Scioperi della fame, sit-in davanti a Montecitorio, lettere e telefonate ai ministeri. La cronaca delle settimane scorse racconta le proteste, anche simboliche, da parte delle associazioni che si fanno portavoce dei familiari dei militari e civili del comparto Difesa degli esposti e delle vittime dell’amianto. Ad essere contestato un emendamento presentato dall’on. Gian Piero Scanu, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta uranio impoverito, e inserito nella Legge di Bilancio 2018 che stabiliva “Disposizioni concernenti la tutela assicurativa per infortuni e malattie del personale del comparto sicurezza e difesa”. Mercoledì, in serata, l’On. Scanu fa sapere per mezzo nota stampa che il Governo ha ritenuto opportuno non approvare la proposta “per presunte ragioni di copertura finanziaria”, pur avendo espresso parere positivo tutti i ministeri interessati: Difesa, Interni, Lavoro, Giustizia.
Due giorni fa il Governo non ha approvato il Suo emendamento inserito nella Legge di Bilancio che trasferiva le competenze relative agli Infortuni del Lavoro e le problematiche di salute del Comparto Sicurezza e Difesa all’Inail.
L’emendamento ci avrebbe consentito di intervenire sulla prevenzione e sulla tutela della salute, ampliando le condizioni di accesso per gli istituti di tutela all’Inail in modo da offrire un’opzione in più rispetto a quanto oggi possano avere. Abbiamo cercato di evidenziare le grandi lacune che ci sono nel sistema con l’obiettivo di restituire una dignità che il negazionismo della Difesa e la debolezza della politica non hanno, invece, riconosciuto alle famiglie delle vittime. Purtroppo la politica continua ad essere troppo debole, invertebrata rispetto a mondi molto ben strutturati e molto forti come quello della difesa.
La proposta è stata piuttosto dibattuta e contestata dal mondo militare…
Questo poteva essere, per loro, un terreno da conquistare. Una riforma di questo tipo che guarda con grande attenzione alla vedova, all’orfano, al militare che subisce una menomazione, vale molto di più di un rinnovo contrattuale. Sulla proposta c’è stato parere favorevole di tutti i Ministeri di competenza: Difesa, Interno, Lavoro, Giustizia, ma parere contrario dell’Economia, in quanto la riforma era onerosa. Questa è la conferma che ai militari si intendesse dare un impianto normativo più ricco e più ampio, al pari di tutti gli altri lavoratori. Un militare che subisce una menomazione per causa di servizio ad oggi fa fatica a presentare domanda, mentre con la nostra proposta l’avvio della procedura sarebbe stato d’ufficio. Sapremmo ogni mattina quanti infortuni avvengono, com’è in tutto il mondo del lavoro.
Quali sono le principali criticità emerse nel corso dell’attività svolta dalla Commissione in questa legislatura?
La maggiore criticità è la scarsa attenzione politica rispetto ad una problematica talmente vasta da richiedere risposte immediate, che, però, non ci sono state. Tant’è che questa è la quarta Commissione e non sarà l’ultima, nonostante noi ci fossimo dati fin dall’inizio l’obiettivo di riuscire ad azzerare tutto il lavoro in modo tale da non essere più necessaria la presenza di una commissione. C’è un mondo, quello militare, che sfugge al controllo laico delle istituzioni perché è talmente autoreferenziale e abbozzolato su sé stesso da escludere ogni possibilità di verifica che possa essere utile per la sicurezza dei militari. Io la definisco ‘giurisdizione domestica’: fanno ciò che vogliono relativamente alla sicurezza dei posti di lavoro, alla tutela del personale. Ma, poiché i militari sono lavoratori come tutti gli altri e siccome le tutele debbono essere loro garantite, senza necessariamente scomodare l’articolo 3 della Costituzione, noi come Commissione d’inchiesta abbiamo cercato di scardinare questo sistema soffocante per laicizzarlo. Purtroppo ci non siamo riusciti. Siamo riusciti, tuttavia, ad ottenere ottimi risultati con una norma contenuta nella legge di stabilità.
Vuole spiegarci di cosa si tratta?
Si tratta di una norma che stabilisce che in tutte le aree di addestramento dei poligoni di tiro si potrà svolgere un’azione di controllo di tutte le attività che si svolgono facendo luce, quindi, in un settore opaco.
Perché ‘opaco’?
Un settore in cui quella giurisdizione domestica, a cui Le accennavo poco fa, avvolgeva per intero ogni tipo di attività. Con questa legge, per la prima volta le istituzioni hanno la possibilità di lavorare all’interno dell’ambito militare per regolarne il buon funzionamento.
Riguardo ai rapporti con la politica, cosa mi dice della collaborazione con i ministeri, in particolare con il ministro della Difesa?
Credo che il presidente di una Commissione d’inchiesta si debba porre fin dal primo momento l’esigenza di essere totalmente laico. Una Commissione d’inchiesta deve, per definizione, cercare la verità. E questa può avvenire soltanto se uno si libera della casacca di appartenenza e si mette laicamente alla ricerca delle verità. Il mio rapporto con le istituzioni è stato molto diretto, spesso molto ruvido, ogni volta che a mio giudizio si è reso necessario che lo fosse.
E riguardo ai rapporti con la rappresentanza militare? C’è stata collaborazione con i Cocer?
Faccio un’affermazione “apolitica”: questa Commissione è stata definita come una Commissione ‘dedita all’antimilitarismo’ dalle persone in malafede o superficiali, per il solo fatto di aver scavato per cercare la verità anche nel mondo militare. La verità è che non c’è niente di più diretto verso gli interessi dei militari del lavoro fatto da questa commissione. Questa Commissione si è sempre preoccupata della salute dei militari e ogni ombra di dubbio è stata creata ad arte per condizionare il lavoro della Commissione. Tutti i Cocer sono stati auditi anche formalmente. Sono stati attenti, ma non sono stati al nostro fianco.
Nel corso delle inchieste avete ricorso spesso all’esame testimoniale.
Gli esami testimoniali si svolgono nel giudizio dei poteri della magistratura. Pertanto, nel momento in cui avviene un esame testimoniale la persona esaminata va intesa come persona informata sui fatti, alla stessa stregua di quanto accade in un’aula di tribunale quando un testimone viene interrogato. Noi abbiamo fatto larghissimo uso di ricorso agli esami testimoniali perché ritenevamo fosse necessario non lasciare niente di intentato nella ricerca della verità.
Crede che sia stato positivo?
Credo sia stato molto positivo perché il sano condizionamento di chi sa di dover rispondere anche in sede penale di ciò che dice ha sciolto qualche lingua legata e a aperto qualche rubinetto di informazione rimasto chiuso.
La legislatura volge al termine, ma come si aspetta che prosegua in futuro l’attività d’inchiesta della Commissione?
Intanto a gennaio ci sarà l’approvazione della relazione finale. Abbiamo già predisposto due relazioni intermedie e la terza andrebbe a consegnare al Parlamento il testimone, definendo in maniera rigorosa le connotazioni del problema e dando dei suggerimenti su ciò che il Parlamento e il Governo che verranno dovrebbero fare.