’Arabia Saudita devono essere ricondotti ai grandi interessi commerciali nel regno, che rappresenta uno dei principali acquirenti di armi e mezzi del medio oriente (anche se al riguardo Dottori fa notare come il sostegno Usa avvenga in un momento in cui per la prima volta il regno di Saud conosce politiche di apertura verso alcune libertà individuali, soprattutto di genere).
Un giudizio sull’operato di Trump - sostiene infine Gaiani - potrà essere espresso solo alla fine del suo mandato, confrontando quello che aveva dichiarato con ciò che sarà stato in grado di realizzare.
Se, ad esempio, avrà impedito all’Iran di diventare una potenza regionale egemone senza muovergli guerra; o se sarà riuscito a contenere il problema nord coreano ottenendo una qualche forma di controllo sull’arsenale nucleare (difficile che Kim Jong-un se ne privi); se almeno una di queste due sfide sarà vinta, allora, senza pregiudiziali, sarà difficile non esprimere un giudizio positivo sul suo operato.
Anche perché, paradossalmente, la politica estera di Trump finisce “per restituire sovranità a tutti i paesi amici”, nella misura in cui li invita a badare in prima persona ai propri interessi strategici, senza più contare sull’aiuto del potente alleato.
Con Trump, infatti, gli affari interni degli altri stati e le loro politiche di sicurezza non sono affari americani sino a quando non vanno a cozzare con gli interessi strategici statunitensi (il caso Maduro docet).
Spiace allora vedere nella nostra classe politica attuale - e in questo tutti i relatori della serata concordano - la grande inadeguatezza, di spessore e di merito, a sfruttare appieno la finestra di opportunità offertaci dall’attuale presidenza USA.
In un momento in cui in Europa: la Francia di Macron riprende una politica di proiezione di potenza sul continente (anche in chiave demografica in funzione anti tedesca), la Germania ridefinisce la propria postura internazionale con la scrittura di un libro bianco della difesa messo a punto da una donna ora divenuta presidente della commissione europea, e il Regno Unito riprende a costruire navi da 70mila tonnellate, l’Italia stenta a esprimere una politica coerente con la collocazione che le spetterebbe per rango.
E di questo, con buona pace di molto suoi detrattori, Trump non ha alcuna colpa.
Foto: Difesa Online / presidenza del coniglio dei ministri